lunedì 30 gennaio 2023

"Andrò a bere un bicchiere"

Ricca di molti spunti una conversazione con Roberto Spagnoli, alla presentazione del libro "Prediche antiproibizioniste".
Spagnoli cura da oltre trent'anni la rubrica "Diario antiproibizionista", ha raccolto le sue pillole in questo volume la cui presentazione è occasione di questo incontro con Edoardo Camurri.
L'incontro inizia con la lettura della sua pillola del 3 gennaio 2022, in cui dopo aver riassunto la genesi e le colpe del proibizionismo, si dichiara insoddisfatto dei progressi che pure l'antiproibizionismo "pragmatico" ha fatto portando a provvedimenti che hanno attenuato in molti paesi le più restrittive delle proibizioni: ritiene infatti che debba essere riaffermato l'argomento libertario, contro l'autoritarismo e nel nome della libertà di fare ogni cosa non nuoccia ad altri, anche drogarsi. 
Nel farlo trova l'occasione di citare il noto libello di Kant "Cos'è l'Illuminismo", risvegliando ricordi liceali.
Con belle parole Edoardo Camurri ricorda la sua militanza radicale ed il ruolo che hanno avuto nella sua vita ("Marco Pannella e il partito radicale sono state la miglior droga chi abbia mai preso") la scoperta della radio e Marco , che cita: "siamo diventati radicali perché avevamo delle solitudini insopprimibili, e una una sete di alternativa più radicale di altri".
Difficile riassumere e anche citare i ragionamenti (le citazioni del Rimbaud amato da Pannella, il ricordo di se adolescente che leggeva Baudelaire) che Camurri sviluppa intorno all'unicità della persona umana, all'impossibilità di definire uno stato ordinario di coscienza l'allontanarsi dal quale costituisce il pretesto della criminalizzazione dell'uso di sostanza che l'uomo ha sempre usato e sempre userà: "La questione antiproibizionista non è non può essere soltanto una questione banalmente, unicamente politica nel senso vieto con cui lei normalmente intendiamo la politica. Essere antiproibizionisti significa ragionare e lavorare su una visione complessa della realtà, su una visione dinamica della realtà, in perpetuo divenire della realtà stessa. Significa aprire quella porta e poi iniziare a muoversi all' interno del paesaggio che quella porta mostra. Attraversare una porta: perché dall'anti proibizionismo e dal nostro rapporto con le droghe, anche se son tutti i termini molto complicati, davvero abbiamo accesso alla complessità delle nostre vite, una complessità che è tale, che è meravigliosamente tale, che non c'è nessuna politica politicante che in grado di poterci inseguire al di là di quella porta; perché non c'è nessuna legge, non ci potrà essere nessuna norma capace di inseguire noi umani una volta varcata quella porta. Perchè è una porta che mobilità tutti gli aspetti della nostra vita, privata, individuale e collettiva, comunitaria."
Spagnoli torna alla denuncia del proibizionismo: "Ecco il proibizionismo ha creato dei mostri; allora uno dei mostri è la droga perché la droga non esiste, è un' invenzione del proibizionismo. Esistono centinaia di sostanze che hanno effetti diversi e i loro effetti dipendono dalle caratteristiche intrinseche dalla sostanza, dalla persona che le assume e dalla situazione in cui le assume;  la famosa questione del set and setting, che è stato una scoperta di una trentina d'anni fa, ed è una questione chiave per capire. L' altro mostro che ha creato il proibizionismo è la criminalità organizzata e qui però apriremmo tutta un altro questione. Poi c'è un altro mostro che ha creato il proibizionismo ed è il tossicodipendente. Guardate la parola: tossicodipendente, anzi il tossico; non esistono le persone che usano droghe, esiste il tossicodipendente; e la droga ti porta inevitabilmente alla tossicodipendenza e alla morte e la cannabis è la droga di passaggio; il latte no. Ma è sicuramente se andiamo a vedere chiunque ha magari neanche il morto di overdose al proponente ha consumato omogeneizzati o magari fumava"
Per un passaggio fondamentale Spagnoli cita Pannella, che si rivolgeva "ad una classe dirigente di donne e di uomini che da farisei ritengono di essere perbene; che ritengono di avere a cuore i destini dei loro figli e che invece sono loro che producono questa società, ma non per motivi psicologici. Con le loro leggi, la loro ignoranza, la loro paura, la loro incapacità di essere deputati la loro capacità di difendere il loro ordine creano morti e assassini e creano la premessa perché l'industria della morte dell'eroina, l' industria del suicidio, dell'assassinio sia quello che domina il loro tempo, per poter contrapporre il loro stato autoritario contro una società in preda, secondo loro, a manie omicide e suicide".  Viene in rilievo la lettura che viene data dei giovani devianti: i giovani devono essere cresciuti giovani, forti, determinati. Chi sono i giovani devianti, quelli che escono dall' ordine costituito, quelli che vogliono provare una sostanza diversa, una musica diversa che si vogliono riunire al di fuori dei circuiti standardizzati?  Di questo passo si passa da Woodstock, dalle autoriduzioni per vedere i concerti ad oggi che si pagano 120 euro per andare a sentire una rockstar. Allora che cosa che va bene ?va bene se stai nel sistema, va bene se ti sposi, fai bambini, se cresci dei giovani sani determinati? Tutto il resto è devianza? E allora qui ci colleghiamo al discorso sulla coscienza. Qual è l'ordine, le strade dritte ... devi andare dritto... dove? devi andare a sbattere contro i muri che stabilisce qualcuno per te? Oppure puoi varcare la soglia, svoltare l' angolo, cercare la strada nel labirinto. Perdersi anche, nel labirinto: perché questa è la cosa che fa spavento; la vita è una somma di contraddizioni. E' una ricerca continua e mi ricollego al discorso della della libertà come coscienza di sé come senso della responsabilità. Diventa anche poi l' uso consapevole; noi facciamo un uso consapevole di una di droghe pesanti come sono l' alcol e il tabacco allora io sono un consumatore di droghe pesanti perché mi piace l' alcol nel senso che mi piace il vino, mi piace la birra. E questo può avvenire con la cannabis può venire con la cocaina può venire con l' LSD; certo occorre conoscenza, e qui torniamo a Sapere Aude: occorre conoscenza occorre che tutte acquisisci cioè provare probabilmente un un fungo magico da solo la prima volta forse non è il caso forse è meglio che vieni accompagnato, forse capisci che è meglio di no. E' una questione di scelte personali e che cosa fa invece il sistema, il potere: ti devono spiegare come vivere. 
E mi sono perso il secondo tempo di Lecce Salernitana.

