di Leonardo Sciascia
Opera breve e magistrale.
Altra riflessione sulla giustizia, ove il tema della pena di
morte più che l’oggetto è l’occasione per soffermarsi sul rapporto tra un
giudice e la propria coscienza nell’applicare la legge, quella legge. Sui
meccanismi psicologici del giudizio.
Sulla possibilità per un cittadino di affermare un principio
giusto, anche contro il proprio interesse e la reale utilità.
Le porte aperte sono quelle che per la propaganda potevano
essere lasciate nel corso di quel ventennio iniziato quasi un secolo fa;
invocate come preteso fine di legislazioni come quella che reintrodusse la pena
capitale.
Ma nessuno le lasciava poi aperte, le porte (anzi erano più
quelle che gli italiani trovavano chiuse; e restava la pena di morte (e tutto il
resto che il regime comportò), come il paradosso di un impero che appena
raggiunto determinava la penuria di beni prima diffusi.
Sciascia è al solito generoso di citazioni (non mancano i
prediletti Borges, Stendhal ed il Manzoni che pennellò il “troncare e sopire”
così adatto al modo profondo con cui l’Italia accolse il fascismo); e di lampi
di genio che offrono vera intelligenza della vita.
Tant’è che spesso ci si sbaglia, nel giudicare i nostri
simili come del tutto simili a noi. Ce ne sono di peggio, ma anche di meglio.
O del carattere nazionale (cui però ci può sottrarre):
Giolitti diceva che nel nostro paese a nessuno si nega un
sigaro e una croce di cavaliere; e nemmeno un certificato medico falso, io
aggiungo; e nemmeno a me sarebbe stato rifiutato
Una lettura che regala come sempre idee, intelligenza, desiderio di nuovi libri e di nuove conoscenze.
Nessun commento:
Posta un commento