sabato 31 dicembre 2022

Due Paesi, due misure

Trovato.
Qualche anno fa (già otto, ho scoperto!) avevo ascoltato un intervento radiofonico di Enrico Ruggeri (minuto 7:50), intervistato sul suo nuovo libro, che mi colpì moltissimo, per l'analisi che faceva su un punto fondamentale della vita delle persone.
Ci ho rimuginato sopra molte volte, ora l'ho finalmente ritrovato nel fantastico archivio della radio. Targia gli chiede dei libri che ha letto, che ne hanno fatto la persona che è, Ruggeri spiega e poi se ne esce con questa riflessione:
"Questo è un Paese sfaccettato, in cui c'è veramente una forte percentuale di gente che è totalmente priva di vita interiore. Che ascolta passivamente la radio, che guarda passivamente la televisione, che non ha voglia di migliorarsi interiormente ma che è invece tesa nei casi brutti a pagarsi l' affitto o il mutuo, nei casi belli a comprarsi il maglione o la macchina nuova. C'è veramente molta miseria. Invece, per contro c'è una parte del Paese, che forse proprio è per quello che resiste, gente meravigliosa che legge, si informa. Questa forbice mi sembra che si allarghi sempre." 
Ruggeri mi pare colga l'essenziale: per moltissime persone la vita è sussistenza, declinata a diversi livelli, a seconda delle possibilità economiche.
La forbice si allarga (si allargava, già nel 2014). Che Dio ci aiuti.

giovedì 22 dicembre 2022

Dio esiste

No, non ho cambiato idea.
Parlo del Dio del calcio, cui mi ero appellato perché consentisse la vittoria non dei più forti (la Francia) ma dei più meritevoli, per storia e per vicinanza all'idea che ho del calcio.
Ha consegnato lo scettro di re a Messi, ora asceso al rango di quegli altri due, al termine di una partita pazzesca, le cui emozioni riassumono quello che chiamiamo (impropriamente)  bello del calcio, ovvero il fatto che poteva vincere la squadra che praticamente non ha giocato e perdere quella che ha dominato, tecnicamente ed emotivamente.
L'Argentina è stata nettamente la migliore squadra del mondiale, pur non avendo i migliori giocatori, anzi solo alcuni buoni giocatori accanto al fuoriclasse rosarino, ed essendo praticamente senza difesa (per 3 volte presi due gol in pochissimi minuti). Ha offerto un concentrato di tecnica, carattere e atletismo che è un manifesto del vero calcio, provando che solo loro, al pari nostro, stessa scuola, sono capaci di miscelare le componenti migliori di questo sport. Non la tecnica sopraffina ma  narcisista dei brasiliani, l'atletismo pugnace dei tedeschi, la grinta indomita ma grezza degli uruguagi, non i ghirigori gagliardi degli spagnoli, non il football primitivo e altezzoso degli inglesi, non la tecnica fine a se stessa dei brasileri, non la superbia offensiva e anarchica degli olandesi, ma di tutto un po': questo sono stati gli argentini nella storia del calcio (che ora le scuole si stanno mescolando e le differenze si fanno minori), un po' come noi, quasi sempre i migliori, sempre durissimi da sconfiggere.
Come in altre occasioni hanno raggiunto vette emotive che potevano fregarli, come li hanno talvolta fregati, ma anche dare una forza impensata come quella dimostrata dopo le due rimonte subite.
Grande gioia, personalmente, per la consacrazione di Messi e di un grande De Paul, già nostro Gran Capitàn, con una punta di soddisfazione perché è stata preclusa la doppietta alla Francia, che in onestà non meritava di veder tramutato in dominio la supremazia che ha dimostrato nei fatti, e che temo perdurerà.
Agli argentini sono stati rimproverati effettivi eccessi nei festeggiamenti, nello stesso mood che pretendeva che i giocatori si facessero attivisti dei diritti civili, dimenticando quanto il calcio sia uno sport del popolo e quindi, sì, anche plebeo.
Argentina, Carajo!

sabato 17 dicembre 2022

Vamos Argentina

Per me è facile.

Il mio idolo di ragazzo era Abel Balbo, il mio scrittore preferito Jorge Borges. Ho studiato la geografia e la storia di questo paese, seguo il campionato argentino e i cori dei suoi tifosi, il mio sogno è un mese bonaerense tra uno stadio e l'altro come coronamento di una vita da tifoso. 

