Non sono mancate, all'inizio di queste mese, le manifestazioni di vario genere a ricordo di Pier Paolo Pasolini.
I maestri bisognerebbe onorarli da vivi ascoltando il loro insegnamento spesso profetico, e non ricordarli come "figurine" buone per essere inserite una canzone di Jovanotti o nel Pantheon di Veltroni.
Un articolo di Buttafuoco alla Buttafuoco coglie bene questo aspetto: Il POTERE non ha ucciso Pasolini, lo ha ridotto a immaginetta buona. E' forse anche vero che cogliere la grandezza del suo profilo intellettuale è necessaria una capacità di contestualizzare molto, troppo difficile senza una profonda cultura storica: Se i trentenni non leggono Pasolini un motivo ci sarà. Chi lo pensa farebbe bene a meditare sulle lacrime spese nell'orazione funebre di Moravia: "Abbiamo perso un poeta, e di poeti non ce ne sono tanti nel molto. ne nascono solo tre o quattro soltanto in un secolo. Quando sarà finito questo secolo, Pasolini sarà uno dei pochi che conteranno come poeta".
Tuttavia certe celebrazioni, hanno queste contraddizioni e che magari fanno male alle persone che ricordano il trattamento riservato in vita al celebrato, oltre a rendere un omaggio che per quanto postumo è dovuto, aiutano a scoprire, rileggere, conoscere.
In altre parole fanno cultura: magari qualcuno (quorum ego) avrò preso in mano un libro da uno scaffale.
Personalmente mi sono incontrato più volte con l'opera di Pasolini, cui mi sono accostato credendo di doverla ritenere più importante dell'opera che è stata la sua vita, la sua interpretazione del ruolo di intellettuale ed il suo drammatico vissuto personale.
Ho visto alcuni dei suoi film trovandoli impossibili, ho faticato a finire "ragazzi di vita" mentre mi ha emozionato "il sogno di una cosa", ho pianto vedendo a teatro i "turcs", ho constatato il grave vuoto della assenza di uno come lui leggendo gli "scritti corsari", nel meridiano "scritti politici" che mi sono fatto regalare e che resta in attesa di essere terminato.
Sempre ne ho invidiato tremendamente invidiato la sua intelligenza, la stessa che ha fatto dire a Giorgio Bocca (che poi ebbe su di lui ben diverse espressioni): Già, il vecchio Pasolini Pier Paolo, cinquanta chili di una rabbia che è solitudine, amore, timidezza, incontinenza, paura, genio. Cinquanta chili di uomo. Ma non è questo che fa tenerezza o mette a disagio, ma ben altro: sentirsi in debito con lui per conto di tutti e non sapere che fare, come ripagarlo dell’intelligenza che ci ha dato in questi anni, generosamente. Non è il denaro che vuole anche se noi ci guardiamo bene dal darglielo; né siamo autorizzati a concedergli quella esenzione dalla morale comune che chiede con tanta ingenua insistenza: diamogli almeno la stima intellettuale che merita (su diamogliela cuori spugnosi e cervellini esangui), diciamolo che è il migliore di tutti.
Ecco alcune tracce dei miei incontri con il poeta.
La battaglia di Valle Giulia.
Ho letto la Poesia Il PCI ai giovani alle medie (il mio professore di lettere era un comunista di quelli veri ma aveva l'onestà intellettuale come faro). E' stata una delle prime volte in cui ho avuto chiaro che può esserci un punto di vista diverso che può capovolgere la realtà delle cose. Un chiaro esempio del ruolo dell'intellettualità.
Nella poesia il parteggiare per i poliziotti era opzione che discendeva da un'analisi contestuale legata al momento e ad una particolare concezione della lotta di classe comunque interna al marxismo. Il frammento in cui li si contrappone ai figli di papà del movimento è purtroppo diventata un'altra delle "figurine", usata da chiunque voglia dare un tono ad una propria posizione che non c'entra nulla, come da ultimo ha dimostrato Renzi che si è detto "PASOLINIANAMENTE" per i poliziotti che in val di susa contrastano i no-tav.
Ridotto ad avverbio, e da uno che non ha mai letto un libro.