domenica 29 gennaio 2023

Premessa di ogni discussione seria

In un articolo non si sa se più inappuntabile o necessario, Gian Domenico Caiazza chiarisce tutto quanto è utile chiarire sulla faccenda dell'abuso delle intercettazioni, ricordando cosa prevede la Costituzione e che volerne rispettare i principi in materia è forse necessario portato di una cultura giuridica liberale e democratica.

Al di là del merito dell'intervento, fondamentale è l'abbrivio: "Premessa di ogni discussione seria: non è consentito a tutti di parlare di qualsiasi argomento. c'è un limite naturale che è dato dalla complessità e dalla specialità del tema. Non c'entra nulla la libera espressione delle opinioni".

Pragmatica la conclusione, la quale prende le mosse dall'evocazione della lettura della migliore dottrina processualpenalistica come viatico per una discussione seria. Per poi realizzare che i "polemisti d'accatto" che avvelenano il dibattito, "oltre a leggere quegli scritti, cosa che già non fanno, dovrebbero poi anche comprenderli. E qui l' impresa diventa disperata"


Storia d'amore e d'amicizia (e di giovinezza)

I calciatori, come anche gli uomini (e le donne) di spettacolo, assumono una notorietà tale che le fa partecipare alla vita delle persone, in maniera che le loro vicende personali trovano larga partecipazione. La scomparsa prematura di alcuni di loro è spesso vissuta con vera emozione, e il ricordo del defunto assume contorni quasi agiografici, una risonanza che sembra eccedere oltre che i reali meriti personali del defunto, l'importanza che uno sportivo per quanto bravo può avere in una società.

Fermo restando che trattasi di fenomeno innocuo, credo che un discorso diverso possa farsi nel caso di Gianluca Vialli.

Individuo tre aspetti.

