lunedì 16 ottobre 2017

Caporetto, una battaglia e un enigma

di Mario Silvestri

Letto con grandi aspettative, questo saggio di un ingegnere nucleare, storico autodidatta.
Mi attirava comprendere quale fosse il carattere nazionale di cui la disfatta si dimostrò momento rivelatore.
La descrizione dei fatti militari è estremamente precisa, ma talmente dettagliata da far perdere il quadro d'insieme ad un lettore frettoloso quale sono stato in questa occasione.
Miravo al punto.
La tesi è che la causa del disastro furono arretratezze psicologiche e tecniche, tare burocratiche e insensibilità del corpo comandante. Tale insipienza della leadership non sarebbe circoscritta a quell’episodio storico, alle stanze dello stato maggiore dell’epoca, ma al contrario permea di sé lunghi tratti di storia patria ed è destinata a manifestarsi in ogni epoca o situazione allorché faccia capolino quella che lui chiama l’Italia caporetta.

Certi passaggi meritano citazione per intero:
L’Italia caporetta non è l’Italia delle giornate di Caporetto: quelle sono la cartina di tornasole. L’Italia caporetta è soprattutto quella che prepara Caporetto. Caporetto ( ) viene da lontano e va lontano. E’ caporetta l’Italia che ( ) crea le condizioni favorevoli alla nascita di una sensazione individuale di scoramento interno, di frustrazione, di senso di inutilità delle proprie azioni, che si concreta nel rifiuto a contribuire all’alimentazione di una spiritualità nazionale.
Eppure l’Italia, fatta di tremila anni della più ricca storia del mondo, è un patrimonio, cui anche l’Italiano inconsapevolmente non rinuncia. E allora dalle Caporetto storiche scaturiscono delle sorprendenti rivincite, che si esplicano nelle forme più diverse: esse vanno ( ) dalla difesa del Grappa e alla rinascita economica del secondo dopoguerra. Finché la memoria corta, frutto dell’ignoranza di fondo, riproduce il corrosivo meccanismo di autolesione, che costringe a ricostruire dal principio. E’ un succedersi vichiano di malgoverno degli uomini, sopravvissuto indenne, passando dal calesse all’aereo supersonico, dall’abaco al calcolatore elettronico.
L’Italia caporetta è, prima di tutto, l’Italia priva del senso delle proporzioni. La carenza dei corrispondenti freni inibitori prepara il terreno alle Caporetto storiche, che possono essere innescate da una causa qualsiasi e assumere contorni impensati.
Se a Cadorna affibbio l’epiteto di caporettista, lui che di Caporetto fu la più illustre anche se colpevole vittima, è proprio per la mancanza di senso delle proporzioni, che nel maggio del 1916 gli faceva sostenere con Orlando che, siccome la Germania teneva sotto le armi otto milioni di mobilitati, noi, con metà popolazione, potevamo tenerne quattro, e che nel 1917 gli faceva vaneggiare un esercito di 90 divisioni. Così dilatava l’esercito, ma non lo addestrava né si sforzava di intuire in che direzione l’addestramento dovesse essere perfezionato, preparando in tal modo il terreno per la sconfitta di Caporetto.
( ) alla mancanza del senso delle proporzioni si aggiunga una superficialità, frutto di scarsa cultura, che si trasfonde principalmente nel tentativo inconscio di perpetuare l’ignoranza, trascurando l’addestramento, l’educazione e l’istruzione delle nuove generazioni. L’italiano di successo – e ce ne sono moltissimi – è sempre un autodidatta spirituale, che poco deve alla società politica, che pur lo spreme, ferocemente ma all’impazzata, senza riuscire a dare ciò che pur sarebbe nelle sue intenzioni. Caporettismo è un confondere i sintomi con le cause.

Parole sante (che condivido, anche se il legame con la descrizione del fatto storico non l'ho trovato così riuscito), in particolare quelle che ho sottolineato ricordando le volte che con orrore ho constatato l'autocompiacimento cui indulgiamo quando vantiamo la nostra capacità di agire nell'emergenza: bravi e geniali a riuscire in condizioni impossibili, ma perchè dobbiamo rifuggire dalla noiosa eventualità di evitarla, l'emergenza, con la semplice programmazione e preparazione?  
Silvestri scrive rivolto alla classe dirigente degli anni '80.  A rileggerle trent'anni dopo, certe invettive, con Di Maio candidato a premier e Alfano ministro, viene da sorridere.

Di particolare interesse, nel libro, sono le parti in cui si ricordano le iniziative per fermare il modo cadorniano di fare la guerra di Michele Gortani  e di Giulio Douhet.  

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