domenica 2 luglio 2023

Monte Malvuerich Alto

Escursione programmata secondo la guida "i sentieri della memoria" ma eseguita con qualche (evitabile) deviazione.

Dalla partenza a quota 1300 sulla strada per Pramollo un breve tratto in discesa precede un'ascensione abbastanza ripida nel bosco, al termine della quale corde e scala sono necessarie per raggiungere il versante opposto, dal quale c'è ampia visione della val Pontebbana e della val Canale.

In un sentiero tra i mughi si raggiunge il bivio per la cima del Malvuerich basso, che trascuriamo per dirigerci rapidamente alla cima maggiore, dalla quale la visuale spazia da Pontebba a oltre gli impianti di Passo Pramollo.

Incontri in cima ci inducono nell'errore di trascurare la traccia suggerita dalla guida, procedendo in discesa per la via più breve, nella quale affrontiamo alcuni tratti esposti.

Almeno la via è accorciata, in maniera che quando riprendiamo il sentiero 433 e inizia a piovere manca poco per l'arrivo alla baita Winkel.

Dopo sosta ristoratrice  affrontiamo il tratto che manca per il recupero dell'auto.


La vera bellezza

domenica 25 giugno 2023

Questa maledetta notte dovrà pur finire

E' da un po' che mi permetto un piccolo lusso, l'informazione di qualità che fornisce l'abbonamento digitale al Corriere.

Diverse newsletter molto curate si aggiungono al sito in cui oltre alle notizie si rinvengono commenti di penne di primo livello e, frequentemente, interviste molto interessanti.

Ne è un esempio quella rilasciata per i suoi ottantanni da Roberto Vecchioni a Walter Veltroni (le cui attività a loro volta esemplificano come possa esistere una vita oltre e dopo la politica). 

Al racconto di episodi importanti della sua giovinezza e maturità si accompagnano, stimolate dall'intervistatore e arricchite da citazioni che Vecchioni propone con la sicurezza che può promanare solo da una personalità intellettuale di gran vaglia, varie riflessioni sul senso della vita, difficili da riassumere ma ricche di spunti da meditare.

Sugli errori: 
Gli errori sono sempre sugli affetti, mai sulle cose. Non mi importa nulla di aver vinto o no Sanremo. L’errore è sull’affetto sbagliato, non compreso o non dare nel momento in cui devi.
Sull'essere genitore:
«Corro nel tuo cuore e non ti piglio».
«È così per tutti i padri. Il mistero che c’è, dentro un figlio o una figlia, è soprattutto quando lo vedi fare cose che non sono nelle tue consuetudini, non sono comprensibili per il tuo essere novecentesco. Lasci fare, ma non capisci. Quello per un figlio è un amore incosciente, non riesci a comprendere perché, ma sai che devi amarlo, sempre».
Sull'importanza delle parole
«Non ci sono più le parole. Pasolini diceva che c’è una differenza tra progresso e sviluppo. Aveva ragione, la forbice si è allargata, sempre di più. Dal punto di vista dello sviluppo può darsi che noi si stia entrando in una fase in cui la parola non serve più, sostituita da emoji, immagini, loghi, segni. Dal punto di vista del progresso siamo alla frutta, se perdiamo la meravigliosa bellezza delle parole. Perché le sfumature, le intercapedini che esistono tra una parola ed un’altra, il prisma di colori che esse contengono, sono decisive per l’intendimento dell’anima. L’anima non è un monolite, ha bisogno di tante sfumature per essere all’altezza della persona che incontri. Ogni parola racconta un’intenzione. Non esistono equivalenze, né in poesia né in letteratura. La parola è una, quella devi usare; se ne scegli un’altra sbagli, confondi il pensiero di chi ti è vicino e non ti racconti come vorresti».


Un inno alla vita:
Sogna, ragazzo sogna
Non cambiare un verso della tua canzone
Non lasciare un treno fermo alla stazione
Non fermarti tu

Più forte di dolore più grande, la perdita del figlio, di cui trova la forza di parlare. 