Pasolini e i radicali
Pannella e i radicali spesso indulgono a considerare uno dei loro (nostri) PPP. Il testo di riferimento è Pasolini e i radicali, testo dell'intervento al congresso radicale che Pier Paolo non potè tenere in quanto ucciso due giorni prima, e che contiene delle analisi che compendiano dichiarazioni di stima di cui siamo sempre andati giustamente orgogliosi:
Dunque, bisogna lottare per la conservazione di tutte le forme, alterne e subalterne, di cultura. E' ciò che avete fatto voi in tutti questi anni, specialmente negli ultimi. E siete riusciti a trovare forme alterne e subalterne di cultura dappertutto: al centro della città, e negli angoli più lontani, più morti, più infrequentabili. Non avete avuto alcun rispetto umano, nessuna falsa dignità, e non siete soggiaciuti ad alcun ricatto. Non avete avuto paura né di meretrici né di pubblicani, e neanche - ed è tutto dire - di fascisti...
...I diritti civili sono in sostanza i diritti degli altri. Ora, dire alterità è enunciare un concetto quasi illimitato. Nella vostra mitezza e nella vostra intransigenza, voi non avete fatto distinzioni. Vi siete compromessi fino in fondo per ogni alterità possibile. Ma una osservazione va fatta. C'è un'alterità che riguarda la maggioranza e un'alterità che riguarda le minoranze. Il problema che riguarda la distruzione della cultura della classe dominata, come eliminazione di una alterità dialettica e dunque minacciosa, è un problema che riguarda la maggioranza...
...So che sto dicendo delle cose gravissime. D'altra parte era inevitabile. Se no cosa sarei venuto a fare qui? Io vi prospetto - in un momento di giusta euforia delle sinistre - quello che per me è il maggiore e peggiore pericolo che attende specialmente noi intellettuali nel prossimo futuro. Una nuova »trahison des clercs : una nuova accettazione; una nuova adesione; un nuovo cedimento al fatto compiuto; un nuovo regime sia pure ancora soltanto come nuova cultura e nuova qualità di vita. Vi richiamo a quanto dicevo alla fine del paragrafo quinto: il consumismo può rendere immodificabili i nuovi rapporti sociali espressi dal nuovo modo di produzione »creando come contesto alla propria ideologia edonistica un contesto di falsa tolleranza e di falso laicismo: di falsa realizzazione, cioè, dei diritti civili . Ora, la massa degli intellettuali che ha mutuato da voi, attraverso una marxizzazione pragmatica di estremisti, la lotta per i diritti civili rendendola così nel proprio codice progressista, o conformismo di sinistra, altro non fa che il gioco del potere: tanto più un intellettuale progressista è fanaticamente convinto delle bontà del proprio contributo alla realizzazione dei diritti civili, tanto più, in sostanza, egli accetta la funzione socialdemocratica che il potere gli impone abrogando, attraverso la realizzazione falsificata e totalizzante dei diritti civili, ogni reale alterità. Dunque tale potere si accinge di fatto ad assumere gli intellettuali progressisti come propri chierici. Ed essi hanno già dato a tale invisibile potere una invisibile adesione intascando una invisibile tessera. Contro tutto questo voi non dovete far altro (io credo) che continuare semplicemente a essere voi stessi: il che significa essere continuamente irriconoscibili.
Dimenticare subito i grandi successi: e continuare imperterriti, ostinati, eternamente contrari, a pretendere, a volere, a identificarvi col diverso; a scandalizzare; a bestemmiare.
Pasolini e la morte.
Anni fa ascoltai nella trasmissione serale di Capezzone un'intervista con Zigaina, pittore di Cervignano, amico di Pasolini e recentemente scomparso.
Per la prima ed ultima volta sentii Capezzone zittito mentre Zigaina enunciava la sua teoria per la quale la morte di Pasolini non fu nè un fatto di cronaca nera nè un complotto, ma l'atto finale di un'opera d'arte realizzata dal poeta. Una morte programmata ed annunciata a più riprese nella propria opera, quale atto finale di una vita essa stessa vissuta quale espressione artistica, un "martirio per autodecisione".
Ecco il link nel magnifico archivio di radioradicale: link.