Inevitabile tirare fuori la camiseta albiceleste che comprai non mi ricordo quando, il giorno lontano in cui pensai che in fondo l'Argentina è un'altra Italia in Sudamerica, composta peraltro da abitanti per metà con ascendenti paisà, anche se domani di fronte non ci fosse la Francia.

Improponibile, per me, la questione per chi tifare. Se gioca la Seleccion (e non contro l'Uruguay, passione esclusivamente calcistica), sempre per l'Argentina. Se gioca la Francia, sempre per gli altri: i francesi sono i nostri cugini altezzosi, più signori e forse migliori di noi, è inevitabile averli come principali avversari quando di fronte la rivalità è sportiva, godere quando li si batte.   

Quello che non capisco è come vi siano persone, anche meno coinvolte, che veramente abbiano in animo di parteggiare per i francesi (per Olivier e Theo? Maddai!!!).

Il calcio non è mai stato roba loro: ero ragazzo e non ci battevano da sessantanni, prima di quella partitaccia a Messico 1986. Grandi giocatori, ma mai una vera squadra. Ci è voluto un mondiale in casa ed il malanno di Ronaldo il giorno della finale per farli vincere, prima della fantastica goduria di Berlino. La Russia è stato un accidente, per assenza dei veri avversari; ora non ne vinceranno mica un altro (sette mondiali, quattro finali, tre vittorie? bastano due). E poi il calcio è Europa e Sudamerica, e loro non vincono dal 2002 (resta solo il dettaglio che sono i più forti, tocca ammetterlo senza con ciò rassegnarsi).

Invece l'Argentina è la vera patria del calcio, al pari dell'Inghilterra che l'ha inventato e del Brasile che ne ha fatto poesia, di Italia e Germania  che hanno fatto la storia. Sempre avuto i migliori giocatori, la migliore squadra; una passione strabordante nei cori inventati delle hinchas e nel culto degli eroi, un gioco che (spesso, non sempre, ma quando è successo è stata vincente) mescolava la classe sudamericana con la sagacia tattica italica e la garra charrua. La tierra di Diego y lionel, del derby rosarino, del superclasico, della curva del San Lorenzo, del Trinche Carlovich e della mano de Dios.

Spero che ci sia un Dio del calcio, a decidere secondo giustizia, al di là di quel che merita quel ragazzino con la maglia numero 10, nemmeno 170 cm, la cui storia e le cui giocate sono l'inno all'alterità del calcio, lo sport in cui il migliore è il più piccolo di tutti.