Anche perchè...
Sogna, ragazzo, sogna
Passeranno i giorni
Passerrà l'amore
Passeran le notti
Finirà il dolore
Sarai sempre tu

Si avvicina la fine, anche se a ottantanni "ti viene l'idea che tu non morirai".
Quella canzone finisce con «Ti ho lasciato un foglio sulla scrivania / manca solo un verso a quella poesia puoi finirla tu». Proviamo a chiuderlo.
«E se non riesci a finirla passala a quello dopo di te».

sabato 10 giugno 2023

Candido, ovvero un sogno fatto in Sicilia

 di Leonardo Sciascia


"Le cose sono sempre semplici", sostiene Candido Munafò, protagonista di questo racconto filosofico che del Candido di Voltaire è citazione, omaggio, direi una "cover".
Ma è il suo desiderio di nominare le cose con il loro nome a procurargli varie disavventure, che determinano gli episodi fondamentali della sua vita, e a far apparire questo giovane mite, testardo e riflessivo agli occhi del mondo, come un "piccolo mostro" (singolare coincidenza con il caso di cronaca di questi giorni: anche la madre lo chiama "piccolo mostro").
Il suo essere oltre che Candido realmente candido lo porta a trovare incomunicabilità tanto con le due chiese (quella reale e il PCI) quanto con la Sicilia, e a sentirsi a casa sua solo in una Parigi che sospetto essere la metafora della letteratura.
Ma è poi vero che le cose sono sempre semplici? Non è forse la complessità la cifra delle cose? Forse le cose di tutti giorni e la nostra realtà sono complesse, mentre per le grandi questioni deve alla fine trovarsi la bussola che indica la via e le rende semplici?
Mumble mumble.

Postilla: è una meraviglia la copertina dell'edizione di Adelphi. Con quella carta così morbida che ti sembra di accarezzare la pelle di un bambino, quel verdolino così elegante, quella foto che fa tanto labirinto borgesiano...

Scontenti. Perché non ci piace il mondo in cui viviamo

 di Marcello Veneziani


Mi sembrava interessante la chiave di lettura proposta da questo libro, nel declinare la scontentezza come tratto comune del nostro tempo.
Non ribellione verso un mondo da cambiare alla radice, non il narcisismo di cui tanto si parla, non infelicità, proprio la scontentezza, l'insoddisfazione di quello che siamo ed abbiamo.
Veneziani ritiene che la scontentezza sia indotta dal potere, che mentre nel passato contava sulla rassegnazione per ottenere pace sociale, ora generebbe di continuo nuovi desideri per alimentare nuovi consumi, dai quali renderci dipendenti.
A questa tesi aggiunge una fenomenologia della scontentezza (L'Occidente scontento, gli italiani arciscontenti, gli intellettuali scontenti) per chiudere (e chi l'avrebbe detto?) con la... fiamma che ci arde dentro.
Forse bastava un articolo di giornale. A parte qualche spunto brillante e le citazioni colte frutto delle molte letture di Veneziani, libro ridondante e poco convincente, opinione mia.

venerdì 9 giugno 2023

Il sonno della ragione e la generazione dei mostri

C'è un brutto fatto di cronaca, bruttissimo. 
Una donna al settimo mese di gravidanza uccisa dal compagno.
Il fatto di cronaca è purtroppo parte di un fenomeno che non si riesce a sconfiggere, anche se almeno ora della gravità della violenza sulle donne c'è consapevolezza.
Emergono particolari di vario genere, c'era un'altra, a suo modo anche lei tradita.
Scatta la generale caccia al dettaglio, inevitabile correlare lo spazio sui media alla pruderie derivante dal triangolo.
Il male sembra essersi concentrato in una persona, sospetto in molte cose non così diversa da tante altre, ma sulla quale è comodo e catartico coagulare il disprezzo e la condanna universale.
Persino la madre arriva a chiedere scusa: "ho generato un mostro".
Mi vengono in mente i genitori a bordo campo, concentrati sulle imprese del piccolo campione, i primi a sbottare in commenti negativi quando è lui a sbagliare un passaggio: siamo narcisisti al punto che dei nostri figli, come nostre proiezioni, viviamo successi e insuccessi come fossero nostri.
L'amore più completo, quello di una madre, dovrebbe portare ad abbracciare il figlio che ha compiuto il peggiore dei crimini, non a dargli del mostro per scacciare da sé l'ombra di quel crimine.
Ma davanti ad una telecamera (era proprio necessario?) più di quell'amore può forse quello verso se stessi, vero tratto distintivo del mondo di oggi.
Siamo noi, i mostri?

sabato 3 giugno 2023

Monte Freikofel

Finalmente riprendo le escursioni (2 giugno), visto il tempo incerto mi dirigo verso un obbiettivo non troppo impegnativo, anello del monte Freikofel da Timau come da guida Sentierinatura (Sentieri della memoria 10), sulle orme delle portatrici carniche.

 La prima parte nel bosco risulta invero difficoltosa perchè la traccia è devastata dagli alberi abbattutti, che devo continuamente scavalcare anche con difficoltà, e che a un certo punto fanno perdere il sentiero, che trovo più in alto risalendo il pendio.

