domenica 24 agosto 2025

La geodemografia

 di Massimo Livi Bacci


Diverse delle ultime letture, quella di Graziosi in particolare, hanno rinfocolato la mia curiosità sulla demografia ed in particolare sulla sua incidenza nelle dinamiche politiche e storiche.

Questa raccolta di interventi del massimo esperto italiano in materia offre diversi spunti interessanti, precisando che la geodemografia non è una nuova materia, ma una prospettiva che considera le popolazioni per gli effetti che provocano sul piano politico.

Gli otto capitoletti si fanno leggere facilmente, ripetendo alcuni concetti e fornendo spunti sui vari argomenti.

Il "breve ritratto della popolazione del mondo", oltre a fornire un quadro a "volo d'uccello" sulla storia della popolazione del mondo e le sue prospettive, ricorda che il rapporto tra la floridezza demografica e la potenza di un paese è problematico.

Livi Bacci parla poi di confini, etnie, capitali, delle migrazioni e del loro utilizzo come arma, soprattutto psicologica, soffermandosi su diversi casi che utilizza per esemplificare le sue argomentazioni.

domenica 17 agosto 2025

Slenza est

Escursione organizzata all'ultima, il caldo minaccia (ma anche la pioggia), ricorriamo ai "Sentieri del bosco", Slenza Est da Piani di Pontebba.

Una lunga carrareccia ci porta da ovest a est, un'ascesa di quasi 2 ore per arrivare ad un fenomenale ripiano prativo, dove inizia il sentiero nel bosco.

La lunga camminata nel bosco ci conduce alla meta, la casera alta, poco sotto le pendici della Slenza Est.

Tralascio la cima, il piacere questa volta è la strada, che è tanta e induce alla necessità di tornare, giusto in tempo per schivare la pioggerellina che ci accoglie a Piani. 




 


sabato 9 agosto 2025

Lago di Bordaglia

E' lo sfondo del mio desktop, è uno dei luoghi in cui ogni friulano dovrebbe tornare ogni 4-5 anni.


Ci tenevo a portarci i miei figli, dopo un bel po' di trattative riesco ad organizzare.

La partenza con qualche contrattempo suggerisce di abbandonare l'idea dell'anello, prendiamo la via diretta, l'inizio per la carrareccia consente un buon riscaldamento, il caldo non si fa sentire più del dovuto nelle due ore che portano alla casera bassa.

Con un po' di sorpresa la troviamo gestita da due giovanissimi ragazzi, abitata da un gruppo scout.

Dopo un breve ristoro raggiungiamo in mezzora il lago che è il nostro obbiettivo. Vinco la tentazione di un bagno, ricordando quello di quasi trentanni fa. Il pranzo nella pace e nella bellezza invita a restare, mi appisolo per poi incontrare una conoscenza, anche lui salito con la famiglia.

Quando viene l'ora di partire non manca il magone, provo a risalire dalla casera alta per rifare la foto.

Non è proprio la stessa, la vera bellezza mi dà un nuovo appuntamento 




venerdì 8 agosto 2025

La Cripta dei Cappuccini

 di Joseph Roth

Per molti anni ho indicato questo libro tra i miei favoriti, avendolo letto già al ginnasio grazie alle provvide prescrizioni della professoressa Lorenzon.
La qualità della narrazione di Roth si avvicina alla perfezione stilistica, garantisce un autentico piacere estetico della lettura che ho ritrovato ( forse superandolo) solo in Leonardo Sciascia.
In questo romanzo, tra i più noti dello scrittore asburgico e forse quello in cui maggiore è l'immedesimazione tra l'autore ed il protagonista, il tema centrale è la perdita del "mondo di ieri" e lo smarrimento di una generazione che dopo quella perdita non riesce a trovare il suo posto nel mondo, nella vita. 
Joseph Trotta è l'esponente di un'aristocrazia di giovane formazione, ma perfettamente integrata nel mondo mitteleuropeo che a Vienna vive senza svolgere alcuna attività che non sia l'impersonare i valori della monarchia asburgica. Fa parte di un gruppo di gaudenti che vivono "alla nottata", ostentando  disincanto verso le donne, la politica e i rapporti con le generazioni precedenti. La noia viene interrotta dalla visita di persone molto lontane da quell'ambiente, un cugino caldarrostaio sloveno ed un vetturino ebreo galiziano, che spezzano la routine del gruppo ma delineano lo spaccato di una società in cui le diversità nazionali, religiose e di classe trovano una composizione organica in un mondo raccolto accanto alla figura paterna dell'imperatore. 
I fatti sono narrati con il costante riferimento al senno del poi, letti quale costante presagio di una tragedia: "La morte incrociava già le sue mani ossute sopra i calici dai quali bevevamo".
La tragedia non è la guerra, ma la fine di un mondo che essa comportò.
Allo scoppio del conflitto (mirabile il passaggio in cui esso viene annunciato con il semplice riferimento all'incipit del celebre proclama con cui fu annunciata, da Francesco Giuseppe, "Ai miei popoli"), Trotta affronta i passaggi della partenza, della prigionia, del ritorno in una Vienna non più capitale di un impero, "vivo per errore":
"Ero di nuovo a casa. Tutti noi avevamo perso rango e posizione e nome, casa e denaro e valori: passato, presente e futuro. Ogni mattina quando aprivamo gli occhi, ogni notte quando ci mettevamo a dormire imprecavamo alla morte che invano ci aveva attirato alla sua festa grandiosa. E ognuno di noi invidiava i caduti. Riposavano sotto terra e la primavera ventura dalle loro ossa sarebbero nate le violette. Noi invece eravamo tornati a casa disperatamente sterili, coi lombi fiaccati, una generazione votata alla morte, che la morte aveva sdegnato "    
La modernità viene impersonata, per essere sdegnata, dalle attività cui si dedica la moglie Elizabeth, arti applicate, e dalla sua famiglia, i cui valori borghesi appaiono lontani da quelli che appaiono veri a Trotta.
Il figlio e soprattutto la forza della madre costituiscono un appiglio personale, che nulla può contro lo smarrimento per la perdita di qualcosa di più di una patria, di una identità. 
"Dove devo andare, ora, io, un Trotta?" 
La domanda che conclude l'opera è inevitabilmente destinata a restare senza risposta.
Riletto dopo molti anni, questo libro conserva intatta la sua classe. La qualità della narrazione è straordinaria, perle sono nascoste ovunque, specie dove piccoli dettagli costituiscono pretesto per osservazioni di carattere generale. Una maggiore conoscenza del contesto storico e la maturità dei 50 anni aiutano a comprendere ancora meglio alcuni passaggi.
   

