di Mario Rigoni Stern
Sulla scia del centenario di Rigoni Stern celebrato l'anno scorso ritorno al suo racconto più noto, famoso almeno una quand'ero ragazzo ed era viva (oltre ad alcuni reduci, tra i quali barba Pinotto di Turpino) la memoria della ritirata di Russia.
Sembra una fredda (gelida?) cronaca, suddivisa nelle due parti che descrivono l'una la vita al caposaldo, l'altra i giorni e le vicissitudini della ritirata vera e propria. Rigoni Stern non indugia in discussioni politiche nè sul senso del mondo, non usa la parola nemico, non menziona Mussolini nè Hitler nè il Re. A ventanni ha la responsabilità di riportare a casa un gruppo di uomini e si preoccupa delle munizioni, dei pezzi, di cosa mettere sotto i denti. Gesti essenziali, sempre uguali che nella monotonia dei passaggi fanno dimenticare la reale successione degli eventi.
Fama meritata per l'episodio in cui nell'isba l'incontro con i soldati russi diventa un momento in cui degli uomini riconoscono nei soldati con la "divisa di un altro colore" uomini come loro, non nemici.
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