mercoledì 17 gennaio 2018

L'importanza dei congiuntivi e dei condizionali

E' un po' difficile riassumere il contributo di grande intelligenza di questo articolo di Biagio De Giovanni sul Mattino di qualche giorno fa (e perchè poi riassumerlo? ci sono cose che possono essere comprese solo se meditate e lette con attenzione, tempo e fatica; alla faccia dei social e della negazione della complessità; e degli "Immediati" di cui parla Rutelli, sì lui, in un libro che forse varrà la pena di comprare.)

Tocca riportare le sue parole già in precedenza mirabili allorchè  si chiedevano: 
Che cosa significa oggi, per un movimento politico, essere eversivo? Per definirlo tale non aspettiamoci la ripetizione della marcia su Roma del 1922 o gruppi di energumeni con i manganelli nelle strade”. Ma l’eversione esiste, anche nella parvenza del gioco democratico: “Eversivo, in una situazione democratica, è chi immagina se stesso, il movimento di cui è parte, come protagonista di una palingenesi. Il protagonista dice: opero in una situazione lontana da questo incomposto magma corruttivo che mi sta dinanzi… guardo tutti da una postazione dalla quale tutti gli ‘altri’ sono coinvolti… Tutto questo va superato, distrutto”. 
Ideale per questa eversione sono “le nuove forme della comunicazione”. “Eversiva può diventare, sta diventando un’opinione pubblica che si forma così, con questi canoni, con la ‘violenza’ di una sola parola che vale metaforicamente, s’intende, un colpo di pistola”.
Toh, ma allora io quando avevo fra il serio ed il faceto buttato lì che il M5S è un movimento tecnicamente fascista non l'avevo sparata così grossa...

Impossibile quindi, anzi vietato, riassumere. Riporto con  mie sottolineature e grassetto, per mero esercizio:
"Quello che chiamiamo populismo ha già avvelenato il clima della nostra democrazia parlo solo di noi - e prevedo che altro veleno sarà inoculato, nella caduta verticale delle culture politiche che danno consistenza a una nazione. Nelle vene dei populisti, lo sappiamo, scorre il sangue anti-élite, con un sentimento che individua nella politica la casta per eccellenza, che va odiata, detronizzata, sbeffeggiata. Tutto ciò che riguarda la casta - e già il termine usato è sintomo decisivo- è prevaricazione, sistema di privilegi da annientare, da far odiare, odio da far covare nel rancore sociale, ormai perfino registrato in Italia, dagli istituti di ricerca, come dominante nello spirito pubblico. Ecco già un primo punto, ma da qui tanti altri ne nascono, e bisogna dare a essi i nomi giusti e incominciare a offrire le controargometazioni, ad evitare che l'espansione a macchia d'olio di questo stato d'animo metta in ginocchio l'Italia, come già sta avvenendo, come potrebbe avvenire in un futuro vicino. 
Un ragionamento che bisogna avviare e che bisognerà tener fermo anche per contribuire a restituire alle classi dirigenti il senso del loro ruolo, chiamarle a un miglioramento delle loro prestazioni per una vera e propria resistenza che si deve preparare. È necessario aprire una lotta culturale e politica che sarà lunga e aspra, e che ha per oggetto nientemeno, guardato pure oltre i nostri confini, il destino delle democrazie liberali e rappresentative. 
Quale è l'altro nome nemico, esorcizzato, rifiutato, reso mostruoso, contro il quale il populismo si batte, convinto di aver trovato la chiave d'oro del proprio successo? È il potere che dovunque si manifesti va negato, rigettato, sterilizzato, neutralizzato, demonizzato, in nome del popolo. Ma questo ad opera di chi, e in vista di che? Da chi parla in nome di una pretesa società di uguali, nei quali riposa il giudizio di Dio; in vista di un auspicato ugualitarismo meccanico, quello che la cultura liberal-democratica ha sempre negato e contro il quale Benedetto Croce elevava la sua critica ironica e sferzante, giudicando l'egualitarismo, il democratismo il vero nemico della democrazia e del liberalismo «nel suo far pesare la massa, il, popolo, la plebe nei consigli e nella deliberazione politica»: oggi, il popolo mediatizzato virtualizzato retizzato, e l'individuo ridotto, nella sua realtà profonda, ad atomo solitario.