Tina

 di Pino Cacucci


La via parallela a quella in cui ho passato la mia adolescenza è via Tina Modotti.

Un nome che ho quindi orecchiato da 40 anni, senza sapere esattamente chi era la persona a cui era appartenuto.

Si tratta di una delle udinesi più note fuori dai confini nostrani, per quanto la sua permanenza tra noi sia stata breve e, a giudicare da quanto racconta Cacucci, nemmeno delle più felici.

La sua vita si è infatti svolta tra gli Stati Uniti ed il Messico, con le significative parentesi in Spagna e Unione Sovietica.

Il racconto di Cacucci segue le vicende di una personalità molto forte, incentrate sul rapporto con l'arte fotografica e la passione politica, che da un certo punto in poi prevale. Appare singolare come una individualità così marcata abbia potuto assestarsi sulle posizioni più allineate allo stalinismo più ortodosso, di cui Tina fu nei fatti un agente.

Cacucci delinea una personalità inquieta soprattutto avvalendosi del rapporto con uomini molto diversi tra loro, Robo, Weston, Guerrero, Mella, Vidali, personalità forti conquistate dal fascino di una donna che non può che essere stato fuori dal comune. 


domenica 20 luglio 2025

Solo tu. Come loro.

Sportweek pubblicando le più belle foto della vittoria di Sinner si esercita nel giochino dell'individuazione (senza classifica) delle più grandi imprese sportive di sempre.
Invitandoci al nostro personale celo, manca.
E allora, limitandomi a quelli a cui ho assistito.
Marcell Jacobs campione olimpico dei 100, la più inattesa delle vittorie nella gara delle gare.
Marco con la barbetta gialla, le lacrime trattenute in eguale misura per il ricordo della fatica, per la gioia della vittoria e per il presagio di quello che gli sarebbe accaduto.
Alberto Tomba che vince dopo il gigante lo speciale olimpico interrompendo il festival di Sanremo.
Valentino che vince la sua prima gara in Yamaha e bacia la moto.
Filippo Magnini campione dei 100 stile.
I fratelli Abbagnale con peppiniello.
Stefano Baldini primo nella maratona che partiva da Maratona, cinto d'alloro nello stadio Panathinaikos.
Il gruppo di di Bearzot nel più grande mondiale che la storia ricordi.
Yuri Chechi più forte della sfortuna, re degli anelli.
La staffetta del fondo che regala ai norvegesi il loro Maracanazo.
Le ragazze di Velasco che rompono il tabù (a Julio non piacerebbe questa), ma anche le tante vittorie della generazione di fenomeni.
Un po' abbiamo goduto.

giovedì 17 luglio 2025

Ho visto Jannik Sinner

Mi avessero detto dieci anni fa che l'Italia non sarebbe andata ai mondiali e che un italiano avrebbe vinto Wimbledon, avrei riso di entrambe le previsioni.

Ma nella vita tutto può succedere.

Più forte di tutto e tutti, degli avversari che lo guardano sconsolati tirare così forte, della Wada, dei gufi che è meglio Alcaraz, della scimmia che poteva diventare quella incredibile sconfitta a Parigi, finalmente anche di quell'antipatico di Carlos, dopo aver vinto già 3 Slam, le finals, 2 volte la Coppa Davis, gli Internazionali, Sinner completa una carriera già da sogno vincendo il torneo dei tornei.

Un Italiano vincitore di Wimbledon!

Mentre molti dei cronisti ricordavano (bravi) Gianni e Rino che non sono riusciti a vederlo, Jannik si inerpicava sulla tribuna abbracciando mamma e papà e Mark.

Già, il ragazzo d'oro baciato dal talento e da una mente fenomenale è anche un bravo ragazzo, una persona che non ha perso l'umiltà e la capacità di riconoscere le cose che contano, che si dichiara orgoglioso di essere italiano.  

Le partite non riesco a vederle, troppa tensione. Ascolto in sottofondo e mi ritrovo i pugni serrati e il groppo in gola come per uno scatto di Marco, come per quella corsa di Marcello.

Le classifiche si sprecano, sarà il GOAT dello sport italiano, del tennis?

Probabilmente si. Ce ne freghiamo ora, ci godiamo l'abbraccio con papà Hanspeter.




domenica 6 luglio 2025

Carnera

 di Daniele Marchesini

In questo libro, che inseguivo da molti anni, si mescolano i tratti di una biografia del campione di Sequals e molto contesto storico.


L'informata ricerca di Marchesini mantiene un giusto equilibrio tra mito e ricostruzioni demolitorie, come dimostra l'assennato giudizio sui rapporti con il regime.

Carnera ebbe molte vite: bambino nel Friuli della fame più nera, adolescente emigrato in Francia e reclutato come gigante da esibire nel circo, giovane atleta costruito sia come pugile sia come personaggio in maniera controversa, campione celebrato ed utilizzato dalla propaganda del regime, poi rapidamente ex campione in declino e quasi alla fame, infine uomo capace di costruirsi una nuova carriera nella lotta, di nuovo campione del mondo.

Conobbe principi, capi di stato attrici e miliardari; la fame e gli abiti eleganti, il circo e le cabine di lusso dei transatlantici; la gloria e la solitudine dopo la sconfitta, la popolarità e l'abbandono di chi si era arricchito a suo danno.

Marchesini dedica attenzione alla vita degli emigranti, al contrastato affermarsi della boxe come sport popolare, al ruolo della malavita nell'affare che diventò, al giudizio sul reale valore sportivo di quello che fu soprattutto un personaggio, ma anche un atleta che seppe crescere, ai meccanismi della pubblicità e al ruolo dell'eroe sportivo nella società di massa, alla cura del corpo nella ideologia fascista, alla strumentalizzazione del campione poi seguita dalla censura applicata  alle immagini della sua sconfitta.

Sullo sfondo rimane l'uomo che fu il più grande campione espresso da questa terra, un uomo che conobbe la fatica ed il dolore, ma seppe rialzarsi e alla fine conquistare quello a cui teneva, il benessere per la sua famiglia.

