mercoledì 28 novembre 2018

The answer, my friend, is blowing in a storm

Nel campionario di sgrammaticature, strafalcioni, assurdità soprattutto di emerite cazzate che ci hanno offerto i ministri a cinque stelle negli ultimi mesi, assume una luce particolare la presa di posizione del vicepremier Luigi di Maio in merito al suo candidato al comune di Corleone.
Tale Maurizio Pascucci, infatti, si è reso responsabile addirittura di essersi fatto fotografare con il signor Salvatore Provenzano, imparentato con il più noto Bernardo, e di aver dichiarato nell'occasione di voler parlare con i parenti dei mafiosi.
Apriti cielo.
Svelata la notizia da Repubblica, fulmini e tuoni dagli avversari politici, che imputano al M5S evidente mafiosità. Tuoni e fulmini dal capo politico, che scomunica il suo candidato sindaco seduta stante: «Lo Stato deve stare attento a non avvicinarsi mai, neppure con la propria immagine, a quella gente». Espulsione decisa (in realtà non può deciderla, regole alla mano: infatti «Mi sono rivolto ai probiviri e Pascucci merita l'espulsione», tanto per restare in tema di metodo mafioso).
L'utilizzo a fini opposti non toglie che d'accordo si trovi tutto l'arco costituzionale: la foto è scandalosa, il candidato sindaco è un favoreggiatore della mafia.
Chi potrebbe metterlo in discussione?

Un paio di dati di fatto aiuterebbero a inquadrare meglio la vicenda.
Salvatore Provenzano (ha sposato una nipote di Zu Binnu) è incensurato.
Pascucci dichiara che «Con la foto volevamo trasmettere il messaggio che i parenti dei mafiosi che prendono le distanze dai proprio congiunti non possono essere esclusi dalla comunità»

In pratica, ciò che viene imputato a questo Pascucci è di ritenere che le colpe dei padri e degli zii non ricadano sui figli e sui nipoti, che anche a persone che portano certi cognomi debba essere data una possibilità di una vita normale ed onesta.

Ciò che il nostro vicepremier ed i suoi detrattori, e gli haters riuniti della rete tutta non riescono neanche a concepire, evidentemente. E nemmeno il direttore di Repubblica, che pure dovrebbe comprendere bene il peso del cognome nella vita di una persona.

La cosa più sconcertante, tuttavia, è un'altra.
Discernere le situazioni comporta la necessità di informarsi, conoscere, riflettere, comprendere, attività fuori moda in tempi in cui il click è immediato.  Molto più semplice, sentita la parola mafia e vista una foto, emettere la propria inappellabile sentenza. 
Il dramma della comunicazione pubblica emerge palese ove di fronte ad una situazione complessa che andrebbe spiegata, compresa, si preferisce soprassedere dall'analisi e arrivare alla conclusione più facile, anche se sbagliata.

Dove andremo a finire?
The answer, my friend, is blowing in a storm




giovedì 22 novembre 2018

Lo sport nazionale

E' esprimere giudizi su questioni o fatti che non si conoscono a sufficienza

sabato 17 novembre 2018

Manifesto di un momento storico

I see the bad moon risin'
I see trouble on the way
I see earthquakes and lightnin'
I see bad times today

mercoledì 31 ottobre 2018

Quando il calcio era celeste. L'Uruguay degli invincibili. La prima squadra che dominò il mondo

di Niccolò Mello

Questi testi di Bradipolibri non ambiscono forse di giungere a vette letterarie, ma invogliano l'appassionato a saperne di più (qualche volta a rivivere l'epopea) di campioni di altri tempi.
Da ben prima che la garra charrua trovasse la sua fama per la follia di Daniele Adani, ho sempre ammirato la scuola uruguagia, ritenendo che i celeste interpretino il vero calcio (essendo a loro modo gli italiani del Sudamerica), spesso ho tifato per loro e per la loro capacità di andare oltre i limiti tecnici con la determinazione e l'organizzazione.
Questa della squadra che dominò il calcio negli anni 20 e 30, vincendo prima del mondiale due olimpiadi che all'epoca ne facevano le veci, è una storia poco nota, di campioni di cui si ignora spesso anche il nome. Il flessuoso Andrade, il carismatico capitano Nasazzi, il leggendario Scarone sono sconosciuti o quasi anche per i grandi appassionati di calcio, nella totale assenza di immagini in movimento.
Ripercorrere la loro storia è impresa per la quale l'autore si affida inevitabilmente a fonti di seconda mano e all'aneddotica; oltre allo sforzo, si apprezza la possibilità di aggiungere un piccolo tassello alla conoscenza di questo fantastico gioco. 

Tuya, Hector!

domenica 26 agosto 2018

We miss you

Le straordinarie parole di Obama in occasione della morte di McCain sono una lezione sulla nobiltà della politica e sulla grandezza dell'America.


“Con me condivideva la fedeltà a qualcosa di più alto, ovvero agli ideali per cui generazioni di americani e immigrati hanno combattuto, manifestato e fatto sacrificio Condividevamo l’idea che la battaglia politica sia un nobile privilegio, un’opportunità di servire quegli alti ideali in patria, e farli avanzare nel resto del mondo. Vedevamo il nostro paese come il posto dove ogni cosa è possibile, e la cittadinanza come dovere patriottico per assicurare che rimanga tale"

Per inciso McCain era quello che, avversario di Obama per la carica di Potus, impediva ai suoi sostenitori gli attacchi personali.

Per una volta siamo buoni, non facciamo confronti con nessuno. 

sabato 25 agosto 2018

Pare veramente che certe cose sembrino scontate solo a me (6)

Ma quand'è che qualcuno chiama a raccolta quelli che, non avendo mai pensato di impegnarsi, ora non ne possono più di questo andazzo?

Pare veramente che certe cose sembrino scontate solo a me (2)

"L'Unione Europea ci lascia soli nell'emergenza".
L'emergenza sarebbe, per un paese di 60 milioni di abitanti, accogliere 150 stranieri.

Pare veramente che certe cose sembrino scontate solo a me (1)

E' facile comandare quando tutto va bene.
Quando ci sono problemi da risolvere, bisogna risolverli e non trovarne le colpe e/o immaginare come sarebbero potute andare le cose.
Si chiama governare.

martedì 21 agosto 2018

Sono sempre i migliori che se ne vanno


Anche Vincino se n'è andato. 
Proprio il giorno dopo quello in cui il rimpianto per l'assenza di Marco era stato rinfocolato dall'ascolto di questo passo dell'ultimo libro di Francesco Merlo:

Anche Pannella non diceva parolacce, non ricorreva al turpiloquio. Usava un linguaggio violento che però smaterializzava la violenza, colpiva ma rendendo aereo il colpo, togliendogli ogni traccia di fisicità. La tensione morale era il suo codice.
Il linguaggio di Bossi e di Salvini, fatto di pallottole, musi di porco, lazzi omofobi e truculenze razziste, e quello di Grillo, fatto di "falliti», "zombie», "salma», "merda liquida»... sono sproloqui da bettola, da caserma o da avanspettacolo che magari disgustano, sicuramente hanno cambiato la lingua politica, qualche volta intimidiscono, ma non riescono mai a irritare, a colpire davvero, a ferire intellettualmente, perché mai le loro sgangheratezze sono solidali con la dimensione intellettuale della convivenza civile.
Al contrario, qualsiasi persona civile percepiva la sostanza intellettuale del ragionamento di Pannella, del suo codice, anche quando esagerava.




