Sono passati ormai nove mesi da quando la libertà di Christian è ristretta; dopo Natale, anche Pasqua la passerà agli arresti domiciliari.
Sono lunghi nove mesi. Temo più delle pene irrogabili per certi fatti, ammesso che vengano definitivamente provati.
Me lo ricordo bene, il giorno dell'arresto, e quelli successivi: a cercare brandelli di notizie, a chiedersi cosa poteva essere successo.
Me lo ricordo bene, il giorno dell'arresto, e quelli successivi: a cercare brandelli di notizie, a chiedersi cosa poteva essere successo.
Non molto abbiamo saputo e capito, ma in fondo per tutto quello che dovevamo comprendere non serviva un'inchiesta giudiziaria: ce lo dicevano le ragioni del cuore.
Più d'uno si augurava paradossale ed amaro, pensando al suo dramma: "speriamo sia colpevole". Che almeno il prezzo altissimo che ha dovuto e dovrà pagare corrispondesse a qualche una grossa cazzata fatta, e tanto noi gli avremmo voluto bene lo stesso e anche più.
Poi i giorni, poi le settimane e i mesi. "Ci sono novità?"; "Non si sa niente?".
Niente.
Mesi di niente che sembrano interminabili a noi, qua fuori. E a lui, là dentro, quanto sarà costato quel "niente", così contrastante con quel "tutto" che gli è crollato addosso?
Molte volte, agli amici più fidati ho chiesto: possibile che non possiamo fare niente? Dobbiamo stare con le mani in mano? Non penserà che lo abbiamo abbandonato?
Sola mi confortava l'unanimità del giudizio di tutti, tutti quelli che mi parlavano e chiedevano della vicenda: nessuno, fra quanti lo hanno conosciuto, lo ha mai pensato, che Christian non sia un galantuomo.
Qualche cagata l'ha forse commessa. Dico forse perchè si cimenteranno uno o più tribunali ad accertarne natura e conseguenze. Io, comunque vada, nemmeno quelle mi sentirò di rimproverargli, quando lo rivedrò, visto che le sta pagando tutte belle care, e metterci il mio sovrappiù di pur amichevole "dovevi questo, non dovevi quell'altro" mi sembrerebbe una cattiveria.
Inizialmente qui sopra doveva esserci scritto: Christian David è un mio amico. Poi ho cambiato: Christian David è uno di noi.
Qualche cagata l'ha forse commessa. Dico forse perchè si cimenteranno uno o più tribunali ad accertarne natura e conseguenze. Io, comunque vada, nemmeno quelle mi sentirò di rimproverargli, quando lo rivedrò, visto che le sta pagando tutte belle care, e metterci il mio sovrappiù di pur amichevole "dovevi questo, non dovevi quell'altro" mi sembrerebbe una cattiveria.
Inizialmente qui sopra doveva esserci scritto: Christian David è un mio amico. Poi ho cambiato: Christian David è uno di noi.
E' uno di noi perchè appartiene ad un gruppo di persone che ha condiviso esperienze, aspirazioni, speranze, insomma un pezzo di vita: e lui era il migliore di tutti noi, diciamolo senza ritrosia.
E' uno di noi perchè purtroppo finire in meccanismo in cui entri dentro e non si sa quando ne esci, a queste latitudini, potrebbe capitare a molti. E molto ci sarebbe da discutere, su certi metodi, su certe differenze di trattamento. Intanto vita stravolta, danni morali e patrimoniali, e tanta forza che ci vuole per riprendersi.
Anche l'altra frase non era male.
Lui ora non potrà leggermi, ma resti scritto che dire "Christian David è un mio amico" per me non è motivo di imbarazzo, ma di orgoglio.
E' uno di noi perchè purtroppo finire in meccanismo in cui entri dentro e non si sa quando ne esci, a queste latitudini, potrebbe capitare a molti. E molto ci sarebbe da discutere, su certi metodi, su certe differenze di trattamento. Intanto vita stravolta, danni morali e patrimoniali, e tanta forza che ci vuole per riprendersi.
Anche l'altra frase non era male.
Lui ora non potrà leggermi, ma resti scritto che dire "Christian David è un mio amico" per me non è motivo di imbarazzo, ma di orgoglio.
Paolo Gandolfo
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