domenica 12 dicembre 2021

Che bella cosa, sentirsi compresi

La prossima volta che tornerà al Friuli, da avversario, Luca Gotti riceverà un grande tributo di applausi.

Se li è guadagnati in anni di lavoro da tecnico serio e preparato, nei quali ha fatto quel che ha potuto con il materiale umano che ha avuto a disposizione, e con un comportamento talmente educato e rispettoso da farlo apparire un pesce fuor d'acqua al confronto con i suoi rissosi ed egocentrici colleghi.

Se li è guadagnati, in più, con un bel messaggio lasciato su una pagina a pagamento del Messaggero, nel quale il ringraziamento alle persone che l'hanno aiutato e gli sono state amiche è accompagnato ad un "elogio del friulano" citato da Maurizio Corona (legge, pure!).

Non provenisse da lui, parrebbe simile ad un esercizio di paraculaggine ricordare la forza morale di un popolo mai piegato dalle avversità.  E' bello che sia stato capace di legarla al significato che ha l'Udinese per la sua terra e la sua gente, e a quel che significa onorare questa maglia, per questo stesso motivo.

Lui lo ha capito, ci ha capiti. Temo non altrettanto i suoi giocatori, incapaci di essere una squadra che lotta per vincere e non un gruppo di professionisti che rendono la loro prestazione sportiva. E' per questo, per non essere riuscito (lui come i suoi predecessori) ad infondere nei ragazzi quanto gli era ben chiaro che Gotti non è più l'allenatore dell'Udinese.

C'è chi riesce ad andarsene da gran signore, ricordando nell'ultimo saluto l'importanza del comportamento al di là della vittoria:

Le partite di calcio si vincono e si perdono, e tutti sappiamo che vincere è bello e importante, ma è importante anche come ci si comporta vicino a quella maglia, con dedizione al lavoro, serietà, compostezza, umiltà, rispetto, ma anche orgoglio e caparbietà. Io ci ho provato, qualche volta mi è riuscito e qualche volta meno, però ci provato.

Lavoro, serietà, compostezza, umiltà, rispetto, orgoglio e caparbietà.

Grazie per averci capito, per essere stato uno di noi.

Mane diu, Luca, mandi





sabato 13 novembre 2021

La costruzione del Medio Oriente

 di Bernard Lewis


Libro di ampio respiro, nel quale la cultura dell'autore riesce a collocare i fatti che analizza nell'arco di fenomeni plurisecolari, fornendo un quadro di rara nitidezza.

Tre sono i leit motiv dell'opera, organizzata in capitoli cui viene premessa la definizione dell'area interessata nei suoi fondamentali elementi geografici, antropologici, storici.

Il primo è l'interpretazione del rapporto con l'Occidente, nel periodo di due secoli che segue l'avventura Napoleonica, come una vera e propria "terza conquista", dopo quella araba e quella turca, che pur non eguagliandole per durata e profondità, ha esercitato effetti considerevoli sia politici che sociali, di fatto riassumibili nella "costruzione del Medio Oriente".

La seconda è il rilievo fondamentale del ruolo che gli islamici attribuiscono alla religione. Diversamente che nella civiltà Occidentale, ove la religione è un sistema di fede e di culto, separato (e in epoca moderna di solito subordinato) rispetto alla collocazione nazionale e politica, l'Islam è una  religione totalizzante, che non accetta di ridursi a fede e culto privato e intende permeare l'intera organizzazione sociale e politica, imprimendo un marchio di identità che supera ogni altra forma di identità ideologica, politica o nazionale.

Con la crisi dell'impero ottomano, il rapporto con i popoli occidentali sino ad allora considerati (oltre che infedeli) barbari ed incolti, ha apportato rilevanti modifiche conseguenti all'importazione di tecnologia e metodi produttivi, tramutandosi in soggezione politica e militare con la creazione in luogo dell'unica autorità politica (accettata anche per il collegamento con il fattore religioso) di una serie di stati per lo più privi di radici storiche.

L'importazione di modelli politici e costituzionali, nonchè di valori estranei alla cultura mediorientale, è fallita proprio in ragione del costante riferimento alla comunità religiosa ed al sistema di valori sociali, egualitarismo e comunitarismo, ad essa (astrattamente) collegati.

Vengono analizzate nei vari capitoli, con riferimenti che ben illustrano l'erudizione di Lewis, le evoluzioni dei tentativi di importare i valori liberali e democratici, ma anche il concetto europeo di patria, evidenziando come essi (al pari delle diseguaglianze aumentate sul piano economico sociale, dopo la scoperta della ricchezza petrolifere) abbiano causato una profonda avversione nei confronti dell'Occidente, palesatasi con i movimenti ascrivibili al "socialismo arabo", al "nazionalismo etnico", e più recentemente al fondamentalismo islamico.

L'analisi di Lewis, finalmente, fornisce strumenti per comprendere le cause della "rivolta dell'islam", e e dare il giusto peso al fatto che il fondamentalismo è una lettura politica dell'Islam, non certo l'unica possibile, ma profondamente legata al sentire di larghi strati della sua gente.

Il terzo leit motiv, che si ritrova ove la trattazione dei singoli temi scende nell'analisi, è l'individuazione dei quattro "poli" dell'area (Egitto, Mezzaluna fertile, Altopiano iranico e penisola Anatolica) che si sono succeduti quali centri del potere politico, e la trattazione del loro rapporto come una costante della storia dell'area. 


L'ossimoro mancante

Quello che più ci manca, che più dobbiamo sforzarci di cercare, sono i gesti esemplari fatti nell'ombra.

venerdì 5 novembre 2021

Il diritto e il favore

 Molto spesso mi frulla in testa quel verso di Francesco De Gregori.

Di questa terra senza misura
Che già confonde la notte e il giorno
E la partenza con il ritorno
E la ricchezza con il rumore
Ed il diritto con il favore
E l'innocente col criminale
Ed il diritto col carnevale

Confondere il diritto con il favore: difficile esprimere in forma più sintetica ed esatta il vizio antico di questo cavolo di pianura

Accettare che ci siano delle regole, il rispetto delle quali è compreso come motivo di benessere per tutti, e quindi perseguito anche se non se ne trae un diretto vantaggio, ed anche se comporta un sacrificio. 

Considerare la loro infrazione una grave offesa alla comunità ed ai singoli individui che la compongono. Additare alla pubblica vergogna chi cerca mezzi per aggirarle, fregando non solo gli altri, ma anche se stesso. 

Considerare i diritti che esse prevedono facoltà l'esercizio delle quali non richiede implorare nè ricevere benevolenza; ottenerne all'occorrenza ragione dagli organi deputati.

Sono questi comportamenti che a noi intelligentissimi italici danno un po' noia, fanno torto alla nostra creatività e al nostro saper vivere.  E' già, che in fondo il furbo è più simpatico della persona seria. Lo ammiriamo, chi riesce a fottere gli altri  (meglio ancora se lo Stato) e magari a farla franca. 

Lo giustifichiamo come uno che si difende da una sistema che non funziona, che si arrangia ad ottenere una visita con una conoscenza perchè altrimenti l'avrebbe tra due anni: e non capiamo che alimentiamo un circolo vizioso. Invece di pretendere che le cose funzionino (partecipando all'impresa con la nostra piccola parte di correttezza), quel che ci spetterebbe ci va bene di averlo di straforo; e se manca agli altri, ce ne infischiamo.

Diventare tedeschi, no. 

Ma provare un po' di vergogna (o almeno imbarazzo), invece che di vanto, per i nostri difetti, forse sarebbe un buon inizio nel mollare questa cultura del chiagni e fotti



martedì 2 novembre 2021

La Repubblica italiana e la sua forma di governo

di Sergio Bartole 


Il breve testo raccoglie un contributo del professor Bartole, al quale chiesi la tesi nel lontano 1998, sempre su un argomento correlato alla forma di governo (Referendum e forma di governo).