Con un canestro di parole nuove, calpestare nuove aiuole

sabato 18 agosto 2018

Residue speranze?

Penso sia bene per me non guardare più, se non di sfuggita, il telegiornale.
Non ascoltare con attenzione quanto dicono i nostri governanti.
Non ce la faccio, a sopportare come siamo finiti.

Aveva già capito tutto, ovviamente, Leonardo Sciascia ne "Il contesto": 
Ma non vede quello che succede nel nostro Paese? I nodi vengono sempre al pettine!
Quando c'è il pettine - disse malinconicamente Rogas

venerdì 17 agosto 2018

Ma come cazzo è possibile?

Rivedo Christian dopo un anno.
L'uomo è forte, saldezza e intelligenza sono inalterate dentro quel corpaccione.
Intravvedo solo alcune piccole crepe nella sua lucidità, ma forse scambio per tali giudizi alterati da informazioni carenti.
Dove abbia trovato tanta forza, non lo so; ma dimentico per un attimo che lui è il migliore di tutti. 
Un anno ristretto nella libertà, senza avere fatto niente. Licenziato, citato per danni per cifre da perdere la casa.
Christian David rischia tuttora di essere vittima di un clamoroso errore giudiziario, oltre che di immeritato accanimento da parte di una amministrazione cui ha dato così tanto, in una vicenda che sarebbe sbagliato definire kafkiana: purtroppo è desolatamente italiana.
I dettagli sono fondamentali per capire come si sia potuti arrivare a tanto, e per chi volesse individuare nomi e cognomi; osservare il quadro d'insieme invece ci spiega cosa può accadere, in questo Paese, a chiunque, basta incappare nella conversazione sbagliata.
Christian però non è chiunque. E' una persona di doti non comuni, con competenze professionali molto sopra la media e straordinaria capacità di empatia che ne facevano un leader naturale, rispettato ed amato, ed un interlocutore stimato da tutti, anche per la modestia e la lealtà (prerogative queste non così frequenti in profili come il suo).
Il migliore, diciamolo senza giri di parole.
Il nostro datore di lavoro se n'era accorto, conferendogli alte responsabilità onorate con un lavoro straordinario traducibile, tra l'altro, in moneta sonante incassata dall'erario. 
Vederlo lassù rallegrava gli amici, ma faceva anche a tutti balenare la speranza che non è vero, che in questo paese il merito non è riconosciuto.
Con quella speranza è finita anche la convinzione che a fare con onestà il proprio dovere, non dico si sia premiati, ma almeno non possa capitare nulla di male.
Ma come cazzo è possibile?

Con il ponte Morandi si sfascia anche questa Italia

Nemmeno nella disgrazia si unisce questo povero Paese.
Anzi, trova nuove ragioni di rancore e rabbia.
Le famiglie rifiutano i funerali di stato: l'offerta di un dolore condiviso viene respinta perchè vista provenire, evidentemente, da un corpo estraneo.
I Ministri attaccano le grandi aziende (una volta erano i "campioni nazionali") e i loro azionisti.
Tutti odiano tutto e soprattutto le istituzioni che ci dovrebbero unire.
Non c'è comunità, non c'è più niente

martedì 14 agosto 2018

Fiori sopra l'inferno

di Ilaria Tuti

Impossibile non ammetterlo. Ho preso e letto questo libro condizionato da un fortissimo pregiudizio favorevole all'autrice, mia coetanea e gemonese (pure carina).
Sarà anche per questo, ma appena ho preso il ritmo non mi sono scollato sin quando l'ho terminato.
Narrazione incalzante, scrittura pregevole, costruzione interessante.
Poi c'è lei, Teresa Battaglia la rossa: più del personaggio di un libro, diviene nel procedere della lettura un'amica per la quale si palpita (non senza identificarla con qualche collega dai modi affini).
La commissario (di Udine...) capisce fin dal primo momento di trovarsi di fronte ad un caso non comune, che sfida il suo intuito e le sue forze che sembrano venire meno. Restando fedele a se stessa riesce alla fine a evitare l'ultima tragedia.
Il piacere della lettura era già completo, nell'attesa della  prossima avventura.
Poi, nell'epilogo, ho ritrovato queste parole:
 Questo romanzo affonda le radici nei paesaggi della mia terra.
In questo senso, nulla è stato inventato. Travenì, con la sua foresta millenaria, l’orrido, le miniere, i laghi alpini e le vette da vertigine, esiste davvero, sotto altro nome. Le montagne, le stagioni, gli odori e i colori della natura mi hanno accompagnata fin dall’infanzia e non potevano che fare da sfondo a questa storia. E, anzi, forse diventarne parte integrante, quasi fossero un personaggio.
La mia è una terra generosa che però sa anche prendere, ha forgiato i suoi figli con la fatica di un passato agreste e la violenza di un sisma che ha cancellato case e intere famiglie, ma non ha scalfito la loro determinazione. Tutto è stato ricostruito com’era, dove possibile, per anastilosi, numerando le pietre cadute quando ancora si contavano i morti. Si è andati avanti senza però dimenticare e il sisma è entrato nel nostro DNA.
Questo romanzo è dedicato anche a lei, la mia terra.

La mia terra segnata dal terremoto

Rifugio Gjaf

Domenica 12 agosto

Dopo diversi cambi di programma, per un'uscita con tutta la famiglia opto per la facile ascesa al rifugio Gjaf a Forni di Sopra, sfidando il probabile pienone.
La salita per il sentiero è abbastanza ripida, ma in meno di un'ora arriviamo all'accogliente rifugio dove gustiamo l'ottima cucina.
Veramente per tutti.

Carta Tabacco 02, Segnavia Cai 346, Tempo indicativo 1h50 a/r, Altitudine min 996, Altitudine max 1400, Dilsivello 404

martedì 7 agosto 2018

Rifugio Monte Sernio

Sabato 4 agosto
Cambio al volo della meta prevista (Pal Piccolo): escursione più facile e sentiero nel bosco visto il gran caldo.
Abbandoniamo la strada per Paularo prendendo la stradina per Lovea. E' veramente strettissima, specie quando lasciamo il paesino sulla destra. Poco dopo un gruppo di case a Stavoli Chiampeis si lascia la macchina, prendendo il sentiero 416.
In gran parte nel bosco, con un'ascesa inizialmente abbastanza ripida, in poco meno di due ore si raggiunge il rifugio.
Bella la vista sul Monte Sernio, la pace e la tranquillità qui sono garantite.
Ottima e confortevole costruzione, fontana di acqua corrente, legna a volontà per la cucina economica che può fungere da stufa all'interno. Al piano di sopra ampi posti letto, comprese quattro brande.
Dopo un pranzo con i panini sempre buoni in quota, e la dovuta siesta,  per il ritorno basta un'ora scarsa

Carta Tabacco 09, Segnavia Cai 416, Tempo indicativo 2h40 a/r, Altitudine min 800, Altitudine max 1415, Dilsivello 600

giovedì 2 agosto 2018

Il giorno e la storia

2 agosto 1998.