I ricordi personali convergono, e anche facendo la tara al dippiù di benevolenza che naturalmente vi è nel rammentare degli scomparsi principalmente le qualità, tralasciando le negatività, nel descrivere una persona che si è fatta benvolere per il suo modo di affrontare le cose con spirito positivo, nel quale l'allegria non faceva venir meno la serietà e la determinazione, e sopra tutto la capacità di coinvolgere le persone che gli erano attorno. E' stato un esempio, in parole povere, che riesce facile indicare tra i non comuni modelli di comportamento. Guardare per credere le parole ricche di insegnamenti di cui è un esempio, non l'unico, la risposta data a Cattelan in un video su Netflix.

C'è poi quell'amicizia. Vialli e Mancini, un binomio che viene naturale pronunciare. Brera che pure aveva coniato Stradivialli li chiamava i dioscuri, anche loro come Castore e Polluce giovani belli e figli certamente di una divinità. Una coppia così non si era vista mai e mai più si vide: due atleti baciati dalla sorte nelle doti tecniche non comuni, capaci di essere così complementari dentro e fuori dal campo che era inevitabile immaginarli amici inseparabili, un po' invidiarli di quel rapporto di cui ognuno di noi vorrebbe l'eguale. Che poi il dramma della malattia ed i capricci del destino ci abbiano regalato di vederlo sublimato in quell'abbraccio a Wembley, mentre noi godevamo e loro piangevano pensando a gioie e dolori, sofferenza e rivincita, speranza e paura, ma nel segno della parola insieme, beh, questa sembra più letteratura che vita, forse è amore. 


C'è infine il ricordo di quella squadra, quell'avventura straordinaria raccontata ne "La bella stagione", libro e film, in quest'ultimo con l'arricchimento di un capitolo centrato sulla malattia di Luca e sulla vittoria dell'europeo. Per noi che avevamo 15 anni, per quelli che ne avevano magari 25 o 30, quella Doria vale il ricordo di una stagione irripetibile, la stessa in cui si potevano mangiare anche le fragole. Il ricordo di quel gruppo scanzonato di bucanieri, capace di farla in barba ai grandissimi e ricchissimi con cui si confrontavano fa inevitabilmente affiorare il ricordo di un calcio, di un mondo che non ci sono più. La giovinezza se ne è andata da un pezzo, forse è finita con quella punizione di Koeman. 


venerdì 27 gennaio 2023

Che sa il cuore

Certo il cuore, chi gli dà retta, ha sempre qualche cosa da dire su quel che sarà. Ma che sa il cuore? Appena un poco di quello che è già accaduto.