Successivamente raggiungo in successivo la chiesetta a fianco del cimitero, la casera pal piccolo e quindi la sella in cui lascio il sentiero principale per arrampicarmi sulle pendenti pareti del Ferikofel. Ascesa facile aiutata da alcune cordicelle, il premio è la vista dalla cima che spazia dalla valle del but, alla Creta di Collina, alla valle austriaca oltre il Passo. Le installazioni militari sulla cima ricordano quelle del "gemello" Pal Piccolo, è piacevole soffermarsi un  più del solito per i panini, guardando il confine che corre verso il pal grande sullo spartiacque.

E' la strada che percorro per scendere, in breve oltrepassando diversi manufatti più o meno restaurati scendo al passo Cavallo, per poi deviare verso la casera "Pal grande di sotto" come da consiglio della guida. Dall'accogliente struttura la discesa si fa più semplice, nel bosco portandomi alla base presso "I Laghetti" in circa sei ore, tenuto conto di una pausa un po' più lunga del solito.

Chiesetta a fianco del vecchio cimitero
Chiesetta a fianco del vecchio cimitero


Trincee sulla cima. Sullo sfondo Pal Piccolo e,
carezzata dalle nubi, la Creta di Collina

La cima con le bandiere italiana e austriaca

La montagna dalla casera Pal grande di sotto

Casera Pal grande di sotto

Carta Tabacco 09, Sentiero CAI 401, 401a, 402, 402a, Dislivello 830m, Tempo indicativo: 6h (comprese soste), Difficoltà E, Altitudine min 920, Altitudine max 1750.

domenica 30 aprile 2023

Anello del Monte Vualt da Dordolla

Nuova escursione del sabato, 29 aprile 2023.

Di buon mattino mi trovo a Dordolla, alle 8 sono sul sentiero 422. Dopo un primo tratto in piano, si sale di buona lena nel sentiero nel bosco, che dopo un primo tratto permette di guadagnare quota in maniera molto agevole (lunghi tornanti), arrivando nel giro di due ore ad una quota che consente una vista panoramica sulla Val d'Aupa.

Con una piccola deviazione alle 10.30 osservo il panorama dalla cima del monte Forchiadice, quota 1575. Ripreso il sentiero, salgo ancora incontrando oltre che temerari ciclisti in MTB anche della neve sul sentiero, fino a raggiungere il bel ricovero Cjasut dal sior, in luogo assolato con vista panoramica a quota 1740. Ho modo di scambiare due parole con la coppia che mi precede dalla partenza, nella quale ho riconosciuto (grazie al libro di vetta) gli autori delle guide "Sentieri e natura".

Purtroppo nel tentare di raggiungere una delle due cime non la riconosco, e mi ritrovo sul sentiero che ridiscende verso la forcella Vualt. Decido di proseguire sul sentiero in discesa, abbastanza ripido e poco battuto, rinunciando al programmato anello completo che prevedeva il Casermone ed il rifugio Vualt, ma accorciando sensibilmente il percorso, che incontra poi sentiero 425 e fa rientro a Dordolla, non senza perdermi nel tratto finale, proprio dopo aver incontrato i primi stavoli.






Carta Tabacco 018, Sentiero CAI 422, 425, Dislivello 1300m, Tempo indicativo: 7h (comprese soste), Difficoltà E, Altitudine min 610, Altitudine max 1740.

 

domenica 23 aprile 2023

Monte San Simeone


Dopo tanto rinviare, per un motivo o per l'altro, ecco la prima "escursione del sabato", per la quale mi inerpico su un monte inevitabilmente legato nel ricordo ai fatti del 1976. 

La strada è interrotta per lavori già al bivio per il Monte Festa, a quota 360, alla salita si aggiungono i 100 metri necessari a raggiungere il sentiero. Salgo nel bosco di buona lena, raggiungendo il tabernacolo con la statua lignea, poco prima del nuovo incrocio della strada. Salvi alcuni tratti sulla strada, in alcuni dei quali si apre la visuale sulla pontebbana da Ospedaletto a Venzone, procedo sul sentiero fino ad arrivare ad uno slargo, poco più in basso di quota 1200, da cui si apre la vista sul lato Ovest, punto di partenza dei praticanti il volo libero (ne trovo alcuni con il parapendio, pronti per il lancio su Bordano). La strada in breve conduce alla bella chiestetta dedicata al santo e poco più sopra all'altopiano , popolato di diverse abitazioni in piena regola. Poco dopo la traccia del sentiero che conduce alla cima porta su un pendio nel quale incontro un po' di difficoltà dovute alla pendenza e forse al poco allenamento; dopo la prima parte più impegnativa la pendenza cala e raggiungo la cima (ridendo e scherzando, sono quasi 1150 metri di dislivello, tempo salita circa 4h).

