Sono da un po' alla ricerca di un testo di storia argentina, che mi permetta di approfondire quanto letti nel breve libro di Marcos Novaro e gli spunti del manuale di Zanatta sull'America Latina.
Questo testo rischiava di essere molto approfondito su un singolo argomento, il rapporto tra chiesa e potere, ed in effetti alcune parti molto dettagliate sulle singole e variegate posizioni all'interno del vivace mondo cattolico argentino mi hanno indotto a più di un salto in avanti, ai capitoli successivi.
La tesi del volume è il ruolo assunto, a partire dal "revival cattolico" degli anni 20 del secolo scorso, dal mito della nazione cattolica. Divenne un assioma condiviso e quasi indiscusso che la nazione fosse "una entità spirituale ancor prima che una comunità politica, e che la sua unità e identità stessero racchiuse nella cattolicità". Tale mito fu l'arma con cui venne abbattuto lo stato liberale, e di cui si appropriò il peronismo, che pretendeva di esserne l'erede secolare. Spazzando via il pluralismo venne fatto valere un principio di unanimità, un mito egemonico per il quale la cattolicità del popolo dava sostanza alla cattolicità della nazione, e tutti la invocavano per legittimarsi (come unico suo interprete). Mentre l'Argentina diventava sempre più eterogenea nelle condizioni materiali e spirituali, mentre come in tutto il mondo si diffondevano le contrapposte ideologie, con le sfaccettature in cui vennero laggiù declinate, quel mito comprimeva la pluralità dentro l'unanimità ideale che esigeva. Ma esso, invece di cementare il paese come pretendeva di fare, era il canale per l'esplodere delle contrapposte violenze di chi, immedesimando la cattolicità nella propria versione dell'essere cattolico, escludeva automaticamente le diverse versioni come antinazionali. Cattolica era la rivoluzione, per i rivoluzionari, che per i militari era sovversione proprio perchè anticattolica.
Dopo aver dedicato il primo capitolo alla formazione di questo mito, alla sconfitta della via liberale alla modernità, molta attenzione viene dedicata nel secondo alle lacerazioni del mondo cattolico negli anni Sessanta, segnate dai contrasti ideologici che mescolandosi ai fermenti post-conciliari videro una stagione movimentista in cui spesso il confine della violenza politica venne superato finanche dai religiosi. Nel terzo capitolo si tratta della caotica fase del governo peronista dopo il ritorno di Peron, e nel quarto la buia fase del Proceso.
Zanatta offre una chiave interpretativa alla tragedia che vuole spiegare le ragioni di quel che accadde, senza necessariamente farlo in chiave moralista. Non "di chi è la colpa?", ma "come è potuto accadere?". I militari in effetti si sentivano crociati in difesa della cattolicità della nazione, e vedevano i nemici come soggetti privi di umanità, individui sacrificabili, nella visione organicista al bene della comunità, come il regime l'intendeva. Questo perchè ponendo a fondamento dell'ordine politico non il patto sociale e le istituzioni dello stato di diritto ma la fedeltà alla cattolicità della nazione, "idee, interessi e attori sociali se la disputarono tra loro, ognuno certo di esserne il vero depositario e che gli altri la stessero tradendo. E senza mediazioni possibili: l'identità nazionale era una". La lotta in nome di Dio e nazione dei contendenti opposti ma entrambi proclamatisi paladini della cattolicità della nazione divenne una "furente guerra di religione", facendola rotolare verso la tragedia.
Fu quando rimasero solo morti e rovine che ci si accorse che stato di diritto, democrazia e accettazione del pluralismo fossero una più saggia base su cui fondare la comunità politica.
La Chiesa di tutto ciò fu protagonista, ebbe tutti i ruoli e fu squassata nel profondo nella sua unità. Anche a Bergoglio vengono rimproverati silenzi, omissioni, implicita complicità, ponendosi da quel punto di vista moralista che Zanatta rigetta, proponendo al posto della visione manichea (comunque ultimo frutto avvelenato della violenza con cui i militari trassero le ultime conclusioni di un lungo percorso) la possibilità della comprensione.
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