domenica 29 gennaio 2023

Storia d'amore e d'amicizia (e di giovinezza)

I calciatori, come anche gli uomini (e le donne) di spettacolo, assumono una notorietà tale che le fa partecipare alla vita delle persone, in maniera che le loro vicende personali trovano larga partecipazione. La scomparsa prematura di alcuni di loro è spesso vissuta con vera emozione, e il ricordo del defunto assume contorni quasi agiografici, una risonanza che sembra eccedere oltre che i reali meriti personali del defunto, l'importanza che uno sportivo per quanto bravo può avere in una società.

Fermo restando che trattasi di fenomeno innocuo, credo che un discorso diverso possa farsi nel caso di Gianluca Vialli.

Individuo tre aspetti.

I ricordi personali convergono, e anche facendo la tara al dippiù di benevolenza che naturalmente vi è nel rammentare degli scomparsi principalmente le qualità, tralasciando le negatività, nel descrivere una persona che si è fatta benvolere per il suo modo di affrontare le cose con spirito positivo, nel quale l'allegria non faceva venir meno la serietà e la determinazione, e sopra tutto la capacità di coinvolgere le persone che gli erano attorno. E' stato un esempio, in parole povere, che riesce facile indicare tra i non comuni modelli di comportamento. Guardare per credere le parole ricche di insegnamenti di cui è un esempio, non l'unico, la risposta data a Cattelan in un video su Netflix.

C'è poi quell'amicizia. Vialli e Mancini, un binomio che viene naturale pronunciare. Brera che pure aveva coniato Stradivialli li chiamava i dioscuri, anche loro come Castore e Polluce giovani belli e figli certamente di una divinità. Una coppia così non si era vista mai e mai più si vide: due atleti baciati dalla sorte nelle doti tecniche non comuni, capaci di essere così complementari dentro e fuori dal campo che era inevitabile immaginarli amici inseparabili, un po' invidiarli di quel rapporto di cui ognuno di noi vorrebbe l'eguale. Che poi il dramma della malattia ed i capricci del destino ci abbiano regalato di vederlo sublimato in quell'abbraccio a Wembley, mentre noi godevamo e loro piangevano pensando a gioie e dolori, sofferenza e rivincita, speranza e paura, ma nel segno della parola insieme, beh, questa sembra più letteratura che vita, forse è amore. 


C'è infine il ricordo di quella squadra, quell'avventura straordinaria raccontata ne "La bella stagione", libro e film, in quest'ultimo con l'arricchimento di un capitolo centrato sulla malattia di Luca e sulla vittoria dell'europeo. Per noi che avevamo 15 anni, per quelli che ne avevano magari 25 o 30, quella Doria vale il ricordo di una stagione irripetibile, la stessa in cui si potevano mangiare anche le fragole. Il ricordo di quel gruppo scanzonato di bucanieri, capace di farla in barba ai grandissimi e ricchissimi con cui si confrontavano fa inevitabilmente affiorare il ricordo di un calcio, di un mondo che non ci sono più. La giovinezza se ne è andata da un pezzo, forse è finita con quella punizione di Koeman. 


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