mercoledì 3 gennaio 2018

La comunità che non c'è (più?)

Insultiamo chi non ci dà la precedenza.
Intentiamo una causa per danni al primo pretesto utile.
Il professore che mette una nota al pupo, lo minacciamo di azione legale.
Il primo che fa un errore, lo invitiamo, incapace, a cambiare mestiere.
I politici, sono tutti ladri che fanno schifo.
Gli statali, dei mangiapane a tradimento.
Gli imprenditori, degli evasori da sbattere dentro.
Tutti quanti, li insultiamo via chat.
L'insofferenza, l'assenza di empatia per gli altri e di sforzo per i loro comportamenti è il leit-motiv del nostro tempo, proporzionale solo alla capacità di autoassolvere le proprie debolezze ed i propri errori
Non ci sentiamo parte di (una) comunità nella quale condividere diritti, doveri e responsabilità, ma solo titolari di pretese.

Nel suo bel messaggio di fine anno, il Presidente Mattarella ha affrontato (anche), da par suo  quest'argomento:
Si è parlato, di recente, di un'Italia quasi preda del risentimento.
Conosco un Paese diverso, in larga misura generoso e solidale. Ho incontrato tante persone, orgogliose di compiere il proprio dovere e di aiutare chi ha bisogno. Donne e uomini che, giorno dopo giorno, affrontano, con tenacia e con coraggio, le difficoltà della vita e cercano di superarle.
I problemi che abbiamo davanti sono superabili. Possiamo affrontarli con successo, facendo, ciascuno, interamente, la parte propria. Tutti, specialmente chi riveste un ruolo istituzionale e deve avvertire, in modo particolare, la responsabilità nei confronti della Repubblica.


Belle e doverose parole, da parte del Presidente (che ringrazio).

Purtroppo ci credo poco, ormai, io.

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