Il tempo passato da allora evidenzia l'impossibilità di costringere la forma di governo italiano in una delle categorie classificatorie classiche, tanto per i molti fattori che deviano dal modello del parlamentarismo, tanto per la rilevanza di una prassi che fornisce il suo contributo alla definizione del dato normativo quanto la disposizione .

Il testo si inserisce negli studi del professore sulla capacità della nostra costituzione di adattarsi ad interpretazioni e prassi diverse, riuscendo proprio per questo a sopravvivere ai tempi e ad essere "la Costituzione di tutti ".

In particolare nell'ultimo ventennio le discussioni della dottrina si sono soffermate sul ruolo del Presidente, sui vincoli dell'adesione all'Unione Europea, sui rapporti con gli Enti locali, sullo strapotere normativo dell'esecutivo. 

Alla delimitazione dei poteri del Parlamento hanno contribuito le possibilità lasciate da un dettato costituzionale aperto, ma anche dalla crisi dei partiti politici.  


lunedì 1 novembre 2021

Strana vita, la mia

 di Romani Prodi con Marco Ascione


Pur non essendo un appassionato di autobiografie di personaggi noti, ho letto con interesse questa di Romano Prodi.  

C'era l'epoca in cui i premier erano i migliori. Dei primi della classe, persone che potevano essere avversate per idee o storia personale, ma di cui era difficile negare le doti intellettuali e politiche: come  per Prodi, vale ovviamente anche per Berlusconi.

I fatti narrati sono ricchi di interesse perchè, in gran parte noti da chi, come me, li ha vissuti leggendone sui giornali, può scoprirne aspetti che solo i diretti protagonisti possono rivelare.

Filo conduttore di un'esperienza, come dichiarato nelle conclusioni del Professore, è la costante ricerca del dialogo, prerogativa difficile da esercitare ma l'unica che può, diversamente dalle prese di posizione tetragone, portare a risultati concreti. 

Nei vari capitoli si ricordano le tre esperienze di governo, la stagione alla Commissione ed i rapporti con Russia, Cina ed il continente africano; nel segno di un riformismo dalle caratteristiche peculiari, della via Emilia, difficile da inquadrare nelle più classiche categorie.

Il messaggio finale riguarda la persistente importanza dell'evoluzione dell'Europa (con relative difficoltà) in un soggetto politico capace di ergersi a fianco di Usa e Cina, contribuendo così non solo ai suoi interessi, ma anche a mutare il carattere delle nuova competizione globale.

lunedì 18 ottobre 2021

Sono ancora vivo

 di Roberto Saviano e Hasaf Hanuka


Mai stato simpatico, Roberto Saviano. Con quella faccia un po' così (pure bruttino), con quel cipiglio sempre un po' incazzato, sempre a parlare un po' con il ditino alzato.

Per anni ho evitato di leggere i suoi libri, ascoltare le sue interviste, guardare le sue trasmissioni; non arrivavo al peggio - frasi tipo: tanto gli va male che ci ha fatto i soldi- solo perchè non mi impegnavo più di tanto ad elaborarle.

Mi hanno indotto a maggiore attenzione alcuni suoi interventi sull'antiproibizionismo e in memoria di Marco Pannella. Cominciando a seguire i suoi scritti, ho trovato punti di vista sempre (anche quelli noin condivisi) ragionati e documentati, evidentemente prodotti di una intelligenza talentuosa e colta. 

Chi c'è del resto più antipatico di un radicale? Quello che ti costringe a guardare quella parte della realtà che vorresti ignorare, che ti spinge a pretendere da te stesso quello chiedi agli altri.

E' questo che ha fatto Roberto Saviano. Uno che ha deciso di non tacere, di raccontare a tutti uno dei nostri lati peggiori. Se ci aggiungi che ha avuto un successo clamoroso, senza rinunciare alla boriosa pretesa di non essere ammazzato, la sentenza è inevitabile: che rompicoglioni!

In questo libro, anticipato da un articolo di qualche giorno fa sul Corriere che ne è un po' una versione testuale, Saviano parla della sua vita, fatta di rinunce spesso ripagate dalla moneta dell'ingratitudine, dell'invidia, dell'incomprensione. 

Racconta della ferita che si porta dentro da quando, ventiseienne, gli fu detto che non poteva rientrare a casa, prigioniero peggio dei carcerati, privato della possibilità di una camminata all'aria aperta o di fare la spesa.

Pare impossibile per un uomo che ha sacrificato la sua vita per l'importanza della parola, ma per raccontare se stesso le illustrazioni sembrano più funzionali a cogliere l'essenziale, a sfrondare dai dettagli non necessari la verità.  

Oltre alla sua storia, nella quale è centrale l'individuazione del motivo della condanna ricevuta,  il fatto che i suoi articoli ed i suoi libri siano stati letti da così tante persone, nel libro si trovano oltre che un omaggio ad alcuni suoi maestri, i sentimenti verso i suoi familiari, gli aspetti più intimi di una solitudine tanto più lacerante quanto incompresa, fino all'estrema rivelazione del dubbio (umano, troppo umano trovarlo nell'autobiografia di una persona che è un emblema del coraggio) di aver fatto la scelta giusta, quel giorno che decide di non tacere.

Dubbio irrisolto, ma scacciato da un urlo: FOTTUTI BASTARDI, SONO ANCORA VIVO!

Onore a Roberto.

 

lunedì 11 ottobre 2021

Libero di sognare

 di Franco Baresi

Non è una autobiografia, ma una sorta di monologo in cui l'ineguagliabile campione ripercorre alcuni dei momenti importanti non della sua carriera, ma della sua vita.
Le parole ricorrenti sono gratitudine e ringraziamento: Baresi ha compreso di avercela fatta perchè il suo talento si è incontrato con persone e situazioni che hanno consentito di poterlo esprimere. L'umiltà con cui lo riconosce è figlia dei valori di un tempo andato, di una civiltà contadina che non c'è più. E la si vede anche nella modestia che poco lo fa soffermare sui momenti che più lo hanno reso il campione più amato, come la sua decisione di restare anche in serie B.
Le parole con cui si racconta, aiutato dal bravo Federico Tavola, sono belle e tratti commoventi. Descrivono dietro il calciatore che per classe e carisma è diventato leggenda un uomo semplice, uno che arriva in anticipo agli appuntamenti perchè arrivare in ritardo non è educato. 
C'è solo un Franco Baresi, purtroppo.



venerdì 8 ottobre 2021

Il diritto di incazzarsi

C'è una categoria a rischio di estinzione, braccata dai benpensanti, dagli intelligentoni, dalla ggente comune.

Sono i tifosi.

Persone che amano, vivono una grande passione, e sono abituati a manifestarla nei modi più disparati, anche quelli meno consoni alle regole del politicamente corretto, qualche volta anche dell'educazione. 

Come questo: 


Che i tifosi fischino chi li ha delusi è la cosa più normale del mondo. 
Ma se un giorno, gioca l'Italia, ci sono fischi a San Siro, apriti cielo.
Questa poi era la storia di un ragazzo che aveva davanti a sè una scelta facile facile: diventare, coperto d'oro, il simbolo di una delle società più gloriose al mondo, il capitano del Milan, uno come Rivera, Baresi e Maldini, e al tempo stesso l'uomo che per riconoscenza e amore della maglia rinunciava a qualche soldo in più; oppure diventare, coperto d'oro, l'uomo che tradiva le speranze e l'amore dei suoi tifosi per guadagnare qualche soldo in più in una squadra senza storia e tradizione, dove è uno dei tanti, e quindi il simbolo del calcio moderno dove ogni valore cede all'avidità.
Difficile pensare ad un dilemma più facile da risolvere.
Eppure eppure, l'autore della dissennata, opposta decisione, dichiara bel bello di non aspettarsi contestazioni, al ritorno nel suo stadio, dimostrando di non averla capita per niente, quella gente che alla fine aveva pagato il suo stipendio dorato. 
Come non la capiscono i mille soloni che si affannano nei distinguo (eh, ma giocava la nazionale), in improbabili associazioni ("i fischi a Donnarumma sono come gli ululati a Koulibaly!»). 
Non albergano raffinate idee, nelle menti dei tifosi, nè impera la razionalità, nei loro comportamenti e nelle loro urla: ma nemmeno quando macinano chilometri per seguire la squadra o pagano costosi abbonamenti alla pay-tv.
Rispettiamo allora, almeno il loro diritto di incazzarsi.


sabato 2 ottobre 2021

Storia dell'America Latina contemporanea

 di Loris Zanatta


Dopo qualche indecisione dovute all'alternativa con un altro testo, mi sono deciso per questo libro, dal titolo perfettamente centrato su uno degli argomenti di maggiore interesse per me. 