Poteva essere l'alba di un'epopea, è stato il culmine di un sogno bello e tragico

Leonardo da Vinci e Leonardo da Tradisci

Da idolo della Juve al Milan, da capitano del Milan alla Juve.
In un solo anno.
Leonardo Bonucci per sua fortuna ha trovato uno come lui, a cominciare dal nome di battesimo per finire con la noncuranza di quel sentimento desueto cui una volta si dava il nome di onore.
Si sono capiti.
Milioni di veri tifosi, per fortuna, sono diversi da loro, e sanno cosa pensare di persone così.

domenica 29 luglio 2018

Monte Zermula da Paularo (Ca Nelut)

Per rifarmi dell'anno scorso parto in solitaria, alle 8.30 sono già a Ca Nelut, la baita (chiusa) dopo Paularo sulla strada per Cason di Lanza, a metri 1120.
A mezzora (che diventano 20 minuti, 1,3km) è segnalata la Casera Zermula, con agriturismo aperto e spaccio di formaggi e caprini, ci si può arrivare per la strada cementata.
Superata la Casera e lasciata a sinistra la Casera La Valute con alcuni tornanti ed un brevissimo tratto nel bosco (incontrata una fontana per fare il pieno) si è subito a quota 1500, a costeggiare il Cul di Cretta, per un lungo tratto nel corso del quale si incontrano tre grotte scavate nella roccia, probabilmente manufatti di guerra. Il tempo lievemente nuvoloso permette di evitare un'esposizione al sole che con questo caldo farebbe sudare ancor di più. Continui segnavia aiutano a non perdere la traccia di un sentiero che di per sè non sempre è così evidente, probabilmente la via è molto meno battuta di quella che sale da Cason Di Lanza.
Sempre in vista, in basso, il Paese di Paularo
Senza vere difficoltà guadagno in 2h30 la cima, dalla quale si ammira un'ottima vista sui molti monti della Carnia. In prima file il Tersadia, sullo sfondo sono ben riconoscibili i rilievi che si intervallano fino alla Zoncolan. Verso Sud-est vediamo di fronte la Creta di mezzodì ed il Sernio. Dall'altro versante è ben visibile il Col di Lanza e la malga al passo.
Percorso facile anche se non brevissimo, adatto a chi non ama incontrare altri escursionisti (incrociato nessuno all'andata, un solo gruppo al ritorno)

Carta Tabacco 09, Segnavia Cai 442, Tempo indicativo 4h30, Altitudine min 1120, Altitudine max 2140, Dilsivello 1020

sabato 28 luglio 2018

L'autunno di Praga

di Demetrio Volcic

Tratto da una trasmissione radiofonica, narra gli eventi del 1968, ed in breve la loro coda, con il piglio del testimone oculare

domenica 22 luglio 2018

La conoscenza e i suoi nemici.

di Tom Nichols
Lo ammetto subito: ho scelto questo libro dopo averne sentito parlare da Saviano, nella puntata con Fazio in cui ha attaccato da par suo il “governo del cambiamento”.

Pur scritto con riferimento alla situazione americana, il testo affronta problemi con cui già ci confrontiamo, e che saranno sempre più attuali con lo scorrere del tempo.
La montante avversione non tanto contro gli intellettuali, quanto contro la competenza, deriva dal sommarsi al declinante livello culturale del venir meno della consapevolezza di chi sa meno.
Il fenomeno è da tempo ben percepibile, il merito di Nichols è concettualizzarne cause, sfaccettature, taluni effetti.
Il primo aspetto, connesso al generale declinare del principio di autorità, è il malinteso applicazione di un concetto “democratico” alla conoscenza, che travisa l’eguaglianza delle opportunità con l’eguale valore da attribuire alle opinioni: la separazione tra opzioni valoriali e ragionamenti sui fatti dovrebbe far ben comprendere che al giudizio di chi è qualificato, per scienza ed esperienza, su una materia, deve attribuirsi un valore maggiore quantomeno sui secondi. Misconoscere questo aspetto rende impossibile la conversazione pubblica e spesso quelle private, diventa frustrante per gli esperti, genera distorte convinzioni nella massa degli “spiegatori”, che purtroppo sono elettori.
Un altro aspetto è il declinare dell’istruzione superiore: la descrizione incentrata sull’università americana, vale ampiamente nelle conclusioni anche per noi, con tutte le differenze del caso, declinata nel titolo del capitolo “il cliente ha sempre ragione”.
Cuore della questione è l’accesso alla sterminata massa di informazioni su internet. Nichols analizza bene i problemi dei rapporti solo digitali e i meccanismi autoreferenziali che distorcono gli effetti positivi del web, generando in chiunque la convinzione di conoscere un argomento in pochi minuti (avendo a malapena letto il titolo di qualche post), normalmente avendo trovato le fonti che guardacaso confermano la propria opinione.
Non aiuta l’evoluzione del giornalismo inevitabilmente impoverito dalle libertà del mercato, che lo ha costretto a mixarsi sempre più con l’intrattenimento e la ricerca di consenso.
La preoccupazione dell’autore sono gli effetti sulla democrazia.
Ne vediamo gli effetti, aggiungo io, quando circolano slogan agghiaccianti tipo “uno vale uno”

martedì 10 luglio 2018

Stati Uniti contemporanei


di Bruno Cartosio

Ho scelto questo libretto mentre cercavo un altro dello stesso autore sulla storia del West.
In duecento paginette la storia degli Stati Uniti della guerra di secessione a Obama è necessariamente concentrata.
Le due chiavi di lettura che sceglie questo autore sono l’operato delle Presidenze e le dinamiche della distribuzione della ricchezza.
Cartosio evidenzia in particolare la costante presenza di “due nazioni”, di cui quella opulenta e vincente che identifichiamo con l’America è solo la meno popolata, e rivolge la sua attenzione all’altra, oltre che ai movimenti che nel corso alla storia hanno cercato di migliorarne la condizione.
Lettura “da sinistra” molto lontana da quella di un libro di Teodori, con un punto di vista interessante, anche se non affronta un tema che a mio avviso si pone, di come l’accettazione di certe condizioni di vita faccia parte in qualche misura di una sorta di “contratto” per il quale esse siano il corrispettivo della possibilità di grandi ascese verso grande ricchezza, ed in quanto tali trovino maggiore accettazione che in altre società.

