C'è una categoria a rischio di estinzione, braccata dai benpensanti, dagli intelligentoni, dalla ggente comune.
Sono i tifosi.
Persone che amano, vivono una grande passione, e sono abituati a manifestarla nei modi più disparati, anche quelli meno consoni alle regole del politicamente corretto, qualche volta anche dell'educazione.
Come questo:
Che i tifosi fischino chi li ha delusi è la cosa più normale del mondo.
Ma se un giorno, gioca l'Italia, ci sono fischi a San Siro, apriti cielo.
Questa poi era la storia di un ragazzo che aveva davanti a sè una scelta facile facile: diventare, coperto d'oro, il simbolo di una delle società più gloriose al mondo, il capitano del Milan, uno come Rivera, Baresi e Maldini, e al tempo stesso l'uomo che per riconoscenza e amore della maglia rinunciava a qualche soldo in più; oppure diventare, coperto d'oro, l'uomo che tradiva le speranze e l'amore dei suoi tifosi per guadagnare qualche soldo in più in una squadra senza storia e tradizione, dove è uno dei tanti, e quindi il simbolo del calcio moderno dove ogni valore cede all'avidità.
Difficile pensare ad un dilemma più facile da risolvere.
Eppure eppure, l'autore della dissennata, opposta decisione, dichiara bel bello di non aspettarsi contestazioni, al ritorno nel suo stadio, dimostrando di non averla capita per niente, quella gente che alla fine aveva pagato il suo stipendio dorato.
Come non la capiscono i mille soloni che si affannano nei distinguo (eh, ma giocava la nazionale), in improbabili associazioni ("i fischi a Donnarumma sono come gli ululati a Koulibaly!»).
Non albergano raffinate idee, nelle menti dei tifosi, nè impera la razionalità, nei loro comportamenti e nelle loro urla: ma nemmeno quando macinano chilometri per seguire la squadra o pagano costosi abbonamenti alla pay-tv.
Rispettiamo allora, almeno il loro diritto di incazzarsi.
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