La lettura dei primi capitoli, dedicati alle premesse rispetto al periodo considerato (retaggio coloniale e indipendenza),  mi ha destato qualche perplessità, legata ad una apparente indeterminatezza dei fatti narrati.

Si tratta in effetti di una caratteristica di quella che ha le peculiarità di una storia globale (riguarda una comunità di dimensioni continentali), e che poi si è dimostrata un punto di forza.

L'autore infatti, anzichè seguire fatti e vicende delle singole nazioni, ne individua i tratti comuni e con una notevole capacità di sintesi enuclea tanto i tratti che si mantengono costanti nel tempo, quanto quelli che rendono peculiari i singoli periodi analizzati.

Vengono così fatte oggetto di continua attenzione la tendenza culturale a considerare la società un complesso organico, e non un insieme di classi in conflitto; il ruolo della chiesa e dei militari; il rapporto spesso controverso con gli Stati Uniti; le differenze sociali rispetto alla ampia categoria degli "esclusi"; più di tutto, l'accidentato percorso verso mature istituzioni democratiche, che appare essere il principale parametro di giudizio dell'autore, incline a considerare l'America Latina parte integrante dell'Occidente.

Dall'epoca liberale al suo tramonto, a quella del populismo e dell'influenza della guerra fredda; dal ciclo rivoluzionario a quello controrivoluzionario; dalla "decada perdida" alla democrazia ritrovata, all'età del neoliberalismo, all'epoca che sconfina nell'attuale in cui sembrano alfine consolidarsi delle tendenze che vedono consolidarsi delle democrazie simili a quelle europee.

Felice è la scelta di inserire in numerosi "box" che affiancano la trattazione la descrizione delle vicende dei singoli Paesi e delle personalità di maggior rilievo, che consente di non perdere un punto di vista maggiormente analitico su fatti e persone molto note, ed altre meno note. 

domenica 26 settembre 2021

Cima del Cacciatore

Da un po' pensavo di tornarci, mancava sempre l'occasione.

Convocato ieri all'ultimo da un gruppo di amici per un'escursione, scopro che la meta prevista è la Cima del Cacciatore.

Il tempo che ci accoglie al Lussari è da favola; sole, clima asciutto e ampia visibilità che favorisce la vista di un panorama che offre anche due letti di nuvole sulle pendici dello Iof di Miezegnot.

L'ascesa è breve, e comprende nel tratto finale qualche metro in ci si aiuta con le corde, prima della sommità gremita di escursionisti. 

Fria, la montagna, eccome se fria, e finisco pure con il sedere per terra.

La permanenza in cima è breve, non dà il tempo di pensare troppo.

Dopo il ritorno il pranzo al Lussari prelude ad un ritorno che si attarda, è una così bella giornata.

Il debito del ritorno è saldato; solo quello ahimè.





sabato 18 settembre 2021

Le ragioni della legalizzazione

In un articolo sul Corriere che è esemplare delle sue doti di divulgatore, Roberto Saviano spiega in poche righe le ragioni della legalizzazione.

Più diffusamente lo fa con Magi anche su radioradicale

Gli argomenti sono quelli ben noti a chi rifuggendo da un approccio ideologico ha affrontato in maniera razionale il fenomeno (come spiegavo in un mio post di circa sei anni fa, nel quale richiamavo una relazione della Direzione nazionale antimafia che spiegava l'inanità dell'azione repressiva e invitava a valutare un cambio di approccio; la DNA, non un gruppo hippy):

1) Le droghe leggere non sono le sostanze più pericolose, meno di altre (alcol e tabacco) legalizzate-

2) Sono di fatto già di libero accesso, solo che tale accesso mette necessariamente in contatto con la criminalità; legalizzare l'accesso significa controllare il traffico sottraendolo ai canali clandestini e illegali.

3) Nell'attuale approccio proibizionista, a essere puniti sono i piccoli spacciatori e i consumatori, non i veri trafficanti.

4) Legalizzare dà inevitabilmente un colpo economico alle mafie, al tempo stesso liberando risorse delle forze di sicurezza attualmente impegnate in una lotta contro il mulini a vento, e ottenendo pure un vantaggio fiscale dalla tassazione del commercio.

5) I dati dei Paesi che ci hanno provato (Canada, Colorado) sembrano provare che non aumenta il consumo.

E' quindi giusto sostenere e firmare (con lo SPID!) il referendum appena partito che depenalizza il consumo della cannabis.

Non meno importante del merito della questione è una considerazione di metodo, ritraibile dall'osservazione delle posizioni politiche sul punto. La sostanza democratica degli approcci di riduzione del danno, in qualsiasi questione venga affrontata, viene osteggiata dai molti fautori di posizioni ideologiche, refrattari all'osservazione dei dati di fronte alle decisioni da prendere. 

Questi molti, veri campioni del non decidere, sono le persone che ci condannano all'immobilismo che sta uccidendo le nostre speranze di farcela, come Paese.

martedì 7 settembre 2021

La società signorile di massa

 di Luca Ricolfi

Ecco un libro che interessa, spiega, sorprende, cambia il modo di vedere le cose e noi stessi.

La formula che gli dà il titolo, e descrive l'archetipo tutto italiano di una società senza crescita, ma in cui la maggior parte dei cittadini adulti non lavorano, e nondimeno accedono a consumi opulenti, sintetizza l'osservazione della nostra attuale realtà (pre-covid), che si presta solitamente alla più nera "narrazione" del declino, della povertà dilagante al pari delle diseguaglianze, come alle opposte conclusioni che si è tentati di trarre dall'osservazione della diffusione di consumi indice di evidente benessere: letture che secondo Ricolfi non vanno acriticamente sposate, ma valutate appunto per comprendere la realtà del fenomeno complesso che descrive, con la solita chiarezza e l'altrettanto usuale riferimento a dati e testi.

Il primo capitolo si sofferma sulla definizione della società signorile di massa, che ho già richiamato nei suoi tre elementi essenziali, e descrivendone i riferimenti anche quantitativi.

Il secondo illustra i pilastri della società signorile di massa. E se forse non è una sorpresa trovare nel risparmio accumulato dalle generazioni dei genitori e dei nonni (grazie, eh!) il fondamento di un livello dei consumi di consumo che non è certo sostenuto solo dal lavoro, lo è certamente trovarvi il fenomeno (ahimè conosciuto, ahinoi ahivoi e ahiloro) della distruzione della scuola, con le sue conseguenze negative descritte con mirabile sintesi, ed ancor più la presenza di una "infrastruttura paraschiavistica" formata da quelle minoranze di lavoratori, per lo più stranieri, occupata in mansioni non gradite agli italiani (talvolta illegali) ed in condizioni di sfruttamento. Apprendere le dimensioni di questa realtà, nelle stime rese sempre semplici da Ricolfi, risulta particolarmente istruttivo.