La vista è appagante, si spazia da Tolmezzo fino al letto del Fella, fino a intravedere Moggio e, di qua, Carnia e Portis. 

Inevitabile ricordare Flavio.

Dopo una breve pausa con pisolo d'ordinanza, scendo, trovando il modo di stupirmi per la lunghezza della strada percorsa. Circa 6 ore e mezza pause comprese. 


Carta Tabacco 013, strada asfaltata/cementata e sentiero CAI 429, Dislivello 1100, Tempo indicativo: 6,5 h (escluse soste), Difficoltà E, Altitudine min 360, Altitudine max 1505.




Venzone, dalla strada che porta all'Altipiano

Ospedaletto, si vede la casa dei nonni (dalla panca vicino alle prime case)

Tolmezzo (dalla cima)



La chiesetta


Tabernacolo

Carnia e Portis (dalla cima)

In alto a destra si intravede Moggio (dalla cima)

 



domenica 16 aprile 2023

E' finita la pazienza

Mi trovavo ieri alle poste, nell'attesa di pagare un bollettino. Il signore che mi precedeva allo sportello stava effettuando una operazione di una certa lunghezza, ci avrà messo venti minuti. La signora che attendeva, in fila dopo di me, dopo cinque minuti ha cominciato a sbuffare, a commentare a mezza bocca cercando complicità (non trovata nè in me nè negli altri presenti) nelle lamentele per il disservizio (!).

Quando è stato il momento le ho ceduto il posto, dandole occasione di polemizzare con l'impiegata per l'inammissibile attesa (sarà durata un quarto d'ora, la sua), e di ricevere un'affilata risposta sulla necessità di avere pazienza.

E' vero, nessuno ha più pazienza (molti non hanno più pazienza). Non solo nelle code, ma ormai in tutti i rapporti con gli altri, in quello che ci attendiamo come dipendenti, come clienti, come turisti, come utenti, come degenti, vogliamo tutto, subito, e come diciamo noi.  In un mondo in cui tutto è sempre più complesso, non si capisce se il fatto che siamo sempre più scontenti sia più la causa o l'effetto della fine della pazienza, sempre sperando che ciò non diventi da un momento all'altro occasione di violenza.

Mi spiace non averglielo detto, alla signora, mentre mi ringraziava per averle ceduto il posto: "ci vuole un po' di pazienza".

 

sabato 15 aprile 2023

La mutazione

di Luca Ricolfi


Luca Ricolfi tira le file di un discorso iniziato da molto, e già sviluppato in buona parte in "Sinistra e popolo" e in "La società signorile di massa", oltre che ne "Il danno scolastico".

Vien da chiedersi se il suo "Perchè siamo antipatici?" non sia diventato ora "Perchè sono antipatici", tanto è il solco che si è formato tra la sinistra cui sente di appartenere e quella odierna "ufficiale".

I concetti sviluppati riguardano, per l'appunto, la mutazione rispetto ad alcuni valori ed idee identitarie della sinistra di, diciamo, quarantanni fa, che, a partire dalla deflagrazione dell'89-92 e dal formarsi di una nuova identità dei progressisti, sono stati abbandonati, per essere raccolti dalla nuova destra oppure per rimanere "adespoti".

Il primo valore "migrato" è la difesa dei deboli, di cui sembra farsi carico molto di più una destra comunitaria di una sinistra incentrata sull'aspetto liberal (nettamente prevalente sulla sinistra anticapitalista che le si distingue nettamente, con posizioni molto differenti su immigrazione, diritti civili e valori morali, al punto da avvicinarsi all'estremo opposto, avvalorando la tesi di Veneziani per la quale la vera alternativa nella politica odierna è tra "liberal" e "comunitari"). L'aspetto interessante dell'analisi è  l'individuazione della frattura della società in tre parti, almeno in un'Italia in cui permangono quattro grandi anomalie (ampia economia sommersa, peso elevato del lavoro autonomo, divari territoriali profondi, consistente massa di ipersfruttati per lo più immigrati): la società dei garantiti, per lo più dipendenti pubblici o di imprese medio grandi, connotata dalla sicurezza; la società del rischio, costituita da lavoratori autonomi e dipendenti precari, ovvero di piccole imprese, connotata da vulnerabilità; la società degli esclusi (disoccupati, irregolari, scoraggiati), connotata da perifericità.  Per Ricolfi tale analisi porta a concludere che i deboli sono concentrati nella seconda e nella terza delle due società descritte; e che la domanda da porsi non è chi vuole rappresentarli (in tal senso la destra indubbiamente ritiene si rappresentare la società del rischio), ma da chi essi si sentono rappresentati. Un'analisi comparata, che tiene conto tanto del livello di reddito quanto di quello di istruzione, avvalora la tesi che i ceti popolari ormai si sentano maggiormente tutelati dalla destra, che, se non la offre, almeno si pone il problema della soluzione ai contraccolpi provocati dalla globalizzazione.

