di Giovanni Carbone
Testo con tratti simili a "Storia dell'America Latina" di Zanatta, anche nella scelta di accompagnare al testo base dei box che descrivono le vicende dei singoli stati o gruppi di stati.
Più che un testo di storia è un'opera che analizza le dinamiche politiche complessive dell'Africa subsahariana, con grande attenzione agli studi che ne sono occupati e alla possibilità di operare delle classificazioni dei fenomeni osservati.
Il primo capitolo è dedicato all'epoca coloniale e precoloniale, alla descrizione di come le entità politiche precoloniali fossero diverse dallo stato moderno, caratterizzate da diverse intensità della capacità di controllo del territorio, dalla presenza di vincoli di fedeltà diversi da quelli del legame politico, dalla loro distribuzione a macchia di leopardo, con confini non sempre delimitati e e ampie zone intermedie, con la presenza di "società senza stato", che ha costituito la premessa di un "mito" egualitario. L'era coloniale, nel momento del passaggio dall'impero "informale" a quello "formale", comportò la fissazione dei confini degli Stati, funzionali da un lato alla ripartizione delle sfere di influenza tra le potenze europee, dall'altro al riconoscimento per l'appunto formale di un potere che non poteva per mole aree essere effettivo.
Gli stati, con pur notevoli differenze, furono caratterizzate da strutture "leggere", con limitati apparati amministrativi, per il funzionamento dei quali furono necessarie elaborazioni di mappe culturali per effetto delle quali le divisioni etniche furono accentuate, se non create ex novo.
Il secondo capitolo tratta delle caratteristiche degli stati postcoloniali, le cui frontiere rimasero quelle fissate dalle potenze europee, quindi spesso prive di un effettiva corrispondenza alle effettive realtà sociali, per un esplicito impegno assunto dai nuovi governanti per evitare conflitti interstatali. Viene descritto il collante anticolonialista come fondamento dei nascenti nazionalismi, dietro i quali si combattevano tra le nuove elite quelle modernizzatrici e quelle tradizionaliste, ed il comune problema della mancanza di una burocrazia preparata a gestire le nuove problematiche tanto amministrative quanto politiche. Le grandi aspettative generate dall'indipendenza vennero tradotte in diverse strategie di sviluppo, accomunate da un forte intervento dello stato nell'economia, con varianti che vanno da vere e proprie esperienze di (tentato) socialismi scientifico ad approcci che valorizzando il tradizionale "comunitarismo" perseguivano una sorta di via africana al socialismo. Al di là delle ideologie tratto comune fu la personalizzazione della cosa pubblica, con le regole formali del funzionamento delle istituzioni stravolte da logiche di tipo patrimoniale (neopatrimonialismo), con l'esercizio personale del potere da parte del leader nazionale. Tra molte varianti i regimi furono accomunati da diffusa corruzione, peso lasciato alle reti clientelari, accaparramento della gestione di risorse pubbliche. Oltre al negativo effetto sullo sviluppo economico degli stati, tali caratteristiche generavano una situazione di polarizzazione tra gruppi etnici piuttosto che tribali o economici, l'uno dei quali vincente, gli altri esclusi dalla possibilità di partecipare alla spartizione delle poche rirorse disponibili, con inevitabili effetti sulla instabilità politica e sulla diffusione di conflitti civili.
Il frequente passaggio a regimi autoritari fu solo uno degli effetti di queste situazione, che videro in molti casi una vera e propria crisi se non fallimento dello stato, che paradossalmente non sfociò, per l'interesse della comunità internazionale a preservare lo status quo nella formazione di nuove entità politiche.
L'autore si dilunga su questo processo, come poi sulla natura e sulla classificazione dei conflitti (soprattutto) interni agli stati, per poi concludere sugli esiti di taluni processi di evoluzione in senso democratico affacciatisi dalla metà degli anni Novanta.
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