Mi sovvengono, collegamento certo arbitrario, le parole di Gigi De Agostini in un'intervista alla Gazzetta di qualche settimana fa:

"De Agostini, che qualità si riconosce? 

La tenacia. Una volta in nazionale mi infortunai alla caviglia, Bonaparte mi telefonò: guarda che domenica devi stringere i denti, sennò che friulano sei? Ogni volta che la vita si mette di mezzo ci ripenso. Ho avuto il tumore, ho problemi al cuore, sono brachicardico e di recente mi hanno messo un pacemaker. Ma guardo avanti con speranza e fermezza, sennò che friulano sarei?"

Primo restò uno di noi. Il vero momento di gioia descritto nel libro è quello, commovente, del suo ritorno da campione a Sequals, paese nel quale poi rientrò anche per morirvi e trovarvi sepoltura.

Non molti anni fa anche Giovanna Maria rientrò a vivere in Friuli, con queste parole: 

"Fin da piccola papà mi parlava continuamente del suo Friuli. Mi ha colpito nell’anima quella sua passione profonda per un paese che lo ha visto nascere povero ma che gli ha dato tanta ricchezza dentro: umiltà, dignità e un grande amore per la sua famiglia. Da anni volevo tornare in questo paese straordinario ma la vita ha voluto che prendessi un’altra strada. "


 

sabato 5 luglio 2025

Un uomo assiale

Qualche mese fa ho parlato del singolare libro di Sergio Sarti "L'Uomo assiale".

L'ultima volta che ho visto Vittorio, che lo ha editato e poi me ne ha fatto avere una copia, mi ha parlato di una presentazione dell'opera avvenuta un paio di giorni prima con l'entusiasmo che metteva in tutte le cose, ma con uno speciale trasporto per l'argomento trattato. Mi è parso che volesse dirmi: queste sono le cose di cui è importante occuparsi, di cui voglio occuparmi.

La lettura dell'opera mi ha fornito la descrizione di un tipo d'uomo consapevole dell'importanza della spiritualità come elemento che eleva l'uomo, nella misura in cui è capace di metterlo a contatto con la trascendenza, ma anche di farsi interprete di un rapporto misurato e maturo con la comunità.

Io credo che Vittorio si immedesimasse nell'uomo assiale, che abbia dato corpo come poche altre persone che io ho conosciuto all'ideale descritto da Sarti.

La partecipazione alle sue esequie hanno confermato il diffuso rispetto che il suo agire ha generato nelle persone più varie, alle quali ha dedicato attenzione, impegno, simpatia. Nelle poche occasioni di incontro che abbiamo avuto ho sempre avuto l'impressione che mi desse un'importanza che sentivo di non meritare, e credo facesse così con tutti, mosso da istintivo tratto umanista.

Lo ricordo con tanta stima e grandissima simpatia. Mancherà molto non solo alla sua bella famiglia, ma anche alla cultura e alla collettività per le quai si tanti prodigato.

lunedì 23 giugno 2025

Thank U

Forse è eccessiva la ricerca di senso in alcune cose che ci accadono o a cui assistiamo, forse l'età, le circostanze, il contesto ci inducono a cercarlo o a vederlo oltre il necessario.

Sono a Villa Manin, sta iniziando il concerto di Alanis Morrisette a cui sono riuscito ad infilarmi grazie ad una botta di culo e a mia cognata. E' un evento, in ambito concertistico, di una portata che può vedersi piuttosto raramente a queste latitudini. Attorno vedo persone prevalentemente della mia età, giusto qualche anno in meno, per lo più donne, molti non sono di qua e nemmeno italiani. Parte un filmato introduttivo, poi l'attacco e dopo un minuto entra lei:

So che tutto andrà a finire
per il meglio, meglio, meglio,
perché ho una mano in tasca
e l'altra dà il cinque.

Alanis è in jeans, camicia e sneakers, e già lo sapevamo che non sarebbe stato un concerto con cambi d'abito, scenografie e balletti. E' la ragazza con lo zainetto, la versione candese-americana di quella che faceva l'inter-rail, arrabbiata, generosa, vogliosa di vita ma di una vita diversa. 

Realizzo di colpo ora che la vedo di fronte a me, mia coetanea quinti attempata signora, quanto tempo è passato e come ci, mi ha cambiato. Il groppo alla gola è immediato.

Con grande prova canora e con rispetto del pubblico ha fatto tutti i vecchi pezzi, e io mi chiedevo cosa provi a cantare canzoni che ha concepito più di trentanni fa. Forse un percorso di vita non privo di difficoltà, ma nel quale ha saputo trovare una maturità che non ha snaturato le sue istanze e caratteristiche più genuine, ma le ha fatte diventare quelle di una persona diversa, le consente di trovare ancora se stessa in quella ragazzina che urlava al mondo .

Il momento in cui ho mollato è stato il momento
in cui avevo tra le mani molto più di quello che potevo gestire.
Il momento in cui sono saltata giù
è stato il momento in cui ho toccato terra
.

Uno dei motivi per cui la ragazzina era arrabbiata era la condizione femminile, direi meglio delle persone che sono femmine. Ancora oggi lo ricorda e ne parla, e facendolo aggiunge all'incazzatura l'azione. Quando da adolescenti si diventa adulti si capisce che le cose bisogna provare a cambiarle facendone alcune, quelle che sono nella nostra possibilità, non basta urlare che non vanno. E forse la Morrisette è una che delle persone che ha fatto di più per l'empowerment femminile ha fatto di più, anche solo facendo sentire a molte persone, con le sue canzoni, che non erano le sole a provare certe cose.  

Dopo uno spettacolo di poco più di un'ora, in cui non si è risparmiata correndo, suonando la chitarra glitterata, cantando, Alanis ci ha lasciato soli con i nostri pensieri, ma non dimenticando l'essenziale: 

Thank you so much,
I Love you,
take care each other.

 





 

 


domenica 15 giugno 2025

Bivacco Anita Goitan

Si profilo un pertugio nel groviglio di impegni e maltempo, Riccardo mi dà l'ok, è il weekend giusto per una nuova esperienza in bivacco.