Il Contesto. Una parodia


di Leonardo Sciascia

“- I nodi, alla fine, vengono al pettine.
-          Se c’è il pettine”
Questo scambio di battute varrebbe da solo, come si direbbe in altri ambiti, il prezzo del libretto.
Rileggere “Il contesto”, ovviamente non riuscendo nemmeno stavolta a comprenderlo appieno, è qualcosa a metà fra un piacere ed un dovere verso se stessi. 
La chiave di lettura collegata al periodo in cui fu scritto, ben percepibile, si sovrappone alla accennata struttura da giallo. La riflessione sull’errore giudiziario e sul ruolo del giudice nel noto dialogo fra Riches e Rogas vale una mezza dozzina di trattati di filosofia del diritto, e forse tanta comprensione della nostra storia.
Il tutto con la solita prosa sciasciana che fa insieme ammirazione ed invidia.

Il Reis. Come Erdogan ha cambiato la Turchia


di Marta Ottaviani

Ho inseguito questo testo fin dalla sua pubblicazione, uditane all’epoca la presentazione su radioradicale, e nell’ambito del mio grande interesse per la Turchia e per questo novello Sultano, che considero pericoloso più o meno alla stregua di un Hitler. Due anni dopo ne avrebbe avute di cose da aggiungere, la Ottaviani, nei giorni in cui Erdogan giura da Presidentissimo, completando la sua opera di ottenere il potere assoluto (ma forse non la sua opera in assoluto).
Dopo un primo capitolo in cui si riassume la storia della Turchia repubblicana, con attenzione particolare ai vari golpe militari che l’hanno contrassegnata, l’ascesa di Erdogan viene raccontata nelle sue fasi, nel suo rapporto con le “tre Turchie” che la Ottaviani individua: quella laica delle elite ricche ed occidentalizzate, quella islamica della Turchia profonda, soprattutto la terza Turchia del ceto medio che, mai ascoltato dai gruppi al potere, ha finito per dare credito a chi, almeno nella prima fase, le ha offerto una speranza di miglioramento.
La Ottaviani racconta in gran parte da testimone, oltre che da giornalista, anche una serie di presentimenti solitari man mano fattisi realtà.
Nel descrivere l’ascesa al potere del Reis non manca di illustrare i motivi reali di un consenso crescente, che individua in taluni indubbi successi amministrativi ed economici, e soprattutto nell’aver saputo offrire a larghi strati del suo Paese un’alternativa che sapesse includerli nel discorso pubblico. Abilità, fortuna e soprattutto ambiguità di fondo si sono mescolati nella fase in cui fu decisivo anche l’appoggio internazionale, che volle vedere più il proclamato intento di democratizzazione rispetto al dimesso (apparentemente) aspetto islamizzante.
Particolare attenzione dedica la Ottaviani ad alcune svolte, in particolare la rivolta di Gezi Park in cui potè vedere per l’ultima volta parte della “terza Turchia” in piazza per il proprio futuro, come ad aspetti importanti quali i rapporti con l’estero e la questione curda.
La passione che si legge in ogni pagina corrisponde ad un anticlimax della speranza, che al termine sembra completamente dissolta.
Testo molto interessante e agevole, in quanto dichiaratamente a metà fra un testo accademico ed un instant book, letto tutto d’un fiato.

venerdì 6 luglio 2018

Ossessioni americane


di Massimo Teodori

Come altre volte mi è capitato, l’aspettativa sui libri di Teodori è molto alta e viene parzialmente delusa.
L’ascesa alla Casa bianca di Trump è l’occasione per una carrellata su quattro “lati oscuri” della storia americana, che pur spesso presenti nella politica e in personalità anche importanti, mai erano arrivate così in alto: nativismo, populismo, isolazionismo, autoritarismo.
Gli episodi e le epopee che ripercorre l’autore non lasciano più di tanto il segno, anche se è singolare apprendere di come i cattolici siano stati oggetto di violente campagne dei “veri americani”.
La chiusura è un altro grande classico di Teodori: la ribadita convinzione che la forza della democrazia americana è tale da superare anche questa.
Speriamo.

Titanic


di Vittorio Emanuele Parsi

Questo testo offre un’interessante chiave interpretativa delle dinamiche della politica internazionale. La tesi di fondo è che l’ordine liberale affermatosi nel secondo dopoguerra ha abdicato, a partire dall’affermarsi delle politiche liberiste negli anni Ottanta, alla sua capacità di comporre democrazia e mercato, entità che non si necessitano ma se convivono inducono l’una e l’altra a trarre il meglio di sé.
Il nuovo ordine globale neoliberale, se di ordine può parlarsi, ha tradito le sue promesse e fallito la storica occasione di capitalizzare la scomparsa nel nemico storico (il comunismo) per favorire una maggiore distribuzione della ricchezza. Il mercato , privo di controlli sul piano internazionale e nazionale, ha fatto il suo corso aumentando le diseguaglianze.
Il mondo come lo abbiamo conosciuto rischia di schiantarsi contro i nuovi pericoli che si affacciano, come iceberg sulla rotta del Titanic: ascesa delle potenze cinese e russa a contendere l’egemonia USA, polverizzazione della minaccia violenta del terrorismo internazionale, l’eccentricità delle politiche trumpiane (in particolare l’abbandono del multilateralismo e dell’asse atlantico), crisi delle democrazie occidentali attaccate dalla popolocrazia.
Nel descriverli Parsi approfondisce in maniera informata molti dei principali dossier della politica internazionale: ma resta sullo sfondo, e denominatore comune tanto dei fatti internazionali quanto della crisi interna di molti paesi, la critica (banalizzando direi “da sinistra”) alla svolta compiuta nell’epoca del neoliberismo e della deregulation , quanto il sistema liberale ha rinunciato alla sua capacità e volontà di regolare, di affermare il primato della politica sull’economia, di perseguire scopi di giustizia e solidarietà per il maggior numero di persone.

giovedì 21 giugno 2018

Almeno cantiamo bene

In questa disgraziata annata calcistica, almeno ci siamo distinti per un bel coro.
Udinese alè
Udinese alè
non so stare senza te
non importa se
soffrirò per te
Udinese alè alè
Come è naturale a queste latitudini, il leit- motiv è la sofferenza. 
Il peggior momento è ora, sostegno alla squadra a prescindere da chi la indossa e da una società che dopo tanto meritare opera incomprensibilmente.
Udine