domenica 22 gennaio 2023

La strega e il capitano

di Leonardo Sciascia
Un romanzo breve, ma sarei tentato di definirlo un'inchiesta elevata al rango di letteratura dalla qualità della scrittura.
Sciascia ne narra l'origine nella postfazione, che è anche una dedica ad Alessandro Manzoni, regalandoci il particolare della ricezione da parte di amici e lettori di molte segnalazioni di casi di ingiustizia: prova di come fosse già in vita un faro (un lume).
La vicenda che ne "I promessi sposi" è citata in poche nascoste righe (e la malcapitata protagonista è mirabilmente descritta con un climax che delinea la sua esistenza, "povera infelice sventurata") viene riscoperta con filologica attenzione da Sciascia, anche correggendo l'errore delle due Caterina, e raccontata in 70 pagine in cui alla vicenda "giudiziaria" fa da sfondo, costituendone l'occasiobe l'amara riflessione su come l'amministrazione della giustizia diventa produttrice di ingiustizia (di violenza, di morte) quando viene influenzata dalle logiche del potere:
"Terrificante è sempre stata l’amministrazione della giustizia, e dovunque. Specialmente quando fedi, credenze, superstizioni, ragion di Stato o ragion di fazione la dominano o vi si insinuano.”
Suppongo che Sciascia sarebbe lieto di conoscere che quanto questa frase esprime è tra le cose che maggiormente resta, ad un suo lettore, dalla lettura delle sue opere: purtroppo avendolo già visto e sperimentato in vicende vicine e lontane, ritrovandone quasi ogni giorno exemplum nella cronaca giudiziaria.
"È potuto accadere. E crediamo che accada", ci dice Sciascia, poco dopo aver descritto la possibilità che elementi di prova non utili o contraddittori con la tesi d'accusa siano stati espunti dal processo (ohibò, ma dove l'abbiamo sentita questa... ah già stamattina alla rassegna stampa...).
Accade anche che si parli di tortura, non solo in Iran ma anche in Italia o in Belgio, quando la custodia cautelare viene distolta dalle sue giustificazioni e usata per fare parlare gli indagati. Il riferimento nel libro è alle pagine di Verri; ma con la consapevolezza che queste cose erano conosciute anche prima  "Ma la tortura non è un mezzo per iscoprire la verità, ma è un invito ad accusarsi reo ugualmente il reo che l'innocente; onde è un mezzo per confondere la verità, non mai per iscoprirla”: e questo i giudici lo sapevano anche allora, si sapeva anche da prima che Pietro Verri scrivesse le sue Osservazioni sulla tortura, si è saputo da sempre. Nella mente e nel cuore, in ogni tempo e in ogni luogo, ogni uomo che avesse mente e cuore l'ha saputo: e non pochi tentarono di comunicarlo, di avvertirne coloro che scarsa mente e poco cuore avevano"
Cuore e mente, espressione di una razionalità non meno rara che costante nella storia dell'uomo, anche prima di diventarne protagonista nella stagione tanto cara a Sciascia: "E poi, non vogliamo credere che in tutta Milano non ci fosse un solo giureconsulto sufficientemente folle da accorrere a quella difesa. Sufficientemente folle, diciamo, per dire umano, generoso, illuminato dall'idea del diritto; e partecipe di quella universale ragione che non nel secolo successivo sarà inventata (anche se in quel secolo conclamata e acclamata), ma perennemente è corsa, vena più o meno affiorante, anche nel tempo più distante e oscuro. Di pochi, d'accordo: ma viva"
Purtroppo altra costante e quella ragion di Stato di cui si comprende l'origine: "Si voleva dare un'immagine della giustizia terrificante per gli adepti, che si credeva ci fossero, o che comunque era utile credere che ci fossero, alla stregoneria; e soddisfacente, quasi una festa in cui non si era badato a spese, per il popolo. Il supplizio cui Caterina era destinata obbediva insomma alla ragion di governo, faceva parte del malgoverno nel dar l'apparenza che il governo fosse invece buono, vigile, provvido."

In una mirabile pagina il rapporto tra le antiche credenze e la Chiesa viene poi descritto nella sua "perversa e dolorosa circolarità": "Si era stabilita, e specialmente in quel secolo, una funesta circolarità: antiche fantasie e leggende, antiche meraviglie e paure che erano credenze del mondo popolare, per la Chiesa cattolica a un certo punto si configurarono come un pericolo, come elementi di una religione del male che appunto a quella cattolica - del bene - si opponesse. E quell'antico favoleggiare si configurò, fu configurato, come pericolo: per l'ovvia ed eterna ragione che ogni tirannia ha bisogno di crearsene uno, di indicarlo, di accusarlo di tutti quegli effetti che invece essa stessa produce di ingiustizia, di miseria, d'infelicità tra gli assoggettati. E certo quelle credenze avevano diffusione: ma a misura in cui ingiustizia, miseria e infelicità erano dal sistema dominante in maggiore quantità e con accelerazione prodotte. Come a dire: provata la religione del bene, che tanti mali ci apporta, proviamo se ci va meglio quella del male. Che può sembrare battuta banale o grossolana, ma è tutt'altro che priva di verità: a rendere quel che accadeva a livello di psicologia individuale, o di ristrette collettività. Caterina Medici, infatti, si rivolge al diavolo nei momenti di grande stanchezza e disperazione, quando non ne può più. Lo invoca a che la porti via, nel suo regno che irride a quell'altro cui pure lei crede ma di cui non trova un segno, una risposta, un barlume di grazia nella dolorosa sua vita. Colte nella tradizione popolare e nel farneticare di alcuni, queste credenze venivano da dotti religiosi accuratamente catalogate e descritte, passavano ai predicatori, ritornavano al popolo autenticate, certificate: e ancor più così si diffondevano. Una perversa e dolorosa circolarità".