Purtroppo soli ci muoviamo a metà mattinata. In auto  per arrivare al rifugio Pussa ci vogliono 120 minuti, gli ultimi 30 dei quali nella solitaria e selvaggia Val Settimana.

Me la immaginavo simile alla Valcimoliana, con la quale ha in effetti dei tratti in comune, non la bellezza folgorante dei Monfalconi.

Dopo un'ottimo pranzo al rifugio ci incamminiamo di buona lena sul sentiero 385, giro antiorario, ci aspettano 900 mt di dislivello. Il sentiero nel bosco sale con pendenza decisa, la fatica dello zaino sulle spalle si fa sentire. Al termine della faggeta si risale sul greto del rio Meda, mentre il solleone in un breve attimo lascia spazio a nuvole, qualche timido tuono preannuncio di una pioggerella che ci accompagnerà per un'ora. Arrivati al bivio con 386 ci rinfranchiamo, il più è fatto, il resto della salita è guadagnato con una traversata in pendenza puù dolce in mezzo ai mughi.

Dopo un'ansa ecco spuntare il bivacco, in buone condizioni nonostante l'esterno ammaccato, pronto ad ospitare 9 persone con materassi, cuscini e coperte. La vista è eccezionale, il luogo è promessa d'incanto che il tempo in parte delude. 

Non facciamo in tempo a sistemarci che arrivano una coppia di ragazzi con i quali divideremo la serata: atleti, loro ci hanno messo 2h30 invece delle nostre 4 a coprire l'ascesa. 

La pioggia si esaurisce ma lascia un contorno di nuvole che preclude la visione sia del tramonto che del cielo stellato: peccato.

Cameratesca convivialità condita dallo scambio di qualche innocua cazzata rendono piacevole la permanenza, alle 22 mi addormento nel sonno del giusto.

All'indomani ci attende, di buona mattina, un rinnovato cielo sereno. Ripartiamo prima delle 7 per completare l'anello basso del sentiero 386. Alla fine la discesa prima in un bel panorama, poi quasi interamente nel bosco, è bella anche se decisamente ripida. Considerata l'ascesa di 100 mt dal bivio il dislivello in discesa supera i 1000 mt.

Arrivati alla carrareccia che conduce al Pussa ringrazio Riccardo per il regalo che mi ha fatto: ed eccone un altro, mi risponde che al contrario è lui ad essermi grato.

E io sono grato anche alla vita che mi ha consentito di conoscere la vera bellezza.







lunedì 2 giugno 2025

Il sale della terra

Siamo uno di meno, e quell'uno è Sebastiao Salgado.

Poche settimane l'ho definito l'uomo che più ammiravo. Un grande artista, che ha fatto della sua opera non solo testimonianza, ma anche azione.

Non scatti, non reportage, ma progetti durati anni per dare contributo alla comprensione di fenomeni epocali. Workers l'essenza della fatica e della dignità dei lavoratori. Exodus, l'inarrestabile forza delle migrazioni. Genesis, i paesaggi e popoli rimasti intoccati dall’assalto della modernità e del progresso. Amazonia, la testimonianza di una natura antica che forse tra 50 anni non ci sarà.

Il lavoro, la migrazione, l'ambiente. Di cos'altro deve occuparsi un artista, un intellettuale?

L'arte più grande è quella in cui l'altezza estetica si accompagna all'idea, ancor più se diventa istanza etica.

E Salgado è stato sempre attento alle identità dei popoli, alle fragilità del pianeta, all’esaurimento delle risorse, alle  desolazioni della povertà, dello sfruttamento e della guerra, capace di ascoltare una natura che grida la sua bellezza affinché l’uomo si svegli e decida di salvarla e di salvarsi. Come ha detto Peter Sager: “Pur senza la minima traccia di sensazionalismo, le immagini di Salgado hanno una loro spettacolarità. I suoi vigili del fuoco, i suoi operai metallurgici sono eroi al lavoro, talvolta ai limiti dell’idealizzazione romantica. I coltivatori delle piantagioni di canna da zucchero cubane brandiscono i loro machete come guerrieri di epoche arcaiche. E i fuggiaschi etiopi avvolti nei loro panni, ai margini del deserto, sembrano i personaggi di una tragedia antica. Sono immagini estreme di realtà estreme. Il pathos, il gesto elegiaco emana dai soggetti quanto dal modo in cui vengono rappresentati. Gruppi di madri con bambini, scene di passione, masse in gran movimento: queste immagini raccontano storie bibliche che Salgado cita con la passione di un teologo marxista della liberazione”.

E' esemplare il racconto di come nacque Genesis.
Siamo animali molto feroci, siamo animali terribili noi umani. La nostra è una storia di guerra, una storia senza fine, una storia folle. Sia qui in Europa, che in Africa, in America Latina, dappertutto. Siamo di una violenza estrema. E' stato il mio ultimo viaggio, in questa disgraziata avventura nel Ruanda. Quando sono andato via, non credevo più a niente, non poteva esserci salvezza per la specie umana. Non si poteva sopravvivere a una cosa simile.

L'inizio dell'esperienza della riforestazione della tenuta affidatagli dal padre, che Salgado iniziò con scetticismo convinto da Lelia, fu la scintilla che fece tornare la voglia di ricominciare, questa volta cambiando il soggetto delle sue foto per narrare i luoghi incontaminati del pianeta. 


Il coronamento c'è poi stato con Amazonia. Studio, lavoro, viaggio nel cuore della terra e vera empatia per le persone che abitano questo mondo antico e unico: "My wish, with all my heart, with all my energy, with all the passion I possess, is that in 50 years time thies book will not resemble a record af a lost world. Amazonia must live on - and always at its heart, its Indigenous inhabistants".

Salgado credeva che il genere umano abbia posto le basi della propria estinzione, superando i limiti dei danni che poteva arrecare alla terra. Ma in fondo, le sue parole lo confermano, conservava la speranza nella possibilità che le cose cambino, e ha fatto intero la sua parte, di artista e di persona, perchè ciò accada, in maniera di cui stento a trovare l'eguale.
Ha dato così, a noi incapaci della sua arte e della sua comprensione delle cose più importanti, il più grande degli esempi.