sabato 3 dicembre 2022

Il danno scolastico. La scuola progressista come macchina della disuguaglianza

 di Paola Mastrocola e Luca Ricolfi

Da un anno questo libro attendeva sullo scaffale di confermare le mie sconfortanti sensazioni sul disastro che abbiamo combinato demolendo la scuola che ci avevano lasciato i nostri nonni. Mi decido ad affrontarlo sollecitato dalle recenti polemiche sulle dichiarazioni del nuovo ministro Valditara, presto assurto nel mirino dei benpensanti con la sua retrograda uscita sul valore formativo della umiliazione. Alessandro Barbano commentandola ha ricordato di aver letto qualcosa di simile, formulato in maniera non altrettanto equivocabile, proprio in questo libro. 
Il titolo sintetizza la tesi che gli autori ritengono di aver dimostrato: l'abbassamento del livello di istruzione, lungi dal produrre un effetto "democratico" di maggiore inclusione nella società, ad un livello più elevato, le persone in partenza svantaggiate, danneggia soprattutto queste ultime.
La dimostrazione si avvale di un modello di analisi dei dati formulato da Ricolfi, nel quale con i pochi dati disponibili si riesce a misurare l'accrescersi dello svantaggio che le condizioni sociali di partenza danno, nelle prospettive di successo, ove ad esse si aggiunga la mancanza di una scuola di qualità.
Tale dimostrazione costituisce il valore aggiunto di un'opera della quale tuttavia sono nondimeno da leggere le prime due parti, nelle quali i due autori descrivono la loro esperienza di docenti rispettivamente universitario e liceale, evidenziando l'osservazione dal loro punto di vista del decadimento qualitativo dell'istruzione.
Ricolfi parte in realtà dalla sua infanzia, da una scuola (ultimi anni con le vecchie medie, ancora con il latino), nella quale regnavano allerta (dell'interrogazione, dell'aver pronto il materiale, del compito a sorpresa) e vergogna (di non rispondere correttamente alle domande; parente stretta dell'umiliazione citata da Valditara ad occhio). Che parevano naturali e non impedivano ad un adolescente di essere felici, ma che ora paiono alla stessa persona diventata adulta stati d'animi che gli hanno consentito di essere una persona migliore, (in quanto) più istruita. Le due facce tappe della "picconatura" di quella scuola vengono individuate nell'eliminazione della propedeuticità per l'accesso all'università e l'abbassamento degli standard dell'istruzione, "un processo iniziato nei primi anni sessanta, e proseguito poi attraverso innumerevoli mosse, alcune clamorose, altre quasi impercettibili, ma tutte convergenti verso un unico risultato, non meno inevitabile per il fatto di non essere voluto: rendere più ardua, per i ceti bassi, la competizione con i ceti alti. La storia di questo abbaglio, che condusse la cultura progressista ad affossare le aspirazioni dei ceti popolari con gli stessi strumenti con cui presumeva di migliorarne le sorti, è una storia lunghissima".   
In quella che Ricolfi chiama la "lunga marcia dell'abbassamento", la fase successiva alla contestazione è vista come lenta e ancora caratterizzata dal sopravvivere dell'ancien regime. mentre alla fine degli anni novanta diedero un'accelerazione tre fattori, il diritto al successo formativo, la riforma universitaria 3+2, la riforma Berlinguer, cui si aggiunge, per la parte di responsabilità dell'Università, il nuovo sistema di reclutamento e valutazione dei docenti (che produce docenti meno preparati e meno incentivati a puntare sul rapporto con gli studenti). 
Il risultato sono un sistema di istruzione primaria e secondaria che produce una maggioranza di studenti che si presentano agli esami universitari non tanto impreparati, ma incapaci di comprendere le domande e di formulare frasi di senso compiuto, al punto da rendere alcune materie (è docente di analisi dei dati) semplicemente non insegnabili.
L'esperienza proposta da Mastrocola risale anch'essa all'infanzia, a scuole con il grembiule e all'importanza della parafrasi, del tanto scrivere. Affronta poi di petto il cuore delle questioni poste da Don Milani e radicalmente contestate, nell'affermazione che lungi dall'essere inutili e distanti dalla vita reale, sono cose come la letteratura che permettono ai figli dei ceti svantaggiati la possibilità di elevarsi, non l'abbassare il livello delle promozioni per dar loro l'illusione di essere preparati, rinviando più avanti (al liceo, all'università) il momento in cui non ce la faranno.
Il passaggio al ruolo di insegnante ha visto per la Mastrocola una netta cesura alla fine del secolo, con l'ingresso di classi sempre meno preparate, incapaci di produrre testi senza errori grammaticali e ortografici, di comprendere un romanzo.
Del responsabile fa il nome e cognome, Luigi Berlinguer, la sua riforma con i tre ingredienti dei progetti extracurricolari, della valutazione oggettiva, del diritto al successo formativo.  Ritrovo molti ragionamenti da me ipotizzati e anche espressi negli ultimi anni, specie sul risalto dato alle attività extrascolastiche a diretto danno di quelle "core", nonchè sulle responsabilità dei genitori sempre più sindacalisti dei propri figli, di fronte a insegnanti sempre più lasciati soli.
L'accorata descrizione dei molti colloqui in cui ha dovuto dire dire ai genitori che il figlio "non ha le basi", senza sapere proporre una soluzione reale che non fosse il palliativo di un aiuto esterno, prelude alla sintesi delle tre tipologie di problemi che l'abbassamento del livello formativo ha arrecato agli studenti: la noia degli studenti capaci e studiosi, la promozione di studenti svogliati e scadenti, l'incapacità di procedere da parte di ragazzi molto motivati ma privati delle basi elementari.
Alla proposizione delle esperienze dei due autori segue il modello di analisi di Ricolfi, ed un'accorata "Lettera a un genitore" di Mastrocola, cui è affidata (quindi all'iniziativa individuale "dal basso", nella sfiducia sulla riformabilità del sistema) la residua speranza e fiducia nella possibilità che qualcosa cambi.   
Quanto osservato da Ricolfi e Mastrocola è sotto gli occhi di tutti, solo le sfumature soggettive e dettate dal vissuto possano cambiarne di poco l'analisi.
Gli aspetti originali sono lo sviluppo del modello di analisi dei dati e l'attribuzione della responsabilità di quella che viene chiaramente chiamata (con il nome adatto, purtroppo) catastrofe alla pedagogia di sinistra, nel paradosso già descritto di nuocere alle persone nel nome delle quali sono stati promossi certi cambiamenti; con il risultato che chi si oppone passa per oscurantista e reazionario. 
Non sono nè un analista dei dati nè tantomeno un pedagogista, forse per questo non so quali sono gli argomenti che si possano contrapporre al chiaro argomentare di questi autori: mi sa che sono pure io oscurantista e reazionario.