Dunque, ciò che diventa centrale, nel populismo, è la lotta contro il potere dovunque si manifesti nelle relazioni umane e politiche. Un'incultura drammatica rischia di invadere la coscienza dell'Italia, e mi fermo a nominare l'Italia per il carattere particolarmente virulento ed esteso che da noi ha assunto quella che viene chiamata lotta contro il potere, sterilizzazione completa del suo ruolo: attenzione, con il potere arrivano i corrotti, i nemici del popolo, appena il suo ruolo si disegna all'orizzonte, e la politica ne fa le spese sotto i colpi dell'antipolitica. Le distinzioni necessarie e anche critiche si disperdono nel vociare incolto che ne attacca la dimensione generale, spesso in un'orgia giustizialista che mescola tutto, tutto parifica con furia distruttiva, il potere diventa per sua natura abuso. In questa lotta anzitutto culturale si deve riprendere il problema dal suo capo: far comprendere che il potere è il centro di energia da cui nasce la storia degli uomini, l'onda che la attraversa, e nella sua grande forza organizza la vita comune. Il potere, nella sua potenza creativa, è la profonda volontà di applicare la ragione al disordine della vita, è un centro di energia, di pensiero e di volontà, una esigenza che suscita tutta una vita, una vasta onda di vita negli animi umani. Una democrazia che immagina di poter sterilizzare il potere lotta contro il proprio valore primario, quello che garantisce la continuità della vita. Una democrazia che immagina questo diventa da un lato, e ufficialmente, povero contenitore di una procedura svuotata, oltre la quale, però, un vero nuovo potere domina la scena, negando di esser potere, che è la cosa peggiore che esso possa fare, perché proprio così esso si sottrae alla critica, si colloca oltre di questa, in un luogo incontaminato dove prevalgono l'innocenza, la bontà, il disinteresse. Lotta dei buoni contro i cattivi, i manichei in azione, partecipi di quella religione che divideva il mondo in bene e male, e che il cristianesimo combatté con tutte le sue energie. Tutto questo, nelle nostre società, fa esplodere il giustizialismo mediatico dove, con il plauso di tanti, si celebrano processi che riguardano anche relazioni tra esseri umani, uomo e donna, dove il potere (reciprocamente) può giocare un suo ruolo in infinite sfumature prima di diventare, come può accadere ed è accaduto, opera del demonio che alberga in ogni uomo e soprattutto nel maschio. 
Vuol significare, questo, negare la possibilità della critica? Chi parla così vuol solo confondere le acque, e nella confusione generale far prevalere la propria incultura, il neo-primitivismo che si disegna vincente all'orizzonte. La critica è non solo possibile, ma necessaria, perché il potere può, certo, abusare di sé e quante volte lo fa!- ma la critica è possibile, efficace, alla sola condizione di non avere come premessa e condizione prioritaria la distruzione del principio che criticaSe si accoglie la forza etica, politica, istituzionale, rappresentativa del potere, allora la critica ne arricchisce la storia, contribuisce a organizzare culture e gruppi umani nelle società civili, coglie in fallo chi in fallo va colto. Non però come esponente di un luogo di abusi, che dunque va ridicolizzato e condannato in diretta tv, aizzando i rancori e rendendo barbara una società, ma come quel luogo che, in un momento difficilissimo della storia del mondo, quando tante cose possono andare in rovina, deve caricare su di sé la possibilità di un nuovo ordine. Il quale richiede professionalità, competenza, cultura, ragionevolezza, dialogo, riconoscimento, e vorrei dire il linguaggio complesso dei congiuntivi e dei condizionali, proprio l'opposto di tutto ciò che il populismo nostrano intende far valere, nuovo tribunale del giustizialismo di oggi, dove si usa l'indicativo assertivo, l'unico verbo conosciuto. 


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