Ben lo ricorda il suo Instituto Terra:
“È con profondo dolore che annunciamo la scomparsa di Sebastião Salgado, il nostro fondatore, mentore ed eterna fonte di ispirazione.
Sebastião è stato molto più di uno dei più grandi fotografi del nostro tempo. Insieme alla sua compagna di vita, Lélia Deluiz Wanick Salgado, ha seminato speranza dove c’era devastazione e ha fatto fiorire l’idea che il ripristino ambientale è anche un profondo gesto d’amore per l’umanità. Il suo obiettivo ha rivelato il mondo e le sue contraddizioni; la sua vita, il potere dell’azione trasformativa.
In questo momento di lutto, esprimiamo la nostra più sentita solidarietà a Lélia, ai suoi figli Juliano e Rodrigo, ai suoi nipoti Flávio e Nara e a tutti i familiari e gli amici che ora condividono il dolore per questa immensa perdita.
Continueremo a onorare la sua eredità, coltivando la terra, la giustizia e la bellezza che lui credeva profondamente potessero essere ripristinate.“.

Ti sia lieve la terra, Sebastiao, la tua terra.
















domenica 18 maggio 2025

Let's hope and dream

Non credo di essere eccessivo se uso le parole di Saramago: "Attendevamo da molto tempo che si facesse giorno, eravamo sfiancati dall’attesa, ma ad un tratto il coraggio di un uomo ... ci ha restituito una nuova forza".

In questi tempi terribili, non le sventure e le tragedie, purtroppo mai mancate nella storia lontana e recente, ma il venir meno delle istituzioni e delle figure cui si faceva riferimento come porto sicuro della libertà e della democrazia, è il vero motivo di angoscia.


Con le sue parole, all'apertura del tour di cui è significativamente eponima "Land of Hope & Dreams", il Boss ci dà un grande motivo di speranza con poche parole, all'introduzione di tre canzoni, che sono un vero, alto, grande discorso politico.  

Good Evening!

It’s great to be in Manchester and back in the U.K. Welcome to the Land of Hope & Dreams Tour! The mighty E Street Band is here tonight to call upon the righteous power of art, of music, of rock ‘n’ roll in dangerous times.

In my home, the America I love, the America I’ve written about, that has been a beacon of hope and liberty for 250 years, is currently in the hands of a corrupt, incompetent and treasonous administration.

Tonight, we ask all who believe in democracy and the best of our American experiment to rise with us, raise your voices against authoritarianism and let freedom ring! 

Bando ai giri di parole, l'attacco è diretto: l'attuale Amministrazione è corrotta, incompetente e traditrice di quello che è stata l'America per 250 anni: un faro di speranza e libertà. L'appello è alla mobilitazione per la libertà, contro l'autoritarismo.

The last check, the last check on power after the checks and balances of government have failed are the people, you and me. It’s in the union of people around a common set of values now that’s all that stands between a democracy and authoritarianism. At the end of the day, all we’ve got is each other.

Quando il sistema dei controlli fallisce, l'ultimo controllo sono le singole persone. E' l'unione  delle persone che condividono un comune quadro di valori, e che ora vogliono difendere la democrazia. Alla fine del giorno, quello che ci resta è quello che siamo gli uni per gli altri.

There’s some very weird, strange and dangerous shit going on out there right now. In America, they are persecuting people for using their right to free speech and voicing their dissent. This is happening now. 

In America, the richest men are taking satisfaction in abandoning the world’s poorest children to sickness and death. This is happening now.

In my country, they’re taking sadistic pleasure in the pain they inflict on loyal American workers. 

They’re rolling back historic civil rights legislation that has led to a more just and plural society.

They are abandoning our great allies and siding with dictators against those struggling for their freedom. They are defunding American universities that won’t bow down to their ideological demands.

They are removing residents off American streets and, without due process of law, are deporting them to foreign detention centers and prisons. This is all happening now. 

A majority of our elected representatives have failed to protect the American people from the abuses of an unfit president and a rogue government. They have no concern or idea for what it means to be deeply American. 

The America l’ve sung to you about for 50 years is real and regardless of its faults is a great country with a great people. So we’ll survive this moment. Now, I have hope, because I believe in the truth of what the great American writer James Baldwin said. He said, “In this world, there isn’t as much humanity as one would like, but there’s enough.” Let’s pray.

Le cose Bruce le chiama con il loro nome, parla della merda che vede. 

Persecuzione del dissenso, chiusura dei fondi ai programmi di assistenza, politiche dannosi per i lavoratori. Passi indietro sulle legislazioni dei diritti civili che hanno costruito una società più giusta e plurale. Pesci in faccia agli alleati storici e amicizia con dittatori che vessano popoli che combattono per la propria libertà. Tagli alle Università non allineate. Deportazioni di cittadini senza processi.

Queste cose stanno accadendo ora.

La rappresentanza ha fallito nell'impedire questo,  segno che non comprende cosa vuol dire essere veramente americani

C'è una speranza? 

Il Boss pensa di sì: l'America che ha cantato, nonostante tutto è un grande paese. Non c'è forse tutta l'umanità che vorremmo, ma ce n'è abbastanza.

Per queste parole, di cui gli siamo grati fino alla commozione, Bruce è stato attaccato in maniera feroce e scomposta dal POTUS. Non voglio ricordarne le parole, che si concludono con una minaccia di stampo mafioso, se non per sorridere (amaro) su quelle nelle quali il più noto (con Dylan?) cantante americano viene definito "not a talented guy". A spararla così grossa, nemmeno i tuoi ti seguono.

Ci voleva un cantante, a indicarci che la speranza non è morta, e chiedere che la gente ci mostri qual è la vera anima dell'America.

Lunga vita al boss, e viva la libertà.

sabato 10 maggio 2025

Wonderland. La cultura di massa da Walt Disney ai Pink Floyd

di Alberto Mario Banti 


Sono riuscito ad affrontare questo testo molto interessante l'estate scorsa, dopo lungo corteggiamento. 

Mi ha sempre intrigato un approccio storiografico ad un tema quale la cultura di massa, i fenomeni artistici e musicali che conosciamo ed amiamo.

L'autore si dimostra uno studioso eccezionalmente documentato e scrupoloso, con competenze (ad esempio in ambito di composizione musicale) che evidentemente travalicano l'ambito della storia, verosimilmente orientate da passioni personali.

L'opera è strutturata in due parti ed una conclusione ("Over the raimbow", "the times they are a changin" e "back to the future"),  a loro volta suddivise in capitoli che per autonomia di argomento e completezza sono ciascuno dei piccoli trattati.