giovedì 19 gennaio 2023

L'umanesimo che manca

Ancora grazie alla radio scopro un interessante intervento di Andrea Carandini sul Corriere.
Il noto archeologo, intellettuale tra i più illuminati su cui possiamo contare, prende le mosse da un duplice spunto: una risalente constatazione di Moravia per il quale "A Roma non c'è una società borghese" e una recente intervista a Giuseppe De Rita, nella quale il sociologo attribuisce l'immobilismo del paese alla generale mediocrità, figlia della mancanza di una vera classe dirigente, mai nata da una società che è rimasta piccolo borghese senza mai fare nella sua parte migliore il salto di qualità.
"L’alta cultura umanistica si è ritirata sempre più, prima dalle aspirazioni del popolo, poi dai desideri dei piccolo-borghesi e infine anche dallo stesso ceto medio, distratto, godereccio e senza gravitas... La mediocritas è buona se è aurea, se cioè è l’anticamera dalla quale s’intravede, nella camera, qualche pagliuzza d’oro; altrimenti è generatrice di decadenza. Ci vorrebbe una rivolta dei giovani — salvando i beni e scartando i mali del 1968 — ancora in grado di fare il seguente ragionamento: la cultura umanistica è sì inutile ma serve a formare la mente che pensa seguendo principi logici e che con essi tempera le emozioni. Invece noi pensiamo male attraverso una lingua degradata, che molti non sanno scrivere e comprendere… Il momento dell’utile deve venire, ma in un secondo momento, proprio come l’inutilità umanistica deve essere preceduta da quella dei giochi… Il problema è che la decadenza non è soltanto fuori di noi, nell’ambiente indissolubilmente connesso al paesaggio; sta innanzitutto nella mente, che ha subìto oramai notevoli e irreparabili danni cognitivi."
Intervistato da De Leo, alla radio Carandini declina ultimamente la dicotomia tra conoscenza pratica e cultura:  "o si è colti o non si è pratici ossia si è pratici e non si è colti: molto difficile trovare le due cose insieme. E quindi il Governo a mio avviso ha bisogno di cultura ma ha bisogno anche di saper fare: nelle classi dirigenti di un tempo che erano sempre ovviamente connesse ai ceti privilegiati, esse avevano delle proprietà da amministrare".
Richiamando con giusto orgoglio la sua esperienza da Presidente del FAI Carandini nota che spesso "l' elemento che più manca è il sapere trasformare le idee in fatti". Non manca la conoscenza specialistica, quello che manca è ciò che ama chiamare con la parola inglese "background": "Una casa non può essere fatta di solo di facciata, non può essere fatta di solo di intimità ma ci vuole un retroterra, un giardinetto anche modesto, dietro la casa, il background, che dà respiro alla casa, che dà sfondo, che dà contesto, che dà paesaggio. Ecco questo background è la cosa che più manca, perm per due ragioni.
Per il crollo, anzi la distruzione della grande scuola fondata cento anni fa da Gentile, che ovviamente oggi sarebbe desueta ma che ha svolto una straordinaria funzione ed è stata solo demolita, e dall' altra la specializzazione cioè il fatto che oggi è molto difficile essere bravi in un campo ma nello stesso tempo poter inserire in un contesto il proprio sapere un po' più ampio".
Come già nell'articolo Carandini ha chiare le cause: "da noi e quindi però il problema la scomparsa di un autentico liberalismo riformatore. Questo è stato un veramente un trauma dovuto alle due grandi chiese... noi pensiamo ancora attraverso le categorie del Novecento che non hanno più molto senso oggi. Ma il il liberalismo è un qualche cosa che bisognerebbe riscoprire ab imis fundamentis e poi naturalmente adeguarlo integrarlo renderlo più sociale; ma questa è ignoranza la distruzione della scuola è dovuta al fatto che delle due componenti che formano una liberaldemocrazia la democrazia è stata in qualche senso perseguita... male naturalmente perché poi le diseguaglianze sono straordinariamente aumentate quindi il risultato è stato pessimo... ma hanno cercato di perseguirla malamente ma il merito lo sforzo la formazione, la Paideia, la Bildgung sono andate distrutte e con la Bildung si è distrutta anche la capacità di pensare"
Poi il passaggio chiave: "perché per pensare bisogna saper parlare, bisogna conoscerne l' analisi logica, la grammatica, è fondamentale conoscere i meccanismi di tutto: i meccanismi della lingua, i meccanismi della musica, i meccanismi dell' arte; se non si conoscono questi meccanismi il pensiero si impoverisce per cui le le nuove generazioni nell' ultimo trentennio almeno hanno avuto un danno... io lo chiamo un danno cognitivo.
I due elementi del declino sono quindi la morte dell' alta cultura umanistica e la mancanza della trasformazione degli italiani da sudditi in cittadini: "perché una democrazia non può non avere una classe dirigente"
Ancora "Per avere l'intellettualità che serve c'è una base fondamentale che sono le filologie specifiche del proprio campo... a questo bisogna aggiungere la tecnologia. Però poi al di là di questi elementi più tecnologici e più metodologici e di sapere specifico occorre potere immergere il tutto questo in una bacinella, almeno se non in un mare".
Ce la faremo? Carandini si preoccupa non per sè ma per le nuove generazioni: "Vorrei dire ai giovani, per incoraggiarli, cercate di essere minimamente lieti perché nella tristezza è molto più difficile lavorare. Però certo che i giovani vi si trovano di fronte a una sfida immensa e io gli dico: non vi spaventate! Studiate! Lavorate! Perfezionatevi! Non perdete tempo coi telefonini che sono degli grandi seduttori, semmai perdete dentro con le donne o se vi piacciono gli uomini o se vi piacciono gli alberi! Però perdete tempo con la vita! Ecco beh non solo con la tecnologia che di cui ho peraltro fatto una lode"