mercoledì 20 giugno 2018

Pannella

di Diego Galli,
Lettura obbligata, questa, per uno come me.
Contrariamente alle attese non è una biografia come quelle di Vecellio o Teodori (non parliamo proprio, ovviamente di "Una libertà felice"), è un resoconto critico della sua azione politica, in parte modellata sullo storico "I nuovi radicali" di Ignazi, Teodori e Panebianco. 
Per chi Pannella l'ha seguito ed amato per 25 anni, imparando a conoscerne l'opera anche precedente, questo libro non evidenzia quasi nessun fatto non conosciuto, ma è utile nello sforzo di di sistemazione che ben si riflette nell'indice, oltre che nella messe di citazioni raccolte dall'autore.
Alla radice.
Galli ripercorre gli aspetti della gioventù di Pannella che hanno avuto influsso sulla sua formazione. L'obbligatorio richiamo alla famosa prefazione di "Underground" è seguito dal ricordo del passaggio al Mondo e dell'esperienza goliardica. Oltre al richiamo ai "vecchi radicali", agli influssi pacifisti e alle suggestioni libertarie, interessante è il riferimento ai due ossimori "anticlericalismo religioso" e "liberismo di lotta", per trovare il filo conduttore nella "condizione minoritaria, quasi eretica, che caratterizza le correnti di pensiero cui si è ispirato".
Anni settanta: la rivoluzione dell'intimità.
Bella la formula che Galli individua per parlare del decennio d'oro dei radicali, quelli delle grandi battaglie per i diritti civili.
Gli strumenti dell'azione politica radicale.
Disobbedienza civile, nonviolenza, ostruzionismo, la Radio, la Transnazionalità sono invenzioni con copyright radicale, almeno in Italia, che hanno caratterizzato la singolarità del movimento almeno quanto i contenuti.
Creare l'attualità.
"L'intera storia politica dei radicali può essere letta come il tentativo di imporre all'attualità temi che sarebbero rimasti altrimenti emarginati". La prima frase di questo capitolo ben ne riassume il contenuto, ricordando il ruolo che questo gruppo ha avuto nella discussione pubblica, spesso anticipando la proposizione di temi modernizzatori.
Chi scrive, nella sua modestia, ha anticipato questa analisi in un intervento che il Messaggero Veneto pubblicò con una certa evidenza due giorni prima delle elezioni del 2001 e che è riportato qui.
Il capitolo ricorda inoltre il ruolo della strategia referendaria (qui potrei citare la mia tesi di laurea, ma non è il caso).
Processo al regime
I radicali si sono sempre proposti come forza alternativa al regime, al blocco di potere oligarchico-camorristico, alle "due cosche dei corleonesi e dei palermitani", alla gestione consociativa del potere, alla partitocrazia dipinta con formule sempre nuove e sempre vivide. 
Pannella partiva da una interpretazione della storia d'Italia contrapposta alle tesi "culturaliste" sull'origine dei mali del nostro Paese (ad esempio quelle che evidenziano il ruolo del "familismo amorale"), proponendo come cura a quei mali la fiducia nella capacità degli italiani, se adeguatamente informati e stimolati, di sconfiggere il regime.
In questa ottica è normale comprendere come strategica è stata la battaglia per la libertà e completezza dell'informazione.
Si può chiosare come la carica antisistema sia fondamentalmente diversa da quella degli attuali movimenti "antipolitici", non solo per il chiaro riferimento al modello della democrazia liberale, ma anche perchè la lotta contro la partitocrazia era vissuta come tentativo di cambiarla pretendendo dal regime l'applicazione delle proprie regole per ripristinarle, e non per superarle a favore della "popolocrazia". 
Disorganizzazione scientifica
La contraddizione fra il rispetto quasi sacro per le regole delle istituzioni e la disinvoltura nelle procedure interne, oltre che nella gestione della dinamiche del movimento, non è nascosta da Galli, che evoca anche la nota cupio dissolvi, non senza osservar che il mancato sviluppo organizzativo con la conseguente fuga di classe dirigente non ha solo comportato l'estrema personalizzazione del partito intorno alla leadership ed il riprodursi di conflittualità interna, ma ha anche impedito a molte delle sue campagne di trasformarsi in istituzioni.
Carisma: tra profezia e narcisismo.
In cui Galli si sofferma sul ruolo della parola e sulle capacità istrioniche e comunicative di Pannella.
Quali eredità.
Galli si chiede giustamente quale eredità abbia lasciato "un cinquantennio di incessante attività costellata di iniziative dal forte impatto emotivo, vittorie legislative dall'alto valore simbolico, e una continua opera di divulgazione delle sue idee attraverso strumenti e invenzioni comunicative originali".
L'eredità ideale è quella di una corrente minoritaria (sintetizzando, quella del "socialismo liberale", la cui ricchezza non appare esaurita.
L'eredità legislativa, è quella di riforme che rappresentano un patrimonio indiscutibile del Paese.
L'eredità delle pratiche è quella di modalità di azione politica inventate o importate per proporre iniziative politiche ed idee.
L'eredità della teoria politica si incentra sulla valorizzazione delle procedure per la selezione al centro del dibattito politico, oltre che sull'importanza del principio di legalità, del funzionamento della giustizia, la riflessione sulle modalità di finanziamento della politica, la riflessione antiproibizioniste.
L'eredità delle proposte politiche, anche di quelle perdenti, è evidente nelle battaglie di grande respiro quali quelle trasnazionali, come in altre meno note.
L'eredità degli errori è legata soprattutto alla scelta di rafforzare, nella gestione del movimento, le dinamiche legate al carisma rispetto a quelle organizzative.
L'eredità civile è quella della vicinanza agli ultimi, agli emarginati, ai capri espiatori, a coloro che hanno sbagliato: "Se vogliamo che la convivenza sia possibile in società sempre più multietniche, dove i pericoli di anestetizzazione emotiva di fronte all'altro e al diverso crescono al diminuire dei rapporti faccia a faccia e alla crescente pervasività dei media digitali, dove i meccanismi di espulsione di chi non riesce a integrarsi nel sistema rischiano di divenire sempre più potenti e invisibili, la lezione di empatia nei confronti delle vittime, di strenua difesa del diritto della reputazione individuale e di una giustizia giusta, il richiamo alla tradizione giudaico-cristiana del non giudicare, possono tornare utili per salvare la convivenza civile e la stessa possibilità di sopravvivenza della politica come arte del dialogo".



Con un canestro di parole nuove, calpestare nuove aiuole

martedì 12 giugno 2018

lunedì 21 maggio 2018

Lezione da non dimenticare ma dimenticata


A due anni dalla scomparsa di Marco Pannella, radioradicale ha tra l’altro trasmesso taluni dei discorsi che furono pronunciati due anni fa, non senza emozionare fino alle lacrime qualcuno. A Montecitorio, a nome del Governo parlò Benedetto della Vedova, che in conclusione del suo intervento citò una frase di Pannella che suona purtroppo, ventiquattro mesi dopo, come una voce nel deserto : Spesso bisogna avere il coraggio di essere impopolari per non essere antipopolari

sabato 19 maggio 2018

Cazzo se manchi

Cazzo se manchi, Marco Pannella.
A Mattarella gliele canteresti, per una pazienza che confina pericolosamente con la tolleranza di una prassi incostituzionale.
Per i fautori dell'abolizione del vincolo di mandato, troveresti conversando con Massimo qualche bella formula che delinei la riferibilità della loro proposta alle autocrazie perfette.
Leggendo il "programma del governo di cambiamento", non mancheresti di rilevare le assonanze metodologiche e contenutistiche con la rivoluzione fascista. 
Non so se potresti fare qualcosa per salvare questo povero Paese, o se resteresti ancora inascoltato profeta di futuri già attuali.
Ma senza nemmeno la tua intelligenza a cui aggrapparci, cosa ci resta per sperare?

