Su Ibs nell'anniversario della strage di via Fani proponevano una trentina di titoli.
Ce n'era per tutti i gusti: libri apologetici, agiografici, sensazionalisti, retroscenisti.
Questo che ho scelto aveva la rara caratteristica di essere scritto da uno storico: che si è vista in una lettura complessa, a volte faticosa, del resoconto di un esame documentale certosino delle fonti.
La prospettiva è eminentemente la vicenda politica che nacque attorno alla possibilità della liberazione dell'ostaggio.
La chiave di lettura è dichiarata nel sottotitolo: il sequestro di Moro fu una tragedia repubblicana, i protagonisti i maggiorenti della Dc e degli altri partiti e dall'altra parte le BR.
L'esito tragico discende secondo l'autore non da oscure mene o da inconfessabili volontà, ma soprattutto dalla incomunicabilità dei due mondi, in buona parte dovuto all'autoreferenzialità ed ai limiti intellettuali e politici dei brigatisti.
La conclusione non indulge alla vulgata corrente:
Le conoscenze acquisite finora indicano che Moro è morto perché le Brigate rosse avevano deciso di ucciderlo e perché non intervenne alcun elemento che riuscisse a fermarle.
La responsabilità della sua morte è perciò di chi l'ha ucciso, dei suoi compagni e dei loro sostenitori, nonché dei loro mandanti occulti, se ci furono. Per quanto ci è dato sapere, Moro fu assassinato
per gli stessi motivi per cui era stato rapito, vale a dire non per ciò che egli era veramente, per ciò che aveva fatto davvero e per una reale convenienza politica dei brigatisti a rapido o a ucciderlo,
ma per il valore che questi attribuirono alla sua morte nella lotta contro lo Stato imperialista delle multinazionali, dentro una logica che confondeva il piano della realtà con quello dei simboli, anche
se l'assassinio di Moro fu un evento tragicamente reale.
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