sabato 15 aprile 2023

La mutazione

di Luca Ricolfi


Luca Ricolfi tira le file di un discorso iniziato da molto, e già sviluppato in buona parte in "Sinistra e popolo" e in "La società signorile di massa", oltre che ne "Il danno scolastico".

Vien da chiedersi se il suo "Perchè siamo antipatici?" non sia diventato ora "Perchè sono antipatici", tanto è il solco che si è formato tra la sinistra cui sente di appartenere e quella odierna "ufficiale".

I concetti sviluppati riguardano, per l'appunto, la mutazione rispetto ad alcuni valori ed idee identitarie della sinistra di, diciamo, quarantanni fa, che, a partire dalla deflagrazione dell'89-92 e dal formarsi di una nuova identità dei progressisti, sono stati abbandonati, per essere raccolti dalla nuova destra oppure per rimanere "adespoti".

Il primo valore "migrato" è la difesa dei deboli, di cui sembra farsi carico molto di più una destra comunitaria di una sinistra incentrata sull'aspetto liberal (nettamente prevalente sulla sinistra anticapitalista che le si distingue nettamente, con posizioni molto differenti su immigrazione, diritti civili e valori morali, al punto da avvicinarsi all'estremo opposto, avvalorando la tesi di Veneziani per la quale la vera alternativa nella politica odierna è tra "liberal" e "comunitari"). L'aspetto interessante dell'analisi è  l'individuazione della frattura della società in tre parti, almeno in un'Italia in cui permangono quattro grandi anomalie (ampia economia sommersa, peso elevato del lavoro autonomo, divari territoriali profondi, consistente massa di ipersfruttati per lo più immigrati): la società dei garantiti, per lo più dipendenti pubblici o di imprese medio grandi, connotata dalla sicurezza; la società del rischio, costituita da lavoratori autonomi e dipendenti precari, ovvero di piccole imprese, connotata da vulnerabilità; la società degli esclusi (disoccupati, irregolari, scoraggiati), connotata da perifericità.  Per Ricolfi tale analisi porta a concludere che i deboli sono concentrati nella seconda e nella terza delle due società descritte; e che la domanda da porsi non è chi vuole rappresentarli (in tal senso la destra indubbiamente ritiene si rappresentare la società del rischio), ma da chi essi si sentono rappresentati. Un'analisi comparata, che tiene conto tanto del livello di reddito quanto di quello di istruzione, avvalora la tesi che i ceti popolari ormai si sentano maggiormente tutelati dalla destra, che, se non la offre, almeno si pone il problema della soluzione ai contraccolpi provocati dalla globalizzazione.

Il secondo tema è la libertà di espressione del pensiero. L'analisi di Ricolfi tenta una periodizzazione (ad un primo periodo fino a metà degli anni Settanta caratterizzato da tentativi censori, è succeduto un trentennio in cui c'è stata effettiva libertà di critica e satira, per poi fare spazio all'era del politicamente corretto e delle limitazioni che esso comporta, per fini nobili, alla libera espressione del pensiero e della parola), e si allarga all'area americana ove i danni in questa questione sono ad uno stato molto avanzato, sintetizzabili nella formula del "follemente corretto". Da noi, in assenza di ingredienti quali il puritanesimo, la questione razziale ed i  campus universitari, il fenomeno assume forme meno visibili e clamorose, trovando un momento di stop nella non approvazione della legge Zan, la quale in particolare nell'articolo 4 avrebbe introdotto un elemento molto critico nel criminalizzare il nesso fra pensieri ed azioni conseguenti. L'attuale "terzo tempo" individuato da Ricolfi vede la libertà di manifestazione del pensiero ostacolata dalla adesione dell'establishment (manco a dirlo identificato con la sinistra ufficiale) all'ortodossia del politicamente corretto, in nome del quale è ritenuta un'opzione possibile la limitazione di quella libertà. Dopo lo swap delle basi sociali, viene offerta alla destra anche la possibilità di intestarsi la difesa della libertà di espressione.

Il terzo tema è il ruolo della cultura alta nel perseguimento dell'ideale dell'eguaglianza. Ricolfi vede un "triangolo magico" tra sinistra, cultura ed eguaglianza ("senza cultura non ci può essere eguaglianza, senza eguaglianza non può esserci sinistra, dunque la sinistra non può che essere per la cultura"). Tuttavia l'analisi che poi sviluppa, oltre che evidenziare l'erroneità del pregiudizio per cui la cultura sia una cosa di sinistra, parte dall'abbandono ormai risalente (siamo ancora a Togliatti...) della difesa della cultura alta da parte del PCI, con l'adesione alle tesi delle "culture al posto della cultura", ed alla loro applicazione alla riforma della scuola che ha determinato quella macchina della diseguaglianza cui è dedicato per intero il precedente libro di Ricolfi, per poi congetturare come l'impoverimento culturale e lessicale determini anche una riduzione della capacità di formulare pensiero critico, con conseguenze dirette sulla vita civile e sulla possibilità di una democrazia compiuta. In questo caso non vi è uno swap con la destra, la cultura alta, sostiene Ricolfi, non se la fila nessuno.

Il capitolo conclusivo si interroga se vi sia una connessione tra gli sviluppi osservati nei precedenti, trovandola nella diversa visione della modernizzazione tra progressisti e conservatori. 

Per i primi la modernizzazione è sempre positiva, portando a minimizzare "il lato oscuro del progresso", tematiche e problematiche che la sinistra tende a negare o minimizzare, portando avanti il "dogma del progresso come inclusione", rispetto al quale certe idee di sinistra, quelle di cui si è occupato il libro (difesa dei deboli, libertà di espressione, emancipazione attraverso la cultura) diventano incompatibili, perchè omettono di privilegiare l'immigrato rispetto all'operaio, le minoranze LGBT rispetto alle donne, il politicamente corretto rispetto alla libertà di opinione, l'istruzione di massa rispetto alla trasmissione del patrimonio culturale. 

Il formarsi dei due mondi distinti di cui si compone la società signorile di massa ha creato due sfere molto distanti, con bisogni e immaginario radicalmente diversi, restando il "mondo di sotto" completamente al di fuori del sentire della sinistra ufficiale, mentre certo neotradizionalismo della destra, con la sua preoccupazione per i mali della globalizzazione e gli eccessi della libertà individuale "riluce in tutta la sua enigmatica capacità di porre domande".

Già, forse ora per Ricolfi gli "antipatici" sono "loro". 

 

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