Il secondo tema è la libertà di espressione del pensiero. L'analisi di Ricolfi tenta una periodizzazione (ad un primo periodo fino a metà degli anni Settanta caratterizzato da tentativi censori, è succeduto un trentennio in cui c'è stata effettiva libertà di critica e satira, per poi fare spazio all'era del politicamente corretto e delle limitazioni che esso comporta, per fini nobili, alla libera espressione del pensiero e della parola), e si allarga all'area americana ove i danni in questa questione sono ad uno stato molto avanzato, sintetizzabili nella formula del "follemente corretto". Da noi, in assenza di ingredienti quali il puritanesimo, la questione razziale ed i  campus universitari, il fenomeno assume forme meno visibili e clamorose, trovando un momento di stop nella non approvazione della legge Zan, la quale in particolare nell'articolo 4 avrebbe introdotto un elemento molto critico nel criminalizzare il nesso fra pensieri ed azioni conseguenti. L'attuale "terzo tempo" individuato da Ricolfi vede la libertà di manifestazione del pensiero ostacolata dalla adesione dell'establishment (manco a dirlo identificato con la sinistra ufficiale) all'ortodossia del politicamente corretto, in nome del quale è ritenuta un'opzione possibile la limitazione di quella libertà. Dopo lo swap delle basi sociali, viene offerta alla destra anche la possibilità di intestarsi la difesa della libertà di espressione.

Il terzo tema è il ruolo della cultura alta nel perseguimento dell'ideale dell'eguaglianza. Ricolfi vede un "triangolo magico" tra sinistra, cultura ed eguaglianza ("senza cultura non ci può essere eguaglianza, senza eguaglianza non può esserci sinistra, dunque la sinistra non può che essere per la cultura"). Tuttavia l'analisi che poi sviluppa, oltre che evidenziare l'erroneità del pregiudizio per cui la cultura sia una cosa di sinistra, parte dall'abbandono ormai risalente (siamo ancora a Togliatti...) della difesa della cultura alta da parte del PCI, con l'adesione alle tesi delle "culture al posto della cultura", ed alla loro applicazione alla riforma della scuola che ha determinato quella macchina della diseguaglianza cui è dedicato per intero il precedente libro di Ricolfi, per poi congetturare come l'impoverimento culturale e lessicale determini anche una riduzione della capacità di formulare pensiero critico, con conseguenze dirette sulla vita civile e sulla possibilità di una democrazia compiuta. In questo caso non vi è uno swap con la destra, la cultura alta, sostiene Ricolfi, non se la fila nessuno.

Il capitolo conclusivo si interroga se vi sia una connessione tra gli sviluppi osservati nei precedenti, trovandola nella diversa visione della modernizzazione tra progressisti e conservatori. 

Per i primi la modernizzazione è sempre positiva, portando a minimizzare "il lato oscuro del progresso", tematiche e problematiche che la sinistra tende a negare o minimizzare, portando avanti il "dogma del progresso come inclusione", rispetto al quale certe idee di sinistra, quelle di cui si è occupato il libro (difesa dei deboli, libertà di espressione, emancipazione attraverso la cultura) diventano incompatibili, perchè omettono di privilegiare l'immigrato rispetto all'operaio, le minoranze LGBT rispetto alle donne, il politicamente corretto rispetto alla libertà di opinione, l'istruzione di massa rispetto alla trasmissione del patrimonio culturale. 

Il formarsi dei due mondi distinti di cui si compone la società signorile di massa ha creato due sfere molto distanti, con bisogni e immaginario radicalmente diversi, restando il "mondo di sotto" completamente al di fuori del sentire della sinistra ufficiale, mentre certo neotradizionalismo della destra, con la sua preoccupazione per i mali della globalizzazione e gli eccessi della libertà individuale "riluce in tutta la sua enigmatica capacità di porre domande".

Già, forse ora per Ricolfi gli "antipatici" sono "loro".