venerdì 13 gennaio 2023

Il Gattopardo

di Giuseppe Tomasi di Lampedusa
Inauguro (a Dio piacendo) una stagione di rilettura dei grandi romanzi con uno tra i miei preferiti in assoluto.
A farmi accostare a quest'opera fu il professor Bellanti, che ci fece leggere il colloquio di Don Fabrizio con Chevalley, e poi ci raccontò, lui di Palma di Montechiaro, della sua frequentazione con Tomasi e della vita e dei vezzi della grande aristocrazia siciliana, di cui recava memoria nella lunga unghia all'anulare.
Giganteggia Don Fabrizio, di una stazza che è anche morale e intellettuale. 
In un contorno di miseria morale, nella quale sono accomunati in eguale misura diversissimi personaggi come il re Borbone, l'uomo d'onore cognato di Don Pirrone, don Calogero Sedara e le zitelle Salina, don Fabrizio è l'unico in grado di comprendere e concettualizzare la fine del suo mondo: "Noi fummo i Gattopardi, i Leoni; quelli che ci sostituiranno saranno gli sciacalletti, le iene; e tutti quanti Gattopardi, sciacalli e pecore continueremo a crederci il sale della terra".
Al declino di un'epoca non sa, non vuole opporsi, legato "se non dai vincoli dell'affetto, da quelli della decenza" al vecchio regime, con l'ancora di salvataggio di pochi momenti di felicità tratti da soddisfazioni per lo più intellettuali (il, singolare davvero, amore per la matematica e l'astronomia) ovvero sensuali; tanto pochi da poter essere conteggiati, in mesi di vita effettiva, nel visionario calcolo effettuato in punto di morte.
Il Gattopardo è lui, ma non è partecipe del gattopardismo, l'attitudine (molto) italica e (moltissimo) siciliana), che Tomasi non ha certo inventato, ma ha reso immortale. E' Tancredi, infatti, sulle prime stupendolo (per l'intelligenza dimostrata), a pronunciare le famose parole: "Se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi": lui uomo nuovo, al pari del suocero, capace di interpretare i tempi che cambiano seppellendo quel che nei vecchi c'era che li rendeva rispettabili, ammantati di una giustizia che pareva legata all'esistenza di un ordine immutabile.
Il livello di comprensione dei passaggi storici che ci viene offerto sfiora il sublime, come solo la letteratura sa fare, e si compendia, oltre che in una serie di dialoghi tra don Fabrizio e rispettivamente Tancredi,  Don Pirrone ed il conte Pallavicino, nei due momenti del confronto con Chevalley e della tirata di Ciccio Tumeo sulla falsificazione dei risultati del plebiscito.
Accanto al canto della fine di un'epoca (il declino del prestigio del Principe inizia quando, nel ricevimento di bentrovato a Donnafugata, si dimostra insolitamente cordiale con i suoi ospiti) trova spazio la riflessione amara e lirica di Don Fabrizio sulla vita, insieme alle molteplici pennellate sul carattere locale, affidate qua e là a commenti ora ironici, ora caustici.
Chissà com'era, nella mente dell'autore, Don Fabrizio: nella nostra c'è sempre Burt Lancaster, che si libra nel valzer con una Cardinale bella da mozzare il fiato (del resto "le sua lenzuola devono avere il profumo del paradiso").