La descrizione della "condizione signorile" dice molto di noi: senza che possiamo gloriarcene troppo. Sembriamo aver risolto, avverando la profezia di Keynes, il problema economico, grazie all'aumento della produttività: peccato che il minor lavoro non sia stato ripartito proporzionalmente, ma dividendo nettamente coloro che lavorano (molto o anche troppo) da quelli che non lo fanno. Il tempo libero guadagnato non lo abbiamo usato per acculturarci, vivere in modo più saggio; ma dedicato ai consumi collegati al cibo, alla rete, al gioco. In pratica cazzeggiamo (" siamo, in definitiva, un paese che non studia, non legge e gioca. Ma sconcertante è anche il fatto che le speranze di ascesa sociale, un tempo legate allo studio e al lavoro, ora si riducano alla scommessa di bruciare le tappe dell’ascesa sociale con una puntata al gioco del lotto, o con la partecipazione a un programma di quiz in TV. E ancora più sconcertante, forse, è la crescente incapacità di occupare il tempo vuoto con l’arte dell’ozio, fatto semplicemente di solitudine, contemplazione, pensiero, amicizia. E persino di noia.").
La composizione del consumo si è evoluta negli ultimi trentanni: alla tradizionale triade casa, auto e vacanza si sono aggiunti cospicui consumi per categorie che vengono descritte riepilogandole in "food", "fitness", "servizi alle famiglie", "internet e tecnologia", "droghe" e "gioco" (impressionanti i numeri di quest'ultima categoria); ed in molte di queste categorie le "classifiche" internazionali vedono  ai primissimi posti per il consumo l'Italia (cioè la maggioranza degli italiani che vi accedono).

Segue una tratteggiata descrizione delle conseguenze psicologiche della "mente signorile", in particolare del "doppio legame" tra i produttori e non-produttori, dell'insoddisfazione connessa ad aspettative lontane dalla realtà. Il nuovo rapporto tra risparmio e consumo (anche per del "subconscio successorio") è connesso un nuovo "carpe diem", in cui del concetto oraziano però si perde l'essenziale (l'elogio della moderatezza), ed una nuova accezione dell'individualismo, in cui mutano gli aspetti essenziali dell'affermazione di sè. 
Il passo che ne tratta (sottolineature mie) concettualizza mirabilmente idee che mi frullavano disordinate per la testa: "Tradizionalmente, perseguire l’ideale dell’autorealizzazione significava cercare di raggiungere una certa meta, spesso definita da una condizione professionale, ma non di rado anche da condizioni di altro tipo: costituire una famiglia, comprare una casa in campagna, acquisire un certo bene più o meno prestigioso, riuscire a ottenere una determinata laurea, fondare un’associazione, essere ammesso in un determinato club, vincere un campionato sportivo. Questi modi di perseguire l’autorealizzazione, in campo professionale o in altri ambiti, comportavano soltanto di mettere in atto gli sforzi necessari per realizzare il proprio sogno. Sforzi non di rado fatti anche di fatica, sacrifici, rinunce, ma soprattutto della capacità di attendere. 
Oggi è sempre meno così. Oggi per molti, specie se non lavorano, autorealizzazione significa scegliersi un terreno di gioco, che è quasi sempre legato al consumo e al modo di impiegare il tempo libero, e cercare di “essere qualcuno” su quel terreno. Di qui un completo capovolgimento del modello classico di autorealizzazione: le attività prescelte per costruire sé stessi sono perlopiù gratificanti e, di norma, non comportano alcuna attesa.
Vale ovviamente per lo svago, il cibo, le vacanze, il consumo culturale. Ieri si leggevano i libri, ora si va alle presentazioni, ai festival, alle fiere, a veder parlare l’autore. Assai più gratificante che stare a casa, da soli, a leggere...
Lo sforzo non sta più nel raggiungere, faticosamente e nel tempo, una meta o una posizione cui si ambisce, e il cui valore è già socialmente riconosciuto. Il vero sforzo sta nel trovare la nicchia in cui emergere, nel convincere gli altri che quella nicchia ha valore, e che noi stessi ne siamo occupanti significativi. Il che, nell’era di Internet, tipicamente significa diventare promotori di sé stessi, quotidianamente impegnati nella fatica di Sisifo di coltivare i propri follower, massimizzare la propria reputazione, valorizzare la propria immagine. Una valorizzazione che, a quanto pare, deve essere innanzitutto visiva, e potenzialmente rivolta a tutti.

Infine, Ricolfi si interroga sulla unicità del caso italiano e sulla possibile capacità anticipatoria rispetto ad altri paesi. 
Si interroga soprattutto sulla domanda fondamentale: "signori per sempre?" (in altri termini, può durare?). La risposta, al solito, non è ideologica: forse sì, magari sì. La chiave risulta, in un sistema di economie interconnesse, la capacità di attirare il credito tenendo sotto controllo  il debito pubblico, e soprattutto avere una produttività che sostenga esportazioni competitive sufficienti a compensare le importazioni. Punto dolente, quello della produttività, incredibilmente stagnante pur con tutto il progresso tecnico (con causa che l'autore non esita ad indicare nella variabile burocratica e  nell'ipernormazione, specialmente a seguito della riforme "federaliste" di fine secolo): " Abbastanza prosperi per permettere a tanti di noi di non lavorare, non siamo abbastanza produttivi per permetterci di conservare a lungo la nostra prosperità. La produttività del lavoro del sistema-Italia non è solo ferma da vent’anni, ma è bassa, molto più bassa di quello che sarebbe richiesto dai nostri consumi (e dai nostri costumi): il fatto è che da mezzo secolo viviamo al di sopra delle nostre possibilità. Ecco perché il vittimismo non è giustificato."
C'è speranza?
È paradossale, ma quel che potrebbe succedere è che il racconto vittimistico oggi prevalente, alla lunga, funzioni come una profezia che si autorealizza. Proprio perché ci rifiutiamo di prendere atto del nostro benessere e della sua fragilità, potremmo benissimo, fra qualche decennio, trovarci ad avere perfettamente ragione – arrivati a quel punto – a raccontare noi stessi nel registro delle vittime. 
Il problema, dunque, è non arrivare a quel punto. Fortunatamente la varietà di esperienze delle altre società avanzate ci mostra che, in quel che una società diventa, non vi è nulla di ineluttabile, e che ogni società è padrona del suo destino. Ci sono società, come i paesi luterani del Nord, che sono diventate opulente puntando sul lavoro dei più. E altre che hanno preferito percorrere la strada opposta: prendere congedo dalla civiltà del lavoro prima di raggiungere la piena opulenza.
L’Italia sta in mezzo, perché è riuscita nel miracolo di diventare una società al tempo stesso opulenta e inoperosa, perfetta realizzazione dell’archetipo di società signorile di massa. Il rischio, ora, è di non cogliere il punto decisivo: se nulla si fa, il nostro stupefacente equilibrio è destinato a rompersi, quando la stagnazione si trasformerà in declino.
 

domenica 8 agosto 2021

Italia! Italia!

 E' dura scegliere l'emozione più grande.

La più inaspettata, nella corsa più importante: Signore mio, cosa hai combinato?


La goduria di tutti nel sorpasso all'ultimo respiro degli eroi dell'inseguimento.

Sul fino di lana il vincitore è sempre lo stesso: Italia, Italia!

 

sabato 7 agosto 2021

Quasi quasi divento qualunquista. O forse no

Da giorni i Tg aprono con le imprese da sballo dei nostri atleti, da ultimi i formidabili velocisti della 4x100 diventati anche loro campioni olimpici.

E' bello rivedere le gare, sentirne le parole semplici come il percorso che ognuno di loro ha compiuto, quello in cui solo il lavoro, la fatica ed il sacrificio portano ai più alti risultati.

Dopo i 4-5 servizi dedicati alle Olimpiadi, ecco quelli sui provvedimenti del governo, importanti e per lo più condivisibili, tanto che non vi è grande eco di discussione sul loro inevitabile contenuto.

Arriva purtroppo il momento del pastone politico, ed ecco che personaggi di quarta schiera (talora, nondimeno, segretari di partiti politici) che rendono dichiarazioni su tutto, cercando di mettere il cappello su qualche provvedimento oppure di piantare qualche bandierina verbale su questa o quella posizione. Un vaniloquio nello sforzo inane di giustificare la propria esistenza, ecco quello che sembrano le loro parole.

Aridatece le Olimpiadi, pensiamo. Diteci le gare di domani, questo ci interessa. Di questa politica non sappiamo che farcene, e al governo c'è chi ci pensa, alla guisa di un dictator romano, il migliore di tutti noi.