Il primo capitolo "Industria culturale e cultura di massa" è di estremo interesse in quanto, nel descrivere la nascita dell'industria culturale negli Stati Uniti di un secolo fa, ci illustra le sue caratteristiche fondamentali che ancora oggi riconosciamo.

Già all'inizio ci illumina la definizione di cultura di massa, un sistema di produzione e circolazione di informazioni e narrazione trasmesse attraverso una serie di media (giornali, libri, immagini, film, musiche, canzoni) pensati come strumenti di informazione e intrattenimento per persone mediamente colte e con disponibilità di reddito relativamente contenute, di cui individua i principi nella semplificazione narrativa, nell'accessibilità per prezzo ad un pubblico vasto, nella finalità commerciale. 

L'industria culturale si sviluppa circa un secolo fa, dando vita in particolare ad una cultura mainstream caratterizzata dall'articolazione in generi, dalla struttura seriale delle narrazioni, da un alto grado di intermedialità. Per sintetizzare il canone della narrazione mainstream Banti utilizza la formula "There's no place like home", evidenziandone la struttura base con a) una armoniosa comunità che viene minacciata nel suo ordine da qualche forza maligna b) senza che le istituzioni ci siano o possano intervenire, c) lasciando il campo ad un eroe altruista che respinge il pericolo o vendica il torno, d) permettendo il ritorno all'originario stato di armonia. 

L'immancabile happy ending assolve ad una funzione consolatoria mediante il "sospiro di sollievo", accompagnato in alcuni generi (romantic comedy, musical) dall'ilarità. Nelle commedie il sentimento è l'amore romantico, finalizzato al matrimonio con figli, evitando rigorosamente allusioni all'aspetto sessuale. Le gerarchie di genere, razza e classe sono chiaramente delineate e neppure messe in discussione.

Accanto alla narrazione mainstream esistono le "contronarrazioni" in musica, che Banti descrive nel capitolo dedicato a blues, hillbilly, folk, per poi occuparsi, in una parte molto interessante, al mondo giovanile che comincia ad assumere una sua fisionomia autonoma. Nella sua lezione di storia a Udine di qualche settimana fa ha ricordato come la categoria dei giovani sia di fatto sorta nel Novecento, con la scolarizzazione ed il prolungamento della fase formativa, posto che in precedenza vi era un passaggio diretto dall'infanzia all'età adulta. In tale mondo si possono distinguere i ragazzi che frequentano le high school, la cui socializzazione è legata alle attività scolastiche soprattutto post-scolastiche, e gli altri, gli esclusi, per i quali è la strada a offrire le occasioni di aggregazione.

Banti si occupa poi della fase post-bellica, dell'esperienza beat (argomento della lezione che ho citato), della nascita del rock and roll e sulla "british invasion". 

Negli stessi anni in cui la società è in fermento, si svolgono le lotte del Movimento per i diritti civili e la contestazione, fioriscono diverse esperienze musicali e culturali, anche molto diverse tra loro, espressione di diverse subculture giovanili (citiamo gli Hyppies e l'originale esperienza di Dylan). La tesi di Banti è che esse riescono a formare una controcultura di massa, di portata transatlantica, fondata sulla musica rock, e ciò per tre motivi: 1) movimenti e culture musicale condividono alcuni temi eticamente rilevanti, 2) la musica rock si evolve come ibridazione dei suoi diversi generi, 3) si creano degli spazi rituali nei quali fruire dei vari generi (concerti, festival).

Non manca l'analisi di "suoni e parole del rock", nelle quali si osserva il sovvertimento del caposaldo mainstream, in quanto per il rock quasi sempre è un-happy ending.

Lo spazio dedicato alla controcultura rock è esteso; ma deve seguire l'osservazione del suo impatto sulla cultura di massa nel suo complesso. Per quanto vasto, il pubblico della musica rock non attrae l'intera categoria dei giovani, e ad essa rimane del tutto estranea la gran parte delle persone più anziane, e quindi la controcultura non è tale da mettere in discussione l'egemonia della cultura di massa mainstream.

Tuttavia vi sono delle reti attraverso le quali quest'ultima accoglie stimoli e temi provenienti dalla controcultura. Un esempio è la Hollywood renaissance, il grande rinnovamento dell'industria filmica negli anni dai sessanta agli ottanta. Dovuto a esigenze prettamente economiche (crisi di spettatori dovute all'avvento della tv), tale rinnovamento vide l'ingresso di nuove tematiche (anche con attenuazione dell'autocensura), l'avvento come protagonisti di antieroi, la mancanza dell'happy ending: Fenomeni per certi versi analoghi si verificano a Broadway e  nell'arte con la pop art. L'insieme di queste produzioni disegna una entertainment culture alternativa  che, oltre gli spazi specializzati nella comunicazione musicale, trasforma la  connotazione giovanile del rock in una proposta intergenerazionale, che sviluppa una rete di relazioni intermediali di notevole irradiazione.

Il capitolo in cui si traggono le conclusioni, rilevando la perdurante preminenza della cultura mainstream, si intitola significativamente "Back to the future". Il punto di partenza è la constatazione della breve durata della controcultura, dissoltasi nell'arco di un ventennio con la sconfitta politica dei movimenti radicali che la accompagnavano; tale osservazione prevale sul giudizio che sulla medesima si può dare (causa della decadenza dell'Occidente, per il cotè conservatore; fenomeno positivo, in quanto raro esempio di cultura di massa "intelligente", aperta ai contatti con la cultura alta e portatrici di valori etici positivi, così come la percepiva la mia generazione prima che si desse voce ai Capezzone). Peraltro su buona parte del pubblico che apprezzava i prodotti dell'offerta controculturale e non aderiva a tali movimenti ha avuto un rilevante impattola crisi economica degli anni 70, orientandone i gusti verso prodotti più tradizionalmente di intrattenimento; e comunque tale pubblico restò sempre minoritario, come dimostrano le classifiche di vendita e di ascolto, ove i prodotti tradizionali mostrano risultati non comparabili con i migliori successi della controcultura. Le scelte delle case di produzione si orientarono a partire dagli anni 70 verso prodotti di qualità, ma rientranti nella narrativa cinematografica classica, fenomeno accentuato dalla ristrutturazione del settore che ha visto il prevalere della megacorps. In cinema, in tv le storie tendono a farsi standardizzate, la finalità di divertimento prevale assicurata dall'happy ending e dalla positività morale dei protagonisti. Anche l'informazione si adegua, nella comune esigenza di profitto che comporta la ricerca del prodotto che più piace al pubblico più diffuso. A livello contenutistico ci sono delle sfumature, compaiono presenze omosessuali e si intravede una articolazione della presenza femminile, i supereroi che ritornano prepotentemente assumono talvolta connotazioni psicologiche che li rendono meno banali, ma alla fine l'eroe ristabilisce l'ordine violato, per quanto Impossible possa sembrare la missione. Le majors lasciano uno spazio alle narrazioni narrative, sotto forma di "appalto" ad una sorta di loro sezioni specializzate. Anche nella musica le diverse forme del rock di fine millennio si trovano chiuse in uno spazio generazionalmente e culturalmente circoscritto.

