venerdì 4 maggio 2018

Le tre Italie del 1943 (chi ha combattuto veramente la guerra civile)

di Gianni Oliva
Interessante lettura molto adatta ai giorni attorno al 25 aprile, che affronta in maniera ragionata (quindi ben diversa dalle strombazzanti opposte vulgate) alcuni nodi interpretativi del biennio 1943-1945 della nostra storia, con un contributo originale e arricchito dalla bibliografia e dalle citazioni utilizzate.
Il primo passaggio evidenzia la natura comodamente assolutoria di una rappresentazione della realtà in cui si è valorizzato l'operato dei pochi che combatterono veramente il fascismo, dimenticando quanti, passivi durante il fascismo, aspettarono di vedere come andava a finire prima di applaudire i partigiani. L'omissione del fascismo, o meglio, di se stessi senza il fascismo, corrisponde ad un progetto di rimozione della memoria scomoda che si è sedimentato nell'immaginario collettivo.
Il progetto ha permesso alla società italiana di riprendere il cammino interrotto nel 1922 senza interrogarsi sulle responsabilità specifiche e collettive che resero possibile il fascismo
L'autore si interroga anche sulle caratteristiche dell'antifascismo nel ventennio, toccando il noto tema del "consenso", per argomentare che il primo fu fenomeno di ristrette minoranze, e quanto al secondo che dominante fu la "zona grigia" contraddistinta da un conformismo in cui confluivano sia l'accettazione subita passivamente, sia l'accettazione attiva. Interessante è l'osservazione che alla prima esperienza di partecipazione di massa alla vita collettiva, gli italiani la vissero inquadrati negli schemi preordinati dal regime, in un'atmosfera che tendeva di per se ad escludere l'adesione consapevole e meditata. L'appartenenza alla zona grigia condizionò l'atteggiamento della massa al momento del dunque, in quanto essa vi arrivò condizionata da un retroterra di accettazione, conformismo e delusione.
Nel terzo capitolo l'attenzione dell'autore si focalizza sulle scelte compiute dagli individui, analizzate nella dimensione umana non meno che in quella politica, finanche nella casualità che poteva determinarle. 
La scelta di rottura degli antifascisti fu scelta ispirata dall'anelito di libertà, dal desiderio di azione, che portavano alla lotta contro il nemico occupante (per di più germanico e nazista, e quindi offrendo un ventaglio di motivazioni ai combattenti), al lotta per i mutamenti sociali, alla guerra civile contro le forze fasciste.
La scelta di continuità di chi si schierò dall'altra parte ebbe, a livello individuale, motivazioni di onore, fedeltà e combattimento, riscatto. Oliva richiama il dibattito (e le strumentalizzazioni) sulla "pacificazione" tentata da ventanni a questa parte, per sottolinearne il merito di aver superato l'approccio moralistico e manicheo (quest'ultimo comprensibile solo dalla visuale di chi doveva giustificare a se stesso di rischiare la vita) alle vicende del 43-45, come i rischi di una equiparazione che azzeri tutte le differenze. L'osservazione di grande interesse è quella sulla necessità di distinguere il piano individuale, nel quale può anche operare la categoria della buona fede, da quello collettivo, nel quale può trovare fondamento un giudizio etico politico sul "progetto" che le idee dei combattenti avevano per il futuro del paese dell umanità. Secondo Oliva, posto che i tre progetti in campo erano quello del fascismo, quello dell'antifascismo comunista e quello dell'antifascismo democratico il giudizio lo ha dato la storia nei decenni successivi.
La zona grigia, dunque. Oliva fa i conti dei combattenti, per dimostrare che essa abbracciò la grande massa degli italiani, per la quale l'imperativo fu: "primum vivere", e per sostenere nuovamente il collegamento di un'attitudine rinunciataria e attendista con il decadimento morale provocato da ventanni di "adesione e coercizione, di obbedienza e di anonimato... L'Italia che non si domandava da che parte stare era la stessa Italia che aveva celebrato l'impero senza chiedersene il perchè: ma ancor più, era la stessa Italia che sarebbe uscita dal fascismo senza interrogarsi su come vi era entrata, come vi era vissuta, come vi aveva partecipato".
Oliva affronta poi la questione della "guerra civile", per abbracciare la teoria di Pavone sulle "tre guerre" (patriottica, civile e di classe) in rapporto alle motivazioni dei combattenti, ma evidenziando che per il paese che inventò il fascismo la lotta era soprattutto contro il suo passato, per liberarsene.
Esaminati taluni aspetti della "resa dei conti", Oliva traccia le conclusioni.
La guerra civile iniziata dalla Resistenza, marginale nel suo contributo militare, certo funzionale alla "rappresentazione assolutoria", fu lo sforzo consapevole di liberarsi del carico morale e politico del regime. Finita la guerra, la riflessione sul passato e le istanze di rinnovamento di cui era portatrice restarono appannaggio di una minoranza, non diventarono davvero valori fondanti di una nuova comunità politica.
Il 25 aprile fu un "punto e a capo" e non un nuovo inizio, la resistenza una occasione mancata: troppa la dimensione e l'attitudine della zona grigia, troppo il desiderio della classe dirigente di chiudere i conti con il passato, trincerandosi dietro l'alibi di una guerra vinta per dimenticare le colpe di una guerra perduta 


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