sabato 26 novembre 2022

Un paese in movimento

 di Simona Colarizi

In azzeccato pendant con il docufilm su Pannella ho ordinato questo breve testo, la cui tesi fondamentale vuole evidenziare i meriti dell'ondata di partecipazione che nel quindicennio 1960-1976 ha costituito potente fattore di cambiamento dell'Italia, portando concrete conquiste di democratizzazione e modernità spesso oscurate nel ricordo dall'altra faccia degli anni Settanta, quella della violenza, delle stragi e degli anni di piombo.

Colarizi rende merito agli uomini e donne di una generazione (anzi, tre diverse generazioni) che scesa in piazze o riunite in associazioni, e poi nei loro posti di lavoro e nelle professioni, hanno dato un nuovo volto ad un paese che, con la nuova ricchezza portata dal "miracolo economico", si è scoperto pronto all' entrata nella modernità, che, in assonanza a quanto fatto da Calopresti, viene individuata nella conquista di nuovi diritti.

Il suo focus, evidenziato dal titolo, è su una stagione dei movimenti che finalmente fece fare all'Italia i progressi (il movimento) per i quali non era ritenuto maturo dai partiti, e sul rapporto che con questa stagione, questi movimenti, seppero avere quei partiti, nelle due stagioni del centrosinistra e della strategia comunista per il compromesso storico.

La tripartizione temporale che scansiona il volume vede una prima parte (1960-1969) dedicata con distinte analisi alla contestazione degli operai, degli studenti, dei giovani cattolici, sempre con l'attenzione a come ad esse reagirono le aree poiché di riferimento.

Nella seconda parte (1969-1976) viene descritto l'impatto delle battaglie radicali con particolare attenzione al referendum del 1974, il corso autonomo che prese il movimento femminista, i fermenti del mondo cattolico pronto a superare il dogma dell'unità politica, ed il ruolo di PCI e PSI in una stagione in cui la strategia comunista difficilmente si conciliava con le grandi aspettative che avevano generato i movimenti e la contestazione.

La terza parte (1976-1979) parla di un sistema perciò bloccato e alle prese con la crisi economica, ove il sistema partitico non offriva più piena rappresentatività delle esigenze della società,  e si lasciavano già intravedere i segni della crisi materializzatasi 10 anni dopo.

Interessante il finale ricordo di come il riferimento alla società civile trovasse per Pannella la necessità di una composizione in Parlamento, in una prospettiva sempre istituzionale, opposta all'antipolitica.