Riguardiamo le lacrime di Tortu, ascoltiamo le parole di Jacobs che ha dimostrato di avere anche il piglio del leader, incrociamo lo sguardo felice di Desalu, che si fa serio quando parla del debito verso i sacrifici della madre.

Pensiamo allora che oltre alle grandi gioie sportive, forse la nuova generazione prepara, è già, un Paese migliore di quello che gli sta per lasciare la nostra. 


giovedì 5 agosto 2021

Cazzo vuoi dire a Valentino Rossi?

Con una delle mie uscite più consunte mi vanto che la mia generazione ha iniziato con Pantani (1970), ha vinto il mondiale in Germania (Cannavaro, Nesta, Pirlo, Gattuso, Delpiero, Totti ecc. ecc. tutti dei 70'), ha finito con Valentino (1979).

Oggi quest'ultimo campione lascia, consegnando il nostro decennio alla pensione, mentre lui non passa alla leggenda solo perchè è una leggenda già da tempo immemore.

Certi (pochi) campioni accompagnano alla leadership tecnica che ne fa i numeri uno della loro disciplina in un determinato momento quel carisma che permette loro di travalicare i confini del loro sport e dello sport, facendone vere icone pop, e al tempo stesso ambasciatori della loro disciplina che fanno conoscere ben al di là dell'ambito degli appassionati.

Lorenzo ha sintetizzato il concetto paragonandolo a Jordan, Alì, Woods, Senna. 

Mica male.

Direi anche Alberto Tomba, per come ha saputo essere personaggio che ha calamitato attenzioni su uno sport prima (e dopo, per lo sci: chi la guarda oggi, la Coppa del mondo per la quale ai miei tempi sospendevano le lezioni di scuola e il festival di Sanremo?) ai più sconosciuto. E ci sono anch'io tra quelli che prima del dottore un MotoGp non l'avevano visto mai.

Grande Vale, ma che tristezza.




lunedì 2 agosto 2021

domenica 1 agosto 2021

Che emozione!

Una data da segnare con il circoletto rosso. Indimenticabile, veramente.

Un italiano che vince i 100, non pensavo l'avrei mai visto.

Un orgoglio così, forse solo il Pirata ce l'ha dato.


domenica 25 luglio 2021

Viva la lotta all'evasione vaccinale

 Qualche mese fa ho usato (coniato?) l'espressione "evasione di vaccino" per descrivere il verso significato sociale delle persone che non vogliono vaccinarsi contro il COVID 19.

Superata la fase in cui la carenza delle dosi allontanava il problema di una fascia così ampia di popolazione non intenzionata a vaccinarsi da rendere impossibile il raggiungimento delle soglie che assicurano l'immunità collettiva, si pone nuovamente il problema di come evitare che istanze individualiste, che dobbiamo francamente chiamare egoiste, arrechino gravi e letali danni alla collettività.

C'è una questione di decisione politica: con l'obbligatorietà o altre misure, lo stato deve costringere o quantomeno indurre il maggior numero a vaccinarsi, inevitabilmente con norme che prevedono penalizzazioni per i free riders del vaccino. 

Il DL dell'altro giorno va in questa direzione, e sarà di certo il primo di altri passi ove la situazione dovesse peggiorare.

L'altra questione è comunicativa. Si punta troppo sulla convinzione, sulla consapevolezza. Poichè di certo un comportamento (molto relativamente) pericoloso si affronta più volentieri per ragioni egoistiche (nel vaccino sono il non ammalarsi ed avere conseguenze meno gravi dalla malattia) che per quelle altruistiche (contribuire alla sconfitta della pandemia anche se a patirne di più le conseguenze sono gli altri), si punta tutto sulla logica del tipo "proteggete voi stessi ed i vostri cari, vaccinatevi".  Si tratta di un tentativo vano. Le persone che decidono sulla base della propria convenienza sono ovviamente portate ad una analisi comparata rischi benefici, e trovano svariate analisi in cui avere conforto al loro intento di non vaccinarsi.. basti pensare ai genitori dei ragazzi trai 12 ed i 16 anni.

Bisogna martellare sulla ragione altruistica: vaccinarsi per sconfiggere il contagio ed evitare che gli altri si ammalino; per evitare che l'economia vada a remengo. Convincere (anche sputtanando chi rifiuta questa logica) che è giusto affrontare un piccolissimo rischio per il bene di tutti. 

Una comunità i cui membri non accettano di farlo non è una comunità.


martedì 6 luglio 2021

Porte aperte

 di Leonardo Sciascia


Opera breve e magistrale.

Altra riflessione sulla giustizia, ove il tema della pena di morte più che l’oggetto è l’occasione per soffermarsi sul rapporto tra un giudice e la propria coscienza nell’applicare la legge, quella legge. Sui meccanismi psicologici del giudizio.

Sulla possibilità per un cittadino di affermare un principio giusto, anche contro il proprio interesse e la reale utilità.

Le porte aperte sono quelle che per la propaganda potevano essere lasciate nel corso di quel ventennio iniziato quasi un secolo fa; invocate come preteso fine di legislazioni come quella che reintrodusse la pena capitale.

Ma nessuno le lasciava poi aperte, le porte (anzi erano più quelle che gli italiani trovavano chiuse; e restava la pena di morte (e tutto il resto che il regime comportò), come il paradosso di un impero che appena raggiunto determinava la penuria di beni prima diffusi.

Sciascia è al solito generoso di citazioni (non mancano i prediletti Borges, Stendhal ed il Manzoni che pennellò il “troncare e sopire” così adatto al modo profondo con cui l’Italia accolse il fascismo); e di lampi di genio che offrono vera intelligenza della vita.

Tant’è che spesso ci si sbaglia, nel giudicare i nostri simili come del tutto simili a noi. Ce ne sono di peggio, ma anche di meglio.

O del carattere nazionale (cui però ci può sottrarre):

Giolitti diceva che nel nostro paese a nessuno si nega un sigaro e una croce di cavaliere; e nemmeno un certificato medico falso, io aggiungo; e nemmeno a me sarebbe stato rifiutato

Una lettura che regala come sempre idee, intelligenza, desiderio di nuovi libri e di nuove conoscenze.

venerdì 25 giugno 2021

Rubè

 di Giuseppe Antonio Borgese


No, non è un libro sulla storia della Juve.

E' un romanzo poco noto cui sono arrivato uditane l'inclusione del suo autore, già antifascista, esule e fautore di una "Costituzione mondiale", in una sorta di "pantheon" pannelliano.

Una scrittura alta e non facile accompagna l'evolversi di una nevrosi che è al tempo stesso del protagonista e dei suoi tempi, dai mesi prima della grande guerra a quelli delle prime adunate fasciste. 

Rubè è un intellettuale che a furia di introspezione finisce per rovinare se stesso e tutto quando lo circonda, alla ricerca di qualcosa che non c'è.



mercoledì 23 giugno 2021

We are the people we've been waiting for

Ogni tanto c'è bisogno di un po' di ottimismo, di buoni sentimenti. 

La tentazione di rifiutarli quando vengono "precotti", cercati in una canzone, un film, una trasmissione, è forte: ma se subentra l'arte di due come Bono e The Edge ci si arrende volentieri.

Il nuovo inno degli europei non è solo una bella canzone con un ritornello perfetto per gli stacchetti pubblicitari; è un pezzo che riesce a far emozionare pensando che, forse, potremmo essere quel che vorremmo essere.     

Siamo la gente che abbiamo atteso,
usciti dalle rovine dell'odio e della guerra
un esercito dell'amore così come non lo si è mai visto prima.
Siamo il popolo della mano aperta,
dalle strade di Dublino a Notre Dame,
rifaremo il mondo migliore di quanto
non lo abbiamo costruito prima

E ancora

From a broken place

That’s where the victory’s won


Dai che vinciamo. Magari non solo gli europei.






mercoledì 16 giugno 2021

Summum ius, summa iniuria

Se c'è una questione che incide in maniera grave e decisa sulla libertà e sulla democrazia, in questo Paese, è quella della giustizia.