Con un canestro di parole nuove, calpestare nuove aiuole

venerdì 18 maggio 2018

Aforisma d'uopo

Sono indeciso fra Longanesi e Flaiano.
Si è tentati di pensare di trovarci di fronte a buoni a nulla, ma capaci di tutto.
Tuttavia, a ben vedere, la situazione politica è drammatica, ma non seria.
Massì

Dove eravamo rimasti?

Al punto di partenza, stiamo.
E' questa l'amara conclusione che si è costretti a trarre, a trenta anni della scomparsa di Enzo Tortora, il cui caso potrebbe ripetersi oggi. 
E' rimarchevole che a ricordarlo sia la Presidente del Senato, ospitando un convegno rievocativo, associando al suo ricordo quello di Marco Pannella.

Convegno al Senato

Il post sul libro di Pezzuto 

martedì 8 maggio 2018

La stanza dei libri. Come vivere felici senza Facebook Instagram e followers

di Giampiero Mughini
A stretto giro, altro libro di Mughini, altra mezza delusione.
Non per la prosa sempre gradevole, ma per l'aspettativa generata dal titolo e parzialmente tradita.
Un libro sui libri, certo: ma sul collezionismo dei libri rari, e delle chicche sui libri suoi, di Mughini.

Era di maggio

di Giampiero Mughini

Ho comprato questo libro per farmi un'idea, possibilmente originale, dei fatti di cinquantanni fa.
Di certo non vi è enfasi celebrativa nel racconto del testimone oculare Mughini: piuttosto ammissione di quanto fu antieroica e tutt'altro che "mitica" quell'esplosione di vitalità.
Dell'esagerazione, dei torti e della sfrontatezza che si ha a ventanni.
Detto questo, i fatti narrati e le persone ricordate, non appaiono ad un lettore della domenica quale io sono così interessanti.
Forse era più adatto a quanto mi interessava un saggio scritto da uno storico.

venerdì 4 maggio 2018

Le tre Italie del 1943 (chi ha combattuto veramente la guerra civile)

di Gianni Oliva
Interessante lettura molto adatta ai giorni attorno al 25 aprile, che affronta in maniera ragionata (quindi ben diversa dalle strombazzanti opposte vulgate) alcuni nodi interpretativi del biennio 1943-1945 della nostra storia, con un contributo originale e arricchito dalla bibliografia e dalle citazioni utilizzate.
Il primo passaggio evidenzia la natura comodamente assolutoria di una rappresentazione della realtà in cui si è valorizzato l'operato dei pochi che combatterono veramente il fascismo, dimenticando quanti, passivi durante il fascismo, aspettarono di vedere come andava a finire prima di applaudire i partigiani. L'omissione del fascismo, o meglio, di se stessi senza il fascismo, corrisponde ad un progetto di rimozione della memoria scomoda che si è sedimentato nell'immaginario collettivo.
Il progetto ha permesso alla società italiana di riprendere il cammino interrotto nel 1922 senza interrogarsi sulle responsabilità specifiche e collettive che resero possibile il fascismo
L'autore si interroga anche sulle caratteristiche dell'antifascismo nel ventennio, toccando il noto tema del "consenso", per argomentare che il primo fu fenomeno di ristrette minoranze, e quanto al secondo che dominante fu la "zona grigia" contraddistinta da un conformismo in cui confluivano sia l'accettazione subita passivamente, sia l'accettazione attiva. Interessante è l'osservazione che alla prima esperienza di partecipazione di massa alla vita collettiva, gli italiani la vissero inquadrati negli schemi preordinati dal regime, in un'atmosfera che tendeva di per se ad escludere l'adesione consapevole e meditata. L'appartenenza alla zona grigia condizionò l'atteggiamento della massa al momento del dunque, in quanto essa vi arrivò condizionata da un retroterra di accettazione, conformismo e delusione.
Nel terzo capitolo l'attenzione dell'autore si focalizza sulle scelte compiute dagli individui, analizzate nella dimensione umana non meno che in quella politica, finanche nella casualità che poteva determinarle. 
La scelta di rottura degli antifascisti fu scelta ispirata dall'anelito di libertà, dal desiderio di azione, che portavano alla lotta contro il nemico occupante (per di più germanico e nazista, e quindi offrendo un ventaglio di motivazioni ai combattenti), al lotta per i mutamenti sociali, alla guerra civile contro le forze fasciste.
La scelta di continuità di chi si schierò dall'altra parte ebbe, a livello individuale, motivazioni di onore, fedeltà e combattimento, riscatto. Oliva richiama il dibattito (e le strumentalizzazioni) sulla "pacificazione" tentata da ventanni a questa parte, per sottolinearne il merito di aver superato l'approccio moralistico e manicheo (quest'ultimo comprensibile solo dalla visuale di chi doveva giustificare a se stesso di rischiare la vita) alle vicende del 43-45, come i rischi di una equiparazione che azzeri tutte le differenze. L'osservazione di grande interesse è quella sulla necessità di distinguere il piano individuale, nel quale può anche operare la categoria della buona fede, da quello collettivo, nel quale può trovare fondamento un giudizio etico politico sul "progetto" che le idee dei combattenti avevano per il futuro del paese dell umanità. Secondo Oliva, posto che i tre progetti in campo erano quello del fascismo, quello dell'antifascismo comunista e quello dell'antifascismo democratico il giudizio lo ha dato la storia nei decenni successivi.
La zona grigia, dunque. Oliva fa i conti dei combattenti, per dimostrare che essa abbracciò la grande massa degli italiani, per la quale l'imperativo fu: "primum vivere", e per sostenere nuovamente il collegamento di un'attitudine rinunciataria e attendista con il decadimento morale provocato da ventanni di "adesione e coercizione, di obbedienza e di anonimato... L'Italia che non si domandava da che parte stare era la stessa Italia che aveva celebrato l'impero senza chiedersene il perchè: ma ancor più, era la stessa Italia che sarebbe uscita dal fascismo senza interrogarsi su come vi era entrata, come vi era vissuta, come vi aveva partecipato".
Oliva affronta poi la questione della "guerra civile", per abbracciare la teoria di Pavone sulle "tre guerre" (patriottica, civile e di classe) in rapporto alle motivazioni dei combattenti, ma evidenziando che per il paese che inventò il fascismo la lotta era soprattutto contro il suo passato, per liberarsene.
Esaminati taluni aspetti della "resa dei conti", Oliva traccia le conclusioni.
La guerra civile iniziata dalla Resistenza, marginale nel suo contributo militare, certo funzionale alla "rappresentazione assolutoria", fu lo sforzo consapevole di liberarsi del carico morale e politico del regime. Finita la guerra, la riflessione sul passato e le istanze di rinnovamento di cui era portatrice restarono appannaggio di una minoranza, non diventarono davvero valori fondanti di una nuova comunità politica.
Il 25 aprile fu un "punto e a capo" e non un nuovo inizio, la resistenza una occasione mancata: troppa la dimensione e l'attitudine della zona grigia, troppo il desiderio della classe dirigente di chiudere i conti con il passato, trincerandosi dietro l'alibi di una guerra vinta per dimenticare le colpe di una guerra perduta 


domenica 15 aprile 2018

Matti

E' da ieri che canticchio una vecchia canzone di Gino Paoli, "Matto e vigliacco" del 1991.
Non è una delle più note, è dell'album "Matto come un gatto", di cui comprai il vinile.
Il suo ricordo è nato dalle notizie provenienti dalla Siria, ovviamente, collegate al pensiero della faccia di Trump.
Il matto della canzone è uno che, con candore fanciullesco, non si fa affabulare dalle argomentazioni che di volta in volta vengo poste a fondamento dei vari interventi militari: 