domenica 8 gennaio 2023

Fiore di roccia

 di Ilaria Tuti


Importante prova di Ilaria Tuti, in cui abbandona momentaneamente il thriller per rievocare una vicenda storica poco nota fuori dai nostri confini regionali, quella delle portatrici carniche.

Fatti storici reali vengono impastati con l'immedesimazione nella sofferenza di donne e uomini alle prese con la vera, dura, misera realtà della guerra (e della vita), con la consueta attenzione alla descrizione dei luoghi e della natura (si riconosce sempre dello studio), chiaro indice di vero amore per questa terra.

Tra i molti, forse non eccezionali ma autentici, meriti di questo libro, accanto alla valorizzazione di quella dolorosa epopea e del ruolo delle donne nella Grande Guerra, di un nuovo tassello di quell'affresco del Friuli che sta componendo la Tuti, il principale è la proposizione di un punto di vista autenticamente ed esclusivamente femminile.

"Ho pensato che da sempre siamo abituate a essere definite attraverso il bisogno di qualcun altro"
Oltre a ricordare una vicenda in cui le donne carniche diedero una grande prova di coraggio, forza e resistenza (con valore anche militare), Tuti fa di più, grazie all'utilizzo di un io narrante femminile molto incline a descrivere pensieri, sensazioni e sentimenti: ci mostra cosa una donna veramente prova di fronte alla tragedia, alla guerra, alla vita, fino alla scelta finale("Ho scelto di essere libera"). Più potente, più vero ed efficace di tutti quei discorsi (che pure difendo) sulla scrittura di genere, come sa essere solo la letteratura.

D'accordo, non è Tolstoj. Non so se occorreva scomodare Tina o se era necessario il ritorno nel 1976. Alcuni riferimenti come quello ai fusilaz o alla comunanza dei sentimenti tra i soldati dei due fronti meritavano forse maggiore approfondimento. Il tanto amore (per il Friuli, per le donne, per gli uomini: per l'umanità) che c'è in queste pagine, però, ci basta e avanza.



mercoledì 4 gennaio 2023

L' Ucraina e Putin tra storia e ideologia

 di Andrea Graziosi

Non amo gli instant book, ma il nome di Andrea Graziosi, di cui ho sullo scaffale la monumentale storia dell'Unione sovietica,  mi è sembrato una garanzia e mi sono lasciato tentare da questo libro.

Non si tratta di un'opera organica, ma di una raccolta di materiali che l'autore ha predisposto per conferenze e opere precedenti, integrata da riflessioni che le raccordano ai recenti avvenimenti. Tuttavia il contributo di intelligenza, illustrazione dei fatti storici, sintesi di fenomeni epocali che esso offre è veramente notevole.

Graziosi parla soprattutto di una divergenza, tra la Ucraina e la Russia uscite dal 1991 in condizioni simili, e scopertesi paesi molto diversi trentanni dopo, per l'effetto dell'evoluzione di due nazionalismi entrambi non etnonazionali.

L'Ucraina comunità plurale e aperta, in cui la cittadinanza non deriva dall'etnia nè dalla lingua parlata, per effetto delle scelte operate nel 1991 e rafforzate da un progressivo volgersi a Occidente; la Russia, orientatasi verso un ruolo guida di un mondo russo (anch'esso non etnico), ritenendosi (senza la forza di farlo) investita del ruolo di cambiare le gerarchie globali a fronte del preteso (e per molti versi reale)  declino dell'Occidente, e in credito per una reputata, anche se non vera, umiliazione degli anni novanta.

L'autore individua nella seconda parte