I tempi sembrano maturi perchè trovi più ampia diffusione la percezione di quanto incidano, tanto sul funzionamento del sistema democratico quanto sulla libertà di noi cittadini, gli attuali "equilibri" tra i poteri, in gran parte in connessione con il totale regime di irresponsabilità dei magistrati, e grazie ad una sempre presente grancassa giacobin-moraleggiante dei puri di turno (tali ovviamente fino al prossimo turno: giunti al quale penseranno forse anch'essi che si può parafrasare Calamandrei affermando che la presunzione d'innocenza è come l'aria: ci si accorge di quanto vale solo quando viene a mancare).

I referendum radical-leghisti sono uno strumento che propone delle soluzioni nella giusta direzione: troveranno formidabili ostacoli, ovviamente autoriferiti ad una difesa della Costituzione (a mio sommesso avviso del tutto malintesa), ma anche il sostegno mio, all'iniziativa e a chi la propone.

Ragionandone nel corso di una interessante iniziativa sul tema (link al minuto 1.00.50), Claudio Martelli è riuscito ad elevare lo sguardo, ricordando in tema di "panpenalismo" quanto ebbe a dire Solgenytsin durante l'ultima conferenza ad Harvard, prima di tornare in Russia: "guardate, io sono stato condannato dal comunismo, ho passato anni in un gulag, ho combattuto il comunismo; so di che si tratta. So che quella forma di autocrazia, di autoritarismo, di regime poliziesco è un "male assoluto". Ma stati attenti voi americani, state attenti voi occidentali: se la Russia ha rischiato di morire di comunismo voi rischiate di morire di giuridicismo". Per Martelli "è un ammonimento profondo perché la vita non può essere tutta quanto sospesa alle regole anche del diritto più perfetto; non può funzionare così, la convivenza. Del resto persino alcuni magistrati che nella loro carriera non si sono risparmiati, nelle loro funzioni dal considerare salvifica la loro funzione accusatoria e la loro funzione giudicante; e al termine delle loro esperienze professionali hanno fatto amare confessioni sull'impotenza di questa via giudiziaria per migliorare o riformare la società.  Anche da questo bisogna trarre insegnamento e ridurre la sfera generale del diritto ed in particolare la sfera penale a una dimensione umana accettabile, che non soffochi la vita civile, anche i contrasti normali che esistono nella vita civile, anche quello che non ci piace, anche quello che dal punto di vista morale forse non non gradiamo; ma non ha importanza quali sono le nostre preferenze morali: conta che si organizzi un terreno, un campo, nel quale ciascuno possa esprimersi liberamente finché l' esercizio e la propria libertà non nuoccia ad altri


lunedì 14 giugno 2021

Monte Cuarnan da Montenars

Ripeto dopo qualche anno questa ascensione, dopo un paio di tentativi che non mi hanno condotto alla cima.

Alle 8 sono a Iouf, località poco dopo Montenars dove lascio l'auto.

Breve ascensione di circa trenta minuti e si arriva alla biforcazione dei sentieri. E' anche quasi finito l'attraversamento del bosco, da ora si procede in battuta di sole. Prendo il percorso meno battuto e più difficile, facendo l'anello in senso antiorario. 

Arrivo alla chiesa del Redentore, non senza un po' di affaticamento nel tratto finale, alle 10.20. Come prevedibile c'è un discreto affollamento, che lascio al suo destino, dopo aver ammirato il panorama,  iniziando rapidamente la discesa, che concluso verso mezzogiorno.

Escursione vicina vicina e a quote basse, ma da non sottovalutare se presa dal percorso che ho scelto, e comunque presentante 700 metri di dislivello.


domenica 13 giugno 2021

Il Toro non può perdere

 di Eraldo Pecci


Lettura tutta d'un fiato di un libro nostalgico e divertente.

Il "mitico Eraldo" non dimentica nessuno, tra i protagonisti di un impresa d'altri tempi, regalando veloci ritratti, decine di aneddoti, e qualche vera risata.

Un atto d'amore per una squadra, uno sport, un'epoca che non c'è più; forse un pocolino per la vita.

La guerra civile spagnola

 di Harry Browne

Testo agile ma completo, non si perde in troppi dettagli ma fornisce le informazioni essenziali e la chiave di lettura dell'autore, che sottolinea la genesi e lo svolgimento del conflitto nelle sue ragioni interne, evidenziando come il coinvolgimento internazionale e l'interpretazione della guerra come anticipazione della seconda guerra mondiale siano un aspetto secondario.

I did it. We did it

Mi sono vaccinato, ormai una ventina di giorni fa.

Ho preso appuntamento il primo giorno utile, sono andato fino a Latisana per farlo qualche giorno prima; non per guadagnare giorni di copertura, per dare un'ignota testimonianza dell'importanza che attribuisco al fare, (anche) in questo occasione, la mia parte.

Ho trovato volontari (e volontarie), infermieri (e infermiere), medici (no, non c'erano mediche), tanta gente in file senza lamentarsi, aiutata da una buona organizzazione a fare il prima possibile.

Un popolo che ha capito la cosa da fare, e la fa, maggioranza silenziosa, con serietà e senza clamore.

L'abbiamo fatto. Lo stiamo facendo. Ce la faremo.

mercoledì 26 maggio 2021

Grazie, Gran Capitàn

In un tweet di augurio per il 27mo compleanno di Rodrigo De Paul, il profilo dell'Udinese riesce a descrivere la grandezza del campione argentino con poche parole: "Tecnica. Sacrificio. Velocità. Leadership"


Quando sei arrivato, con i crismi del talentuoso che aveva fallito la sua prima prova in Europa, ti sei  preso la responsabilità di mettere la 10 di Di Natale. Pensai: "la personalità ce l'ha, vediamo il resto".

In 5 anni in cui per noi tifosi le soddisfazioni sono state pochissime e sommerse da una messe di partite inguardabili, ci hai dato le uniche gioie, hai salvato la baracca quando serviva, sempre decisivo nelle partite che ci hanno garantito il mantenimento della categoria.

Hai dato tutto, di più di quel che ci si può aspettare da un campione delle tue caratteristiche. Alle giocate decisive e ai gol impossibili hai accompagnato tante rincorse degli avversari, i tackle affondati quando serviva, le proteste e la rabbia per le sconfitte proprie di uno che ci teneva.

Dal 1983 sono un abbonato, ne ho visti di giocatori, molti nazionali, ma una mezzala così forte e completa no (tecnica, grinta, visione di gioco, senso del gol, capacità di soffrire). Quest'anno hai giocato da fuoriclasse, le statistiche parlano e solo la stagione del Presidente può mettere in dubbio che tu sia stato il miglior centrocampista del campionato. Sei diventato un giocatore che, a mio sommesso parere, merita un livello superiore a quello di Inter Juve e Milan.

Sei stato leader ancor prima che capitano, di quelli che si fanno sempre dare la palla, perchè sono sicuri dei loro mezzi, ma che vogliono anche dare forza ai compagni.

Hai onorato questa maglia, non ci hai lasciato quando la tua partenza poteva mettere a rischio la salvezza, nell'ultimo anno hai preso in mano la squadra da condottiero non solo tecnico, ma anche comportamentale.  

Ti sei comportato da uomo, e da persona che ha capito e rispettato la gente in mezzo alla quale era venuto.

Prima di te abbiamo avuto tanti grandi capitani, non tutti grandissimi giocatori, ma uomini che hanno mostrato cosa vuol dire amare l'Udinese: Galparoli, Calori, Sensini, Bertotto, Di Natale. Sei degnamente uno di loro.

Quella maglia numero 10 ora è la maglia di tre grandissimi campioni, Zico, Di Natale e De Paul.