domenica 20 novembre 2022

Solo tre parole, donna vità libertà

Non mi capacito di come alla protesta del popolo iraniano, che sta diventando (e perchè sta diventando) una vera rivoluzione contro il regime oscurantista e assassino che da quarantanni opprime quel magnifico Paese, sia dato così poco spazio sui nostri media e nella discussione pubblica.
Trovo piuttosto giusto il parallelo che è stato fatto dall'appello del partito radicale  con la lotta del popolo ucraino per resistere all'aggressione russa, ed il suo invito a fornire agli iraniani uguale, se non maggiore, sostegno.
Da occidentale satollo e sicuro della mia vita, dei miei beni e dei miei diritti (con qualche attenzione per questi ultimi) un po' mi vergogno a non fare nulla per questi ragazzi che stanno rischiano la loro vita per conquistare libertà fondamentali come quella di camminare a capo scoperto, baciarsi, bere una birra. Cinquantenne senza molto di più da chiedere alla vita, sarei veramente pronto a metterne in questione parte per chi ne ha una davanti.
L'altroieri hanno bruciato la casa di Khomeini, forse è una svolta di quella che sta diventando una vera rivoluzione, di persone senza paura perche non hanno da perdere che una vita che non vale la pena di essere vissuta, a fronte di quella che spetta a qualsiasi persona umana. 
Cerco e non trovo, in giornali italiani e stranieri, le notizie che pur posso ricavare dalle cronache di Mariano Giustino.
Tra i pochi, ma importanti gesti, ho molto apprezzato la partecipazione dei Colplay che al loro concerto al Monumental hanno suonato "Baraye".

Bisognerebbe far vedere le immagini di questi ragazzi che manifestano per i loro connazionali in Australia, le loro lacrime, per far capire anche agli animi più induriti quello che forse le parole non riescono a spiegare.



sabato 19 novembre 2022

Romanzo radicale

di Mimmo Calopresti 

Marco Pannella in prima serata, sulla Rai-tv, fa un po' effetto.

Forse si è avverata la sua profezia, mi riconosceranno i meriti solo da morto; forse un po' i tempi sono veramente cambiati e il principale partito già di sinistra in crisi di identità ne ha assunto i temi tanto da essere sbeffeggiato quale "partito radicale di massa"; forse un po' la distanza temporale allarga la platea disposta a riconoscere gli straordinari meriti di quello che personalmente ho definito "padre della patria".

Il registra nel parlare del film ha dimostrato di essere consapevole della difficoltà della sfida: "Sono felice di assumermi la responsabilità di raccontare un uomo che è stato capace di affermarsi in tutta la sua complessità, un individuo che è riuscito, grazie anche alle sue contraddizioni, a diventare società e affermare per tutti noi la società dei diritti".

Non amo per nulla i docu-fiction, formula che mette a dura prova le doti registiche dell'autore, ove deve confezionare un recitato capace di essere all'altezza di documenti storici dell'epoca e delle testimonianze raccolte dal vivo; in questo caso, toccato dall'argomento nel personale mi sono commosso nell'ascoltare le parole di Spadaccia che nel frattempo è andato avanti, ma anche quelle belle e intelligenti trovate da Rutelli, e quelle vivide di Rovasio.

La difficoltà della prova era non far mancare troppo del molto che ha dato Pannella a questo Paese, ed in ciò può forse porre degli interrogativi nel non aver nominato Tortora e la giustizia giusta, e l'invenzione della radio: ma bisognerebbe sapere in che misura hanno inciso i tagli sull'opera finale, di nemmeno due ore. 

Quelli che se ne intendono hanno trovato da dire sulla scarsa qualità delle parti di fiction. A me, poco interessato alla riuscita "tecnica" del prodotto, resta la soddisfazione di aver visto quello che Taradash ha definito (usando l'aggettivo "volonteroso") l'inizio di un processo di "riqualificazione" di Pannella.

Che poi i veri destinatari di quest'opera non sono, non possono essere i vecchi radicali come me. 

Sarebbe interessante capire cosa ne ha capito un ragazzo, una persona che nulla sapeva di lui.

Ragionando in quest'ottica è interessante lo spazio dato (ma forse senza chiarire bene il punto) alla discussione che avvenne con la sinistra ufficiale ed il PCI che vedevano le lotte per i diritti civili come distrazioni dalla vera missione della sinistra, come emerge chiaro lo scopo di evidenziare come le lotte radicali siano state un passaggio fondamentale nel portare l'Italia ad essere un paese moderno

La chiusura con i carcerati che cantano "Pannella uno di noi" accenna, senza forse spiegare, quanta sovrumana lotta è stata condotta su questo fronte, mentre le immagini dell'abbraccio con il Dalai Lama possono forse stupire sulla dimensione internazionale di un'opera politica, anche in questo caso solo evocata, senza probabilmente risultare comprensibile a chi non ne conosca la storia.

Un paio di bei passaggi, ricordati dai testimoni ovvero nel recitato, riescono a dare il senso di una vita. Tipo questa citazione: "Non si fanno le battaglie per se, ma per dare voce a chi non a voce, ma per permettere a tutti di essere chi vuole veramente essere".