Ho recentemente letto, con comprensibile sconcerto e perdurante incredulità uno dei tre volumi della "trilogia della morte di Pasolini", precisamente "Pasolini e la morte. Un giallo puramente intellettuale".
Dall'intervista: "Mentre Pasolini si avvicina sempre più alla morte il suo problema è di comunicare al mondo, quindi senza preoccuparsi troppo di essere un poeta elegiaco, lirico, comunicare come poi avrebbe dovuto scoprire il suo linguaggio gergale, perchè Pasolini, è questo è uno dei suoi aforismi, diceva: 'la morte non è nel non poter comunicare, ma nel non poter essere compresi'. Lui mentre dice queste cose, già sta comunicando un qualcosa ai suoi spettatori, come lui diceva. Ma nel non poter più essere compresi perchè,se dopo la morte nessuno riesce più a capire, come si sta rischiando, il suo linguaggio gergale, e nessuno riesce a tradurlo, Pasolini è destinato a scomparire o a restare uno dei tanti. E' come se Mozart avesse fatto le sue sinfonie per un'orchestra di sordomuti che non sa leggere le note"
Roba tosta.
I Turcs tal friul.
Il dramma in friulano è stato rappresentato in poche occasioni, viste le difficoltà nel casting. Nel 1995 ero abbonato al Rossetti di Trieste; una domenica pomeriggio mi sono ritrovato ad assistere alla messa in atto che Elio de Capitani aveva immaginato con queste motivazioni "Voglio tentare l'impresa, non semplice - spiega il regista - di mettere in scena questo testo in un'epoca in cui il mondo torna, se mai l'ha lasciato, sul sentiero delle non più ideologiche ma religiose guerre, pensando agli ultimi della terra, le colonne di profughi che lasciano le loro case con la stessa tristezza negli occhi, in tutto il mondo". La straordinaria forza poetica, la bravura degli attori, il di più di lirismo della marilenghe si incrociarono con vicende tragiche che da poco mi avevano coinvolto e mi ritrovai in lacrime nell'assistere alla rappresentazione del dolore assoluto così bene offerta dalla Moralcchi. E' stata senza dubbio l'esperienza artistica più emozionante della mia vita.
Pochi mesi dopo ho costretto tutta la famiglia ad assistere all'ultima rappresentazione, tenuta nello straordinario teatro costituita dall'aia dei Colonos di Villacaccia. A un certo punto della rappresentazione, quando si stavano avvicinando al paese le pericolose orde turchesche e la Morlacchi implorava la Madonna perché salvasse suo figlio, ed il dramma descrive l'innalzarsi di un vento provvidenziale che sbaraglia l'invasore, si è alzato improvvisamente un reale colpo di vento che ha fatto venire i brividi, ma non di freddo, a tutti i presenti perché sembrava fosse comandato e previsto dalla regia.
Pochi mesi dopo ho costretto tutta la famiglia ad assistere all'ultima rappresentazione, tenuta nello straordinario teatro costituita dall'aia dei Colonos di Villacaccia. A un certo punto della rappresentazione, quando si stavano avvicinando al paese le pericolose orde turchesche e la Morlacchi implorava la Madonna perché salvasse suo figlio, ed il dramma descrive l'innalzarsi di un vento provvidenziale che sbaraglia l'invasore, si è alzato improvvisamente un reale colpo di vento che ha fatto venire i brividi, ma non di freddo, a tutti i presenti perché sembrava fosse comandato e previsto dalla regia.
Emozione nuovamente indimenticata e indimenticabile.
Profezie
Qui è il caso di lasciare parlare la poesia Alì degli Occhi Azzurri:
Alì dagli Occhi Azzurri
uno dei tanti figli di figli,
scenderà da Algeri,
su navi a vela e a remi.
Saranno con lui migliaia di uomini
coi corpicini e gli occhi
di poveri cani dei padri
[...]
Sbarcheranno a Crotone o a Palmi,
a milioni, vestiti di stracci asiatici,
e di camicie americane.
Cos'altro può servire a dimostrazione che la poesia ha un livello di intelligenza superiore, capace di prevedere eventi epocali con 30 anni di anticipo?
Mi sa che Moravia aveva ragione.
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