Grazie, Gran Capitàn

  


mercoledì 19 maggio 2021

Date a Pannella quel che è di Pannella

Francesco Merlo dedica a Pannella un pezzo all'altezza dei suoi migliori, nel quale trova il modo di ricordare le parole di Sciascia, le più adatte a descrivere l'incontro (non solo il suo) con lui: "non sapevo che saresti venuto ma quando l' ho saputo ho capito che ti stavo aspettando"
Molto più di una cancel culture la sinistra italiana ha bisogno di una glorify culture e non certo per chiedere scusa a Marco Pannella, che sarebbe un indulgere al vittimismo, ma per elevarlo ad archetipo italiano della libertà, accanto a Gramsci e a Salvemini, che sono gli archetipi del pensiero, e a Garibaldi, che è l'archetipo dell'uomo d'azione.
Archetipo della libertà. 
Chissà che pian piano non diventi vero quanto scrivevo cinque anni fa, rivolgendomi a Marco: "forse passata l'emozione sarai finalmente riconosciuto come un padre della patria".
 

Con un canestro di parole nuove, calpestare nuove aiuole

martedì 18 maggio 2021

I figli che non vogliamo (vogliono)

E' raro leggere un pezzo interessante, profondo, sincero come quello scritto da Ritanna Armeni e pubblicato su "il Foglio" di ieri.

L’Italia invecchia, fa pochi figli ma l’opinione pubblica sorvola sulle vere cause della crisi demografica.

Da donna di una generazione che le battaglie per i diritti le ha combattute decenni fa, prova a capire cosa c'è nella testa e nel cuore delle giovani (?) amiche che sempre in maggior numero prendo la decisione di rinunciare alla maternità, e riesce a farlo senza giudicare, senza diventare uno di quei genitori che non riescono a riconoscere degli altri se stesso nei figli di cui criticano le scelte.    

Rivolgendosi a Draghi che ha parlato preoccupato del tema in una sede in cui la questione è stata trattata come problema demografico, prova a spiegargli che non sono giovani, a ben vedere, queste ragazze che dovrebbero riprendere a fare figli. E non è certo un problema economico che le induce alla loro scelta. 

Hanno fatto una scelta di vita; che la Armeni capisce: "Le mie giovani amiche, presidente Draghi, mi piacciono. Anche quando mi irritano. Mi piace quando difendono la loro libertà e non accettano di farsi imbrigliare. Quando finalmente rifiutano ogni ipocrisia affermando che un figlio le metterebbe in una sorta di custodia cautelare e loro non hanno nessuna voglia di rinunciare alla loro libertà, ai loro progetti. Un tempo affermazioni di questo tipo venivano solo o soprattutto da esponenti del sesso maschile. Ragazzi sicuri alcuni, Peter Pan altri, inseguiti da ragazze che volevano una relazione più stabile e anche, magari, a un certo punto un figlio. Mi piace che apprezzino la vita che si sono costruite. Sono “cattive ragazze”, sono egoiste forse, pretendono, non si lasciano abbindolare dai buoni sentimenti. Hanno osservato bene le fregature subite dalle loro madri e dalle loro nonne. Non vogliono corde, anche amorevoli, che le leghino. Hanno spiccato il volo e va bene così." 
E' una scelta che ricorda ad Armeni quella della sua generazione: Anche allora non accettavamo l’obbligo alla maternità, non volevamo che la biologia interferisse con la libertà, che per noi donne ci fosse un destino segnato. Era una scelta che somiglia molto a quella delle mie “cattive ragazze”. Ma noi, pur di vincere, facemmo un compromesso con l’immaginario femminile prevalente nella società. Parlammo di donne povere e disperate che di figli ne avevano già tanti e non potevano permettersene un altro, di pericoli per la vita della madre, di giovani spezzate da un avvenimento non previsto e che erano costrette a privarsi del loro bambino, di aborto come dramma.

Ora non è più necessaria quell'ipocrisia, che era anche un po' la ricerca di alleanze. "Non temono di mostrarsi “cattive”. Dicono la verità e possono permetterselo perché la loro libertà è maggiore della nostra e ha già modificato i rapporti con l’altro sesso.

C'è stato un salto che ha rotto un equilibrio. Le donne della generazione di Armeni Avevano studiato e, contrariamente alla generazione precedente, avevano sempre contemplato il lavoro come elemento essenziale della propria esistenza. Ma i loro compiti nella famiglia erano gli stessi. Se volevano un figlio, o se un figlio capitava, sapevano di dover “fare dei sacrifici”. Ed ecco la capacità di essere multitasking, di lottare su più fronti: l’azienda, i bambini, le relazioni familiari. Per questo sono state lodate dai politici e dai sociologi. Così piacerebbero ancora. Con la “doppia presenza”, in questo modo veniva e viene chiamata e la società e lo stato si assolvevano e mettevano da parte le loro mancanze. Le donne, poi, erano addirittura orgogliose di essere capaci di fare tutto. Alcune guardavano con sufficienza gli uomini pigri e viziati che sapevano dedicarsi solo al lavoro. Loro erano differenti. Esauste, prive di un momento solo per loro (e la libertà?) ma capaci di fare tutto. Potevano essere madri e lavoratrici. Che meraviglia!
Le “cattive ragazze” di oggi sono figlie e nipoti di quelle donne e hanno visto. Le hanno viste affaticarsi fra un lavoro spesso non interessante (perché, per fare carriera, occorre un tempo maschile) e il carrello del supermercato, le hanno osservate mentre erano divise fra le ambizioni e la famiglia, hanno assistito al ridimensionamento dei desideri e allo sgretolarsi dei sogni. Hanno visto. E nella loro mente hanno annotato.
E’ stato così che l’equilibrio si è rotto. Le “cattive ragazze” hanno preteso una libertà maggiore di quella delle loro madri, di sacrifici e dedizione non vogliono sentirne parlare e il secondo piatto della bilancia, quello che conteneva l’accettazione dei sacrifici e dell’incerto è saltato in aria.
Ci sarà un nuovo equilibrio? Per averlo Lo stato e la società devono dimostrare alle “cattive ragazze”, e nei fatti, che la maternità non ridurrà la loro libertà, all’opposto la renderà più ricca, più forte e più autentica.
Dall'altra metà del cielo poche illusioni: Non credo che avverrà. La società degli uomini è abituata a sottovalutare le donne. Non è sufficientemente allarmata. Preferisce rassicurarsi invece che aprire gli occhi su quello che sta accadendo.
Ma anche le donne hanno la loro responsabilità: La libertà, diceva un cantante che durante la mia giovinezza era tanto amato “non è uno spazio libero”. Non è conservazione di un futuro immaginato che si contrappone a un passato che non piace. E’ fatto anche di audacia, di capacità di rischio e di sfida. Invece spesso sono poco coraggiose. Deluse dalla politica non la inchiodano alle sue responsabilità, non pretendono, non urlano. Si ritirano in quel che il mondo permette senza accorgersi che anche la loro libertà è comunque limitata, di seconda mano. E’ solo quella che la società degli uomini è disposta ad accordare a una minoranza delle donne del pianeta, in una ristrutturazione del rapporto fra i sessi che dominiamo ancora poco. E che, invece, dovremmo prendere più saldamente in mano. Il problema delle donne della mia e della vostra generazione è l’incapacità di rischiare di sbagliare.