Io sono solo un matto
ed un matto non capisce
i comandi che han bisogno
di brillanti spiegazioni,

se comandi di sparare
sono matto da legare
e mi lego ad altra gente
che non sa le tue ragioni,

gente anche un po' vigliacca
gente che non ha il coraggio
il coraggio di ammazzare
chi non sa perchè lo ammazzi.

Il matto si contrappone soprattutto a quelli che la guerra la giustificano, con motivazioni sempre diverse, sempre buone per il momento (e magari ma non per altre occasioni del tutto simili, o peggioti), ma mai abbastanza per spiegare perchè un uomo debba morire. Ce n'è anche per i loro lacchè, soprattutto nella stampa.

Il coraggio non è mio
il coraggio è quello tuo
tu che hai le tue ragioni
ed inchiostro da sprecare,

io invece sono insieme
a quelli che non possono capire
che non possono spiegare
che non vogliono morire

e l'idea per cui si muore
non è più quella di ieri
e l'idea per cui si muore
sarà vecchia già domani,

ma tu intanto temerario
a casa ammucchi le ragioni,
trovi giustificazioni
che noi matti
noi non capiremo mai.

Alla fine a morire sono in guerra sono i poveracci, magari quelli che non la comprendono proprio, non certo i signori che ci guadagnano sopra.

Ma chi muore nella guerra
è solo gente come me,
da tutte le parti
è sempre gente che non sa

e tu che la sai lunga
sulle cose della vita
come un arbitro in panchina
tu non giochi la partita
e la decidi tu.

Il matto non ha il coraggio, ma è il coraggio di non uccidere. Dovrebbe essere "umanità", ma alla fine sono gli animali, che non hanno una morale, a darcene lezione, loro ammazzano solo per mangiare.

Io sono un vigliacco
uno che non ha coraggio,
il coraggio di ammazzare,
chi non sa perché lo ammazzo

sono matto come un gatto
matto come un animale
che non sa che cos'è il bene
che non sa che cos'è il male

ma che ammazza per mangiare
e che spero mangi gente
che lo sa perfettamente
gente fatta esattamente come te.

La canzone è uscita ai tempi della prima Guerra del Golfo.
Molto tempo è passato, ed alcuni episodi in cui le motivazioni presuntamente umanitarie di certi conflitti sono state clamorosamente sbugiardate rendono sempre meno credibili le parole chi adduce nobili o almeno validi motivi per l'invio di un bel pacco di missili, enunciandone di diversi dalla necessità di nuove commesse per l'industria bellica.

giovedì 12 aprile 2018

Vincere è l'unica cosa che conta

Della famosa frase di Boniperti che capovolge il motto di De Coubertin gli juventini fanno spesso sfoggio con l'orgoglio del più forte.
Magari i dirigenti farebbero meglio a proporre qualcosa di più edificante; di certo un simile atteggiamento non aiuta ad accettare le sconfitte che, ormai sconosciute in patria, non mancano in Europa.
Ancora meno una sconfitta bruciante e tremenda come quella di ieri, dopo aver accarezzato il sogno di un'impresa (che era ancora da conquistare).

Il Real, diversamente dal Barcellona martedì, è stato sempre in campo. Ha mancato molte volte il gol nel primo tempo, ha regalato il terzo, ha invaso la metà campo dei gobbi per tutto il secondo tempo. Tuttavia con un po' di buona sorte l'ottima partita della Juve stava diventando, oltre che lezione di calcio (gli spagnoli hanno ripassato quella del giorno prima), un capolavoro.
Ci si è poi messo di mezzo quel rigore, ahi.
Era fallo, per me: penso che anche se tocchi il pallone travolgere l'avversario non sia consentito.
Al Bernabeu diventano rigore anche i mezzi falli, figuriamoci i tre quarti di fallo. Fine dell buona sorte e addio impresa del secolo.
Nel complesso delle due gare la sfida è stata equilibrata, e quindi decisa dagli episodi.
Perdere così, tuttavia, fa male; si può anche scaturire come ha fatto Gigi Buffon, per rispetto della grandezza del quale è bene che cadano presto nel dimenticatoio le parole che sono poi uscite dalla sua bocca.
Dai, ci sono anche altre cose che contano. Ad esempio onorare la scuola italiana come hanno fatto le nostre squadre ieri e ierlaltro

martedì 10 aprile 2018

Non bisogna arrendersi mai

Ce lo ha mostrato la Roma oggi.
Cuore, coraggio, un grande campione, e soprattutto una lezione di calcio ai migliori, primi in tutto compresa la presunzione.
Come nel 1994, quando Capello distrusse Cruyff
Un saluto agli amici spagnoli, eh!

Il corpo della ragassa

di Gianni Brera
Il romanzo con cui Brera volle compiere il suo destino di scrittore era una lettura che mi incuriosiva da gran tempo.
Il suo stile inconfondibile trova habitat naturale in una storia ambientata nel pavese alla fine degli '30, incastonandosi in una struttura narrativa con tutti i crismi, la cui forza è la capacità descrittiva, con tratti di lirismo, di personaggi e della civiltà contadina di cui si sentiva figlio.
La presenza dell'aspetto erotico fa del plot una perfetta sceneggiatura di un film alla Tinto Brass piuttosto che felliniano (e infatti ne fu tratto un film nel 1979 con Lilli Carati).

martedì 3 aprile 2018

Basta due, senza il tre

"A casa mia si dice che quando si parla una, due volte, alla terza è già troppo"

