di Massimo Teodori
Il libro l'ho letto circa un anno e mezzo fa. Teodori lo ascoltai a Gorizia e poi a radioradicale dove lo aveva presentato.
Il libro l'ho letto circa un anno e mezzo fa. Teodori lo ascoltai a Gorizia e poi a radioradicale dove lo aveva presentato.
Mi è tornato in mente ieri, mentre su Netflix mi guardavo un'ora di televisione perfetta, Obama con Letterman.
Intervista di un'ora, due pensionati che parlano di tutto senza nominare Trump.
Ho pensato: ecco un grande uomo, uno che aveva spessore e consapevolezza del ruolo che rivestiva e al tempo stesso l'umiltà di comprendere che lo faceva per un tempo finito.
Con uno così, al raffronto con il successore a maggior ragione, veniva qualche ragione di sperare in un mondo migliore.
Il libro, dunque.
Teodori la sua conclusione la dichiara nel titolo. Ma spende molta parte dell'argomentazione a contrastare l'impressione, all'epoca generalizzata, che l'amministrazione Obama fosse stata una delusione, ricordando che la delusione è funzione fra aspettative e risultati, e che le prime erano veramente eccessive.
Me le ricordo, il giorno delle elezioni nove anni fa, le persone che camminavano per strada a New York, incredule a festeggiare un Presidente nero e pop. Io stesso, prendendo il treno per Monfalcone, mi ero portato appresso la radio, per ascoltare inutili cronache al solo motivo di crogiolarmi in una di quelle rare notizie ascoltando le quali ti pare che il mondo abbia svoltato, per una volta, nella direzione giusta.
Il mondo non lo poteva cambiare da solo: e da qui la diffusa e ingenerosa opinione che la presidenza di Obama non sia poi stata granchè.
Teodori prova ad applicare i criteri che fra qualche anno utilizzeranno gli storici; contestualizza, analizza soprattutto le fortissime resistenze incontrate al congresso e nel Paese, in quella parte del Paese che lungi dall'accettarlo lo ha rigettato come simbolo di quanto esiste di un-american, prefigurazione del declino. Non senza una che forte componente che si colleghi allo scandalo del colore della sua pelle.
Obama fu accolto dalla crisi economica, improvvisa e tremenda, ma in due anni ha portato fuori il Paese.
Tenendo ferma la barra sull'antimilitarismo e sul rigetto delle avventure neocon-bushiane, ha dato forse adito ad accuse di debolezza, ma in realtà ha ricostruito l'immagine di una nazione che mai come all'epilogo dei due mandati di Bush era screditata e odiata per il contrasto fra i valori che dichiarava ed un operato violento e parimenti pasticciato. Errori ve ne sono stati, ma (opinione mia) gli accordi con Cuba e Iran sono veri pezzi di storia, per non parlare di quello sul clima.
Ferma la barra sui diritti civili, impegnato duramente nella campagna per l'assistenza medica, il suo più grande scacco lo ha avuto, dichiaratamente, sulla diffusione delle armi.
Non più superpotenza unica, ma di nuovo nazione guida, con rinnovata spinta sul soft power, e con la Cina comunque tenuta distanza.
Di più, fa capire Teodori, non si poteva fare e probabilmente il tempo renderà giustizia.
E Obama il grande, lo ha detto prima di conoscere il successore.
Nessun commento:
Posta un commento