Forme di materiali resistenti al mainstream resistono, con voci narrative ancora autorevoli (i grandi vecchi del rock), talune serie di successo (citato come esempio House of cards) che rompono con le convenzioni, forme di creatività la cui diffusione è permessa dai canali social, ma in un fenomeno di frammentazione che non consente a tali spazi di far ombra, nemmeno in maniera remota, alle megacorps, la cui offerta garantisce il perdurare ormai secolare del mainstream.



sabato 3 maggio 2025

Monte Paularo

Fra le innumerevoli proposte viene scelta, almeno così capisco, l'anello della forca di Lanza.

Durante la sosta a Paularo per i panini, verifichiamo la possibile interruzione della strada.

Propongo come soluzione di riserva il Monte Dimon e voila, in un batter di ciglio parcheggiamo al Castello Valdaier.

Ci incamminiamo sulla strada, come da copione fallendo l'accesso al sentiero. In breve realizziamo di aver sbagliato percorso, ma forse è meglio così, la carrareccia è lunga ma comoda e senza neve. In due ore abbondanti arriviamo al Lago Dimon, con la crosta di ghiaccio in via di scioglimento. Il cartello indica solo mezzora alla cima del Paularo, a questo punto l'ascesa è doverosa, superando anche qualche breve tratto innevato.

La cima offre una vista molto ampia e meravigliosa, in basso Cleulis, sullo sfondo i principali monti della Carnia e davanti l'imponenza del re Coglians.

Bella soddisfazione, ritrovare la vera bellezza.

Nella discesa possiamo osservare una piccola lezione di geografia: rivoli creati dalle nevi in scioglimento, generano ruscelli e cascatelle, alimentano il lago ed in suo piccolo emissario.

Dislivello 700, altezza massima 2043, percorrenza h a/r 5, km 17, carta Tabacco 09.

Il Laghetto Dimon

Manca poco alla cima del Paularo


2043 questa volta non è il fatto illecito, ma la vera bellezza




venerdì 2 maggio 2025

Il politico degli ultimi

Buon compleanno Marco, dovunque tu sia, e tanto lo sappiamo io e te che non sei da nessuna parte, e che sono il tuo ricordo e il tuo insegnamento a vivere in noi.

Un insegnamento fatto non di lezioni ex cathedra, ma dell'esempio di una vita dedicata ai diritti degli altri.

L'altro giorno riflettendo sulla morte di Francesco, sul quale ho un giudizio problematico, ho riflettuto sulla etichetta che unanimemente gli viene riconosciuta, "il Papa degli ultimi". Forse come Papa erano più importanti altri aspetti, ma il suo pensiero "todos, todos", le sue visite ai carceri, il suo circondarsi di barboni e trans, gli hanno guadagnato la stima ed il rispetto di tutti, e mi sono all'improvviso trovato a pensare che in fondo era un po'... un papa "radicale". Il Pannella dei pontefici, come tu eri il politico degli ultimi (Calopresti fece una scelta azzeccatissima inserendo nel suo "romanzo radicale" il coro dei carcerati "Pannella uno di noi" che ti rendeva così orgoglioso). 

A Novembre sono stato a Roma, sono venuto a trovarti in via della Panetteria, ho visto la scritta "ciao Marco" sul tuo portone, e mi sono un po' commosso.


Con un canestro di parole nuove, calpestare nuove aiuole.

domenica 27 aprile 2025

Iof di Sompdogna

E' stato brutto tempo, escursione rinviata da venerdì a domenica.

Ci accingiamo alla salita dalla sella di Sompdogna, raggiunta dopo una lunghissima ascesa in auto nella natura selvaggia.

La salita è piacevole, nel primo tratto c'è una discreta pendenza nel bosco. A quota 1600 circa cominciamo a trovare neve, lo strato è sempre più alto, prudenza ci consiglia di rinunciare a quota 1700.

Scesi facciamo la naturale deviazione per il laghetto e la sosta per il pranzo al Grego, già aperto.

Ci rivedremo, Iof.





domenica 6 aprile 2025

Pieve di San Pietro

Escursione facile su richiesta degli amici, breve percorso ad anello con partenza dalle terme di Arta, salita nel bosco fino al paese di Fielis, per poi ridiscendere alla Pieve di San Pietro, uno dei centri della spiritualità friulana.
I lavori in corso non impediscono di accedere all'esterno della chiesa e all'ampia visuale sul Canale che ne prende il nome.
Alle 13.30 sono di nuovo a casa, mai successo.




sabato 15 marzo 2025

Mandi Bruno

Se n'è andato, in un un silenzio così affine alla semplicità della persona che era, Bruno Pizzul.

Nel 2025 le notizie corrono veloci, senza necessità di attendere l'intermediazione del bravo cronista, e subito c'è stato un ininterrotto fluire di ricordi, dentro e fuori del mondo del calcio, di una persona che è stata uno dei più noti giornalisti sportivi, nonchè la voce più famosa d'Italia, legata per tutti ad un tempo in cui la nazionale era patrimonio di tutti e la nazione si fermava per la partita.