Il caso Moro. Una tragedia repubblicana

di Agostino Giovagnoli

Su Ibs nell'anniversario della strage di via Fani proponevano una trentina di titoli.
Ce n'era per tutti i gusti: libri apologetici, agiografici, sensazionalisti, retroscenisti.
Questo che ho scelto aveva la rara caratteristica di essere scritto da uno storico: che si è vista in una lettura complessa, a volte faticosa, del resoconto di un esame documentale certosino delle fonti.
La prospettiva è eminentemente la vicenda politica che nacque attorno alla possibilità della liberazione dell'ostaggio. 
La chiave di lettura è dichiarata nel sottotitolo: il sequestro di Moro fu una tragedia repubblicana,  i protagonisti i maggiorenti della Dc e degli altri partiti e dall'altra parte le BR.
L'esito tragico discende secondo l'autore non da oscure mene o da inconfessabili volontà, ma soprattutto dalla incomunicabilità dei due mondi, in buona parte dovuto all'autoreferenzialità ed ai limiti intellettuali e politici dei brigatisti.
La conclusione non indulge alla vulgata corrente:
Le conoscenze acquisite finora indicano che Moro è morto perché le Brigate rosse avevano deciso di ucciderlo e perché non intervenne alcun elemento che riuscisse a fermarle.
La responsabilità della sua morte è perciò di chi l'ha ucciso, dei suoi compagni e dei loro sostenitori, nonché dei loro mandanti occulti, se ci furono. Per quanto ci è dato sapere, Moro fu assassinato
per gli stessi motivi per cui era stato rapito, vale a dire non per ciò che egli era veramente, per ciò che aveva fatto davvero e per una reale convenienza politica dei brigatisti a rapido o a ucciderlo,
ma per il valore che questi attribuirono alla sua morte nella lotta contro lo Stato imperialista delle multinazionali, dentro una logica che confondeva il piano della realtà con quello dei simboli, anche
se l'assassinio di Moro fu un evento tragicamente reale.

Pasqua 1956

Altri tempi, quell'anno in cui mia madre bambina vide per la prima volta un uovo di pasqua.
Da queste parti non ce n'era per scialare, e mio nonno non era certo uno da farsi intenerire dai desideri di due bambini.
Fu la zia di Torino, città del cioccolato e del nascente miracolo industriale, a far avere ai pargoli la meraviglia, fino ad allora solo sognata, in un tempo in cui le immagini erano soprattutto nella fantasia.
L'emozione per il sogno fattosi cioccolato fu tanta che, al momento del dunque, mancò il coraggio di scartare l'uovo, sopraffatto dal desiderio di preservare una cosa tanto speciale.
"Lo terremo per l'anno prossimo."
E fu così che l'aprirono la pasqua successiva, ovviamente andato a male.


lunedì 26 marzo 2018

Putin, ora basta


  1. Forte segnale dell'Italia di solidarietà con Theresa May. Per protesta contro la Russia diserteremo il mondiale

domenica 25 marzo 2018

La scomparsa di Majorana

di Leonardo Sciascia

Il 28 marzo 1938, dopodomani saranno 80 anni, si dileguò Ettore Majorana. Sulla sua fine non si è giunti ad una verità definitiva, anzi si sono moltiplicate le tesi ricordate in questo articolo.

Quella di Sciascia, che ci ha lasciato questo famoso romanzo-saggio-biografia-inchiesta del 1975, nel quale accredita l'ipotesi di un ritiro in convento del fisico siciliano. 
Bisogna probabilmente calarsi nel timore che in quegli anni c'era della distruzione nucleare, per comprendere come Sciascia sia arrivato a formulare l'ipotesi che Majorana abbia compiuto questo gesto presagendo gli sviluppi distruttivi della fisica nucleare.  
La pubblicazione del libro provocò reazioni polemiche, cui Sciascia replicò tra l'altro con un gustosissimo articolo apparso sulla stampa il giorno che io ho compiuto un anno.
Il puntiglio delle repliche dimostra la serietà della tesi; ma non nasconde che il fine dell'opera, ovviamente, supera la cronaca ed è del tutto letterario.
Al centro vi è il rapporto fra scienza e morale:
Chi, sia pure sommariamente (come noi: tanto per mettere le mani avanti), conosce la storia dell'atomica, della bomba atomica, è in grado di fare questa semplice e penosa constatazione: che si comportarono liberamente, cioè da uomini liberi, gli scienziati che per condizioni oggettive non lo erano; e si comportarono da schiavi, e furono schiavi, coloro che invece godevano di una oggettiva condizione di libertà. Furono liberi coloro che non la fecero.
Schiavi coloro che la fecero. E non per il fatto che rispettivamente non la fecero o la fecero - il che verrebbe a limitare la questione alle possibilità pratiche di farla che quelli non avevano e questi invece avevano - ma precipuamente perchè‚ gli schiavi ne ebbero preoccupazione, paura, angoscia; mentre i liberi senza alcuna remora, e persino con punte di allegria, la proposero, vi lavorarono, la misero a punto e, senza porre condizioni o chiedere impegni (la cui più che possibile inosservanza avrebbe almeno attenuato la loro responsabilità), la consegnarono ai politici e ai militari
Il cui esito poi prefigura il destino dell'uomo:
qualcuno qui, in questo convento, si è forse salvato dal tradire la vita tradendo la cospirazione contro la vita; ma la cospirazione non si è spenta per quella defezione, il dissolvimento continua, l'uomo sempre più si disgrega e svanisce in quella stessa sostanza di cui sono fatti i sogni. E non è già un sogno di quel che l'uomo "era" l'ombra rimasta come stampata su qualche brandello di muro, a Hiroshima

sabato 24 marzo 2018

And here's to you, Mr. President

Trovata la quadra con criteri da borgata: è stato eletto Presidente della Camera "er mejo Fico der bigonzo"

Grazie, Roberto Giachetti

Per averci ricordato la nobiltà e l'altezza della politica con queste parole:


Noi siamo qui in nome e per conto del popolo italiano che ci ha eletto, e quanto più grande sarà stata la nostra capacità di interpretarne le necessità tanto più positivamente avremo influito su una porzione della sua felicità. Dunque a conclusione del mio saluto e a testimonianza di quella particolare forma d'amore che nasce nella politica e per la politica, lasciatemi usare le parole di una persona che ha fatto della politica la sua vita e che pur non avendo avuto responsabilità primarie nelle istituzioni, con il suo impegno e la sua passione ha assicurato al nostro Paese conquiste di grande civiltà e democrazia, Marco Pannella. 
Tra i tanti pensieri contenuti nella raccolta "Una libertà felice" si legge: 
"Per questo annoto e per questo registro. Perché la conquista della democrazia passa anche in un abbraccio, in una discussione sul liberalismo e un' altra sulle rivoluzioni, passa per ogni persona e per ogni idea capace di migliorare il mondo. Passa per ognuna delle sciocchezze che ci vengono in mente e che abbiamo la voglia e la forza di comunicare e condividere. L'importante è osare e usarsi. L'importante è accettare ogni sfida che può guadagnare un grammo in più di libertà. Finché siamo uomini, finché siamo vivi, abbiamo il diritto e il dovere della partecipazione. Dobbiamo esserci, esserci per gli altri e per noi. Dobbiamo lottare perché gli altri ci ascoltino e dobbiamo lottare con noi stessi per imparare ad ascoltare gli altri: dobbiamo soprattutto essere pronti a testimoniare l' amore." 
Buon lavoro a tutti noi


Grazie, Roberto: con un canestro di parole nuove, calpestare nuove aiuole.