C'è un brutto fatto di cronaca, bruttissimo.
Una donna al settimo mese di gravidanza uccisa dal compagno.
Il fatto di cronaca è purtroppo parte di un fenomeno che non si riesce a sconfiggere, anche se almeno ora della gravità della violenza sulle donne c'è consapevolezza.
Emergono particolari di vario genere, c'era un'altra, a suo modo anche lei tradita.
Scatta la generale caccia al dettaglio, inevitabile correlare lo spazio sui media alla pruderie derivante dal triangolo.
Il male sembra essersi concentrato in una persona, sospetto in molte cose non così diversa da tante altre, ma sulla quale è comodo e catartico coagulare il disprezzo e la condanna universale.
Persino la madre arriva a chiedere scusa: "ho generato un mostro".
Mi vengono in mente i genitori a bordo campo, concentrati sulle imprese del piccolo campione, i primi a sbottare in commenti negativi quando è lui a sbagliare un passaggio: siamo narcisisti al punto che dei nostri figli, come nostre proiezioni, viviamo successi e insuccessi come fossero nostri.
L'amore più completo, quello di una madre, dovrebbe portare ad abbracciare il figlio che ha compiuto il peggiore dei crimini, non a dargli del mostro per scacciare da sé l'ombra di quel crimine.
Ma davanti ad una telecamera (era proprio necessario?) più di quell'amore può forse quello verso se stessi, vero tratto distintivo del mondo di oggi.
Siamo noi, i mostri?
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