Certo, al solito per molti è il ricordo nostalgico di un bel tempo andato. Però è unanime il ricordo di un grande professionista, un pezzo della cultura popolare di questo Paese. 
Era la prima voce del calcio in Rai negli anni in cui primeggiavamo in Europa e nel mondo, titolare delle partite della nazionale dal 1986 al 2002, quelli in cui (dal 1990) abbiamo avuto sempre la squadra più forte al via delle manifestazioni internazionali. E' rimasto senza vittorie, con l'urlo strozzato soprattutto nella finale del 2000, meno ricordata di quella del rigore di Robertobaggio, delle notti magiche. Fu anche la voce della nostra prima trasferta a Lodz, ricordo che qualcuno commentò "si è capito finalmente per chi tifa" (noi lo sapevamo, leggevamo ogni domenica i suoi commenti misurati e competenti sul Messaggero). Fu la voce della notte dell'Heysel, del Milan a Barcellona e Atene, delle vittorie della Doria e del Napoli. La sua cronaca era misurata e volta a mettere al centro del commento la partita, i suoi protagonisti, non l'ego del commentatore, fatta di un linguaggio chiaro e competente. Come ha spiegato Piccinini, dopo i grandi predecessori che facevano una telecronaca "istituzionale", fu il primo a introdurre un po' di passione, ma con la capacità tutta friulana di non darsi troppa importanza. Origini contadine sempre rivendicate e alla fine volutamente riabbracciate, passato da calciatore, studi classici (fu anche Stelliniano: «Da Cormons, dove cominciai a giocare con la squadra parrocchiale, la Cormonese, andai a studiare al liceo Stellini di Udine. Un liceo elitario in cui quelli come me che si dividevano tra il calcio e il latino non erano visti di buon occhio, così optai per i più elastici professori del liceo Dante Alighieri di Gorizia che apprezzavano il mio doppio passo, sport e scuola, e mi portarono al diploma»), laurea in giurisprudenza. Giornalista sportivo per caso, una carriera che ha descritto così Riccardo Cucchi:  "È forse stata la straordinaria simbiosi che si è creata tra la cantilena familiare della voce di Bruno e l’udito, da essa rassicurato, di milioni di appassionati il segreto del successo popolare di Pizzul. Quasi fosse una forma d’arte, il suo timbro inconfondibile è entrato nell’immaginario di tutti, per decenni, facendone quasi uno di casa. Un abbraccio, quello con la sua voce, dato dal fatto che quella sonorità portava con sé quel garbo e quella saggezza, tipicamente friulani, che lo spettatore riconosceva immediatamente dal suo tono pacato ma competente. E accadeva mentre raccontava un rigore, un’azione, uno scontro di gioco. Nulla a che vedere con le telecronache urlate, frementi, schizofreniche di oggi, che descrivono un calcio talvolta ancora appassionante."
Lo hanno ricordano in molti, ex colleghi (bellissimo un articolo su Avvenire) e calciatori, tutti con parole che hanno spesso richiamato la sua genuinità di persona gentile e perbene, alcuni collegandola alle sue origini. Una persona capace di far commuovere nel ricordo un duro come Fabio Capello.

Anche noi lo ricordiamo con l'orgoglio di chi può considerarlo uno di noi, come ha ricordato uno striscione in marilenghe oggi allo stadio, mentre giustamente l'abbiamo onorato con un minuto di applausi.

Non siamo stati i soli. Domenica in molti stadi hanno trovato il modo di ricordarlo:
Verona: “Solo Onore a un grande signore, mandi e gracie Pizzul”: 
Napoli. “C’è un buco per Alemão voce di un calcio che non c’è più. Ora potrai raccontarlo anche lassù. Ciao Bruno”. 
Allianz Stadium: “Tu, voce della speranza in quella tragica notte. Ciao Bruno”. 
Foggia: “Quando il calcio era della gente tu lo raccontavi. Ciao Bruno Pizzul”
Genova: "Ciao Bruno, voce dei Nostri trionfi e di un calcio che non esiste più"

Il più bello è quello di Avellino: “Bruno Pizzul: ricordo romantico della mia gioventù, voce di un calcio che non tornerà più”.

Tra i video che lo ricordano uno dei più gettonati è quello del gol di Schillaci all'Austria. Crossa Vialli, segna Totò, esulta Bruno. Se ne sono andati tutti e tre.
Se li vedi saluta gli altri due, e Gianni Mura e Martellini, Ameri e Ciotti. 
Mandi Bruno. 

mercoledì 12 marzo 2025

Vignit a cene

Da molti anni conservo il ricordo di questa canzone che accompagnava la comunione, nelle messe a Ospedaletto.

Credo la usino ancora. 

E' certo una suggestione, forzata dalla mia ammirazione per quella comunità magnifica nel suo restare tale e custode dei valori ereditati dalla tradizione, ma l'ho sempre considerata un esempio dell'espressione della fede più semplice e sincera. 

Vignit a cene, fradis, cun me,
sentâsi insieme, ce biel ch’al è:
la vôs che us clame vué, fradis scoltaile,
che la me vite par veus culì
jo l’ai pierdude.
La taule jê pronte, il vin l’è cà
Pan ch’al da fuarce no us mancjarà:
il vin l’è il sanc che jo spandei cun lacrimis
ed il gno cuarp al é come pan
crevat par vuatris!

A me sembra di sentire ancora la voce della nonna.

domenica 2 marzo 2025

Santa Maria la Longa

Le mie mansioni di tassista mi conducono oggi a Santa Maria la longa, paese di strada sulla via che conduce a Palmanova, con una stazione che vedevo le rare volte in cui, passandoci ogni giorno, ci arrivavo da sveglio.
Scopro che il grande murale che ritrae Ungaretti è dovuto al fatto che proprio qui è stata scritta la celebre poesia "M'illumino d'immenso", la piu cara a generazioni di studenti pigri ma spiritosi.
Il comune ha dedicato al ricordo una serie di foto che ritraggono momenti di vita locale, e targhe ovunque.
Accanto alla palestra le panchine recano l'una una poesia d'amore in marilenghe, l'altra una frase sull'importanza dei documenti nel metodo scientifico, attribuita ad un religioso cui è intitolata l'attigua biblioteca.
Pochi metri a fianco un cantiere segnala che è in costruzione un asilo nido, non lontano da schiere di casette ordinate e con giardini curati.
Il bel sole che mi scalda certo condiziona positivamente l'umore, tuttavia ho il netto sentore di trovarmi immerso nella civiltà, quella costruita dalle piccole cose.
O si, ne abbiamo tanto bisogno.