giovedì 6 maggio 2021

Contro il calcio moderno

 di Pierluigi Spagnolo

Una volta mi compiacevo quando, dopo aver formulato un'idea, la ritrovavo in libri, articoli di giornale o dichiarazioni in televisione. Un po' di frequentazione dei social fa capire agevolmente che, per quanto originale, quasi ogni pensiero che si formula si affacciato anche alla mente di molti altri, e toglie un po' di soddisfazione. 
Tuttavia, ne rimane, a vedere nero su bianco, e assemblati per cercare un senso, più di qualche idea  che ho ruminato negli ultimi anni.
E' un libro di parte: dalla parte dei tifosi. 
Una categoria che l'evoluzione del movimento vuole evidentemente eliminare, trasformando i tifosi in spettatori passivi e consumatori. In clienti. Senza neppure riconoscergli quel diritto, che è proprio dei clienti, ad avere sempre ragione. Sembra invece che i tifosi abbiano sempre torto.
Gli stadi in teatri (l'autore mutua dall'urbanistica la definizione di "gentrificazione" degli stadi), con prezzi non alla portata di un pubblico popolare, ma di "turisti del pallone" e benestanti che rendano il pubblico addomesticato e meno problematico. Con l'illuminazione psichedelica, le formazioni all'americana. Le esultanze guidate, la musica che copre i cori.
Le maglie più impensate, i loghi stravolti, le partite all'estero o ad orari impensati.
Calciatori pagati come divi, a tutto discapito di bilanci inesorabilmente gonfi di debiti irredimibili.
Spagnolo offre cronaca, dati e riflessioni su un percorso iniziato negli anni 90 e ormai arrivato ad un passo dall'esplosione del sistema. E diversi spunti molto interessanti.
La premessa è la definizione delle caratteristiche del calcio moderno:
- la sovraesposizione mediatica, con tutte le partite in diretta e a pagamento;
- la scomparsa della ritualità domenicale in favore dello spezzatino;
- la svolta finanziaria, con conseguente aumento del divario tra le società maggiori e quelle minori;
- la crescita di spesa per ingaggi e acquisto dei calciatori
- la perdita di centralità dei tifosi;
- la demonizzazione del tifo organizzato ed in particolare degli ultras.
All'ultima Spagnolo dedica pagine che fanno riflettere, offrendo un punto di vista diverso sul movimento ultras, ultima controcultura e (anche nei suoi aspetti deteriori) specchio di una società di cui si vuole nascondere la parte più genuina ed appassionata. Le innegabili violenze vengono a suo avviso utilizzate come utile pretesto (magari utilizzando alla bisogna il feticcio - a suo dire illusorio- del modello inglese) per escludere i tifosi non graditi, portandosi verso un modello in cui saranno le società a scegliere gli spettatori a loro gradite. Senza infingimenti viene affrontato anche il tema del razzismo (piaga reale, da combattere, presente nella società prima ancora che negli stadi), citando l'opinione di uno studioso inglese che ha avuto il coraggio di individuare in certe becere espressioni insulti tribali, ma non espressione di razzismo. Che però sono utilizzati come un grimaldello, come un ulteriore strumento per criminalizzare indistintamente i tifosi delle curve. Diventano così il viatico e la giustificazione alle nuove restrizioni, la scusa per imporre negli stadi un linguaggio sempre più sotto tutela, addomesticato nel suo complesso.
Finalmente
Quante volte l'avevo pensato, che certi insulti non erano razzisti (magari altri sì), ma rivolti a quello che nei novanta minuti viene identificato come il nemico di una lotta mortale. 
E che l'educazione non si deve imporre per legge o per contratto, che il diritto di urlare "juvemerda" non ce lo possono togliere. Fanculo al "calcisticamente corretto".
Lo spunto merita attenzione anche ove identifica gli stadi come "palestre della repressione", ove si sperimentano istituti di dubbia costituzionalità come il DASPO, infatti poi riciclato per altre casistiche.
In un'altra pagina interessante Spagnolo spiega bene quello che molto più evidente che compreso, la differenza tra sportivo e tifoso. Chiaro che certe manifestazioni non sono sport: il tifoso parteggia, è fazioso, gufa, alla faccia di un finto perbenismo che ha stancato (insopportabile il senso di superiorità di quelli che ti spiegano come sia naturale tifare sempre per le squadre "italiane").
Nel suo accorato sfogo l'autore racconta poi delle improbabili maglie, dell'incomprensibile cambiamento dei loghi, dei calciatori-divi viziati. Prevede con precisione il fattaccio della Superlega. E finisce con un paio di belle storie ed il racconto di alcune iniziative che vogliono fa rivivere il "calcio popolare".
Forse è un po' qui, nella "pars costruens", che si arena la capacità di analisi (e anche un po' la rabbia) di noi che "non ci piace più".
E' davvero immaginabile un ritorno al passato?
E' davvero così ingiusto che lo spettacolo penalizzi i 10mila udinesi o 50mila milanisti, visto che favorisce qualche milione di sportivi (tra cui molti tifosi) seduti sul divano?
Non è bello lo stadio nuovo?
Buoni argomenti aiutano il calcio-showbiz a imporre le sue regole, è vero. 
Ma quando il dilemma è chiaramente tra i soldi e la passione, non è difficile scegliere da che parte stare.




sabato 1 maggio 2021

Nell'Italia degli odiatori per fortuna c'è Gemma Capra

La vicenda dei 7 ex terroristi (ingiusta formula semplificatoria) arrestati in Francia, in vista di una possibile estradizione, è di quelle che appaiono troppo semplici quando se ne apprende la notizia, e troppo complessa quando si comincia ad approfondire.

Sono portato a rifuggire dalla reazione quasi unanime di plauso alla giustizia finalmente fatta, che mi sembra un riflesso della passione nazionale per le manette e il carcere. 

La lettura contraria, che pur si richiama agli stessi fondamentali principi della prescrizione, e per la quale sarei portato ad aderire per spirito libertario e per stima delle persone che la propongono (cito Ferrara, Manconi e Sofri), non mi convince tuttavia appieno.

Sofri la formula più o meno così, ricordando che nessuno dei rifugiati in Francia ha mai più commesso delitti: “la cosiddetta dottrina Mitterrand ha realizzato il fine più ambizioso e solenne che la giustizia persegua: il ripudio sincero della violenza da parte dei suoi autori, e così, con la loro restituzione civile, la sicurezza della comunità. La Francia repubblicana è riuscita dove il carcere fallisce metodicamente”.

Una risposta può essere quella di Benedetta Tobagi: "Nel tumulto degli anni Settanta, milioni di italiani fecero politica in modo non violento, con le manifestazioni, la disobbedienza civile, le battaglie processuali e la controinformazione. Perché, dunque, dovrebbero veder cancellate le proprie condanne gli ultimi di quei pochi che scelsero le armi? Questa giustizia, lenta ma ferma, non è solo per le vittime, è per tutti coloro che all’epoca non deragliarono, sopportando la fatica e le frustrazioni della pratica democratica”. E' un concetto che fa riflettere, anche perchè pur formulato dalla figlia di una vittima, inquadra la questione dal punto di vista del resto della società. E' un po' l'argomento contro i condoni, fondato sull'attenzione a chi ha rispettato le regole.

L'impressione è che rischi di diventare una discussione per pochi, per i pochi che parteciparono (o furono) vittime di quegli anni terribili, mentre proprio il passare di troppo tempo rende ormai impraticabile l'unica soluzione possibile (e nei fatti sollecitata dalla dottrina Mitterrand), quella politica.

Per fortuna capita di imbattersi nella intervista di Mario Calabresi con sua madre Gemma Capra, che è bello ascoltare in podcast.

Avevo già letto il racconto di Calabresi di come la madre abbia educato lui ed i fratelli a rifuggire l'odio verso chi li aveva privati del padre, per non essere costretti a provare una seconda tremenda perdita, un vita intrisa di rancore.

Dall'intervista emerge una grande e commovente lezione di una persona che è riuscita ad andare oltre l'odio, aiutata dalla fede, dalla vicinanza di molte persone, ma direi soprattutto da una grande intelligenza, che emerge da una frase come questa: "Una persona ha fatto cose negative ma anche tante cose positive, ricordiamolo per le cose positive, per il buon esempio, per il suo affetto, per la capacità di amare gli altri, ognuno ha un suo cammino. E così ho pensato anche di queste persone responsabili della morte di Gigi. Posso io relegare tutta la vita all’atto più brutto che probabilmente hanno compiuto? Forse sono stati dei bravi padri. Forse hanno aiutato gli altri. Forse hanno fatto…Questo non sta a me. Però loro non sono solo quella cosa lì, assassini, sono anche tante altre cose. Ecco, questo mi ha aiutato nel mio percorso di perdono».

Che esempio, che lezione, nell'Italia degli odiatori.