Per aver fatto andare nel nome di Marco queste parole in prima serata, sulla Rai-tv, grazie a Mimmo Calopresti, a Raitre e a tutti gli altri.

Con un canestro di parole nuove, calpestare nuove aiuole.


 

sabato 5 novembre 2022

L'Africa. Gli stati, la politica, i conflitti

 di Giovanni Carbone


Testo con tratti simili a "Storia dell'America Latina" di Zanatta, anche nella scelta di accompagnare al testo base dei box che descrivono le vicende dei singoli stati o gruppi di stati.
Più che un testo di storia è un'opera che analizza le dinamiche politiche complessive dell'Africa subsahariana, con grande attenzione agli studi che ne sono occupati e alla possibilità di operare delle classificazioni dei fenomeni osservati.
Il primo capitolo è dedicato all'epoca coloniale e precoloniale, alla descrizione di come le entità politiche precoloniali fossero diverse dallo stato moderno, caratterizzate da diverse intensità della capacità di controllo del territorio, dalla  presenza di vincoli di fedeltà diversi da quelli del legame politico, dalla loro distribuzione a macchia di leopardo, con confini non sempre delimitati e e ampie zone intermedie, con la presenza di "società senza stato", che ha costituito la premessa di un "mito" egualitario. L'era coloniale, nel momento del passaggio dall'impero "informale" a quello "formale", comportò la fissazione dei confini degli Stati, funzionali da un lato alla ripartizione delle sfere di influenza tra le potenze europee, dall'altro al riconoscimento per l'appunto formale di un potere che non poteva per mole aree essere effettivo.
Gli stati, con pur notevoli differenze, furono caratterizzate da strutture "leggere", con limitati apparati amministrativi, per il funzionamento dei quali furono necessarie elaborazioni di mappe culturali per effetto delle quali le divisioni etniche furono accentuate, se non create ex novo.
Il secondo capitolo tratta delle caratteristiche degli stati postcoloniali, le cui frontiere rimasero quelle fissate dalle potenze europee, quindi spesso prive di un effettiva corrispondenza alle effettive realtà sociali, per un esplicito impegno assunto dai nuovi governanti per evitare conflitti interstatali. Viene descritto il collante anticolonialista come fondamento dei nascenti nazionalismi, dietro i quali si combattevano tra le nuove elite quelle modernizzatrici e quelle tradizionaliste, ed il comune problema della mancanza di una burocrazia preparata a gestire le nuove problematiche tanto amministrative quanto politiche. Le grandi aspettative generate dall'indipendenza vennero tradotte in diverse strategie di sviluppo, accomunate da un forte intervento dello stato nell'economia, con varianti che vanno da vere e proprie esperienze di (tentato) socialismi scientifico ad approcci che valorizzando il tradizionale "comunitarismo" perseguivano una sorta di via africana al socialismo. Al di là delle ideologie tratto comune fu la personalizzazione della cosa pubblica, con le regole formali del funzionamento delle istituzioni stravolte da logiche di tipo patrimoniale (neopatrimonialismo), con l'esercizio personale del potere da parte del leader  nazionale. Tra molte varianti i regimi furono accomunati da diffusa corruzione, peso lasciato alle reti clientelari, accaparramento della gestione di risorse pubbliche. Oltre al negativo effetto sullo sviluppo economico degli stati, tali caratteristiche generavano una situazione di polarizzazione tra gruppi etnici piuttosto che tribali o economici, l'uno dei quali vincente, gli altri esclusi dalla possibilità di partecipare alla spartizione delle poche rirorse disponibili, con inevitabili effetti sulla instabilità politica e sulla diffusione di conflitti civili.
Il frequente passaggio a regimi autoritari fu solo uno degli effetti di queste situazione, che videro in molti casi una vera e propria crisi se non fallimento dello stato, che paradossalmente non sfociò, per l'interesse della comunità internazionale a preservare lo status quo nella formazione di nuove entità politiche. 
L'autore si dilunga su questo processo, come poi sulla natura e sulla classificazione dei conflitti (soprattutto) interni agli stati, per poi concludere sugli esiti di taluni processi di evoluzione in senso democratico affacciatisi dalla metà degli anni Novanta.



giovedì 3 novembre 2022

Come una freccia dall'arco scocca

Sarà il caso di darsi una calmata.

Massimo Gramellini nel suo "caffè" di oggi trae spunto dall'incredibile fatto di cronaca di Genova (un passante eccede nella rumorosità notturna in strada, nasce un alterco con un abitante della zona che, arciere dilettante, lo trafigge e uccide con una freccia) per un ragionamento di carattere generale.
A furia di invocare la tolleranza zero abbiamo cominciato con l’azzerare l’umanità, smarrendo la consapevolezza che ogni perdita di autocontrollo può sortire effetti letali. Persino l’arcaico «occhio per occhio, dente per dente» contemplava una proporzione tra l’offesa e la reazione. Ai tanti che passano le giornate a sentirsi perennemente vittima di qualche sopruso, bisognerebbe cominciare a spiegare che il mondo, nella sua indifferenza, non ce l’ha con nessuno. 
Per caso stamane mi è capitato tra le mani un libro di Veneziani: Scontenti. Per Veneziani (leggo dalla sintesi su IBS) "Non è la rabbia né l’odio e nemmeno il narcisismo, come invece si sente ripetere, la molla che spinge verso un atteggiamento negativo e ribelle, ma qualcosa di più profondo che li precede. Si tratta di uno stato d’animo personale ed epocale, che solo dopo muta in protesta e in rancore: la scontentezza. A lungo il potere ha puntato sulla rassegnazione, sull’accontentarsi delle persone. Poi è passato a veicolare l’insoddisfazione permanente, la voglia di essere, fare e avere altro, per asservirci tramite i consumi e renderci dipendenti".

Vedere in ogni fenomeno un disegno malefico e magari interessato non fa parte del mio modo di pensare. Di certo in molti ambiti la "narrazione" (azz, ecco un'altra parola della settimana, di molte settimane) rimarca aspetti che lasciano il destinatario, come dire, un po' incazzato. 
Così la politica, il giornalismo, non parliamo della comunicazione via social.

Più faticoso spiegare (ancor più a chi, per capire, dovrebbe far corrispondere altrettanta fatica) che la realtà è complessa, i molti motivi per cui la nostra vita è migliore di quella dei nostri nonni e dei nostri genitori (e dei ragazzi iraniani), quasi tabù far comprendere che sofferenza, dolore, e anche morte non possono essere eliminate.   

Nei commenti all'articolo di Gramellini, postati non da esaltati ma da persone che padroneggiano l'italiano e sembrano ben simboleggiare il senso comune, prevalgono pur nella condanna della reazione i riferimenti alle cause che la possono aver determinata.   

Non ci siamo, se si perde il senso che l'uomo è padrone e responsabile delle proprie azioni, non sempre vittima del destino cinico e baro, piuttosto che della polizia che non reprime i reati minori o del disagio psichico indotto dalla società moderna. 

Shervin Hajipour - Baraye

Satolli, quasi annoiati da tanto benessere e libertà, abbiamo ancora il cuore capace di ascoltare queste parole?


'Baraye' Di Shervin Hajipour
Per ballare nei vicoli
Per il tremore quando si bacia l'amata
Per mia sorella, tua sorella, le nostre sorelle
Per cambiare le menti arrugginite
Per la vergogna della povertà
Per il rimpianto di vivere una vita ordinaria
Per i bambini che si tuffano nei cassonetti e i loro desideri
Per questa economia dittatoriale
Per l'aria inquinata
Per Valiasr e i suoi alberi consumati
Per il ghepardo persiano in via di estinzione
Per i cani innocenti uccisi per strada
Per tutte queste lacrime inarrestabili
Per la mancanza dei bambini uccisi
Per gli studenti e il loro futuro
Per questo paradiso forzato
Per gli studenti d'élite imprigionati
Per i ragazzi afghani
Per tutti questi "per" che non sono ripetibili
Per tutti questi slogan senza senso
Per questi edifici crollati
Per la sensazione di pace
Per il sole dopo queste lunghe notti
Per le pillole contro l'ansia e l'insonnia
Per gli uomini, la patria, la prosperità
Per la ragazza che avrebbe voluto essere un ragazzo
Per le donne, la vita, la libertà
Per la libertà
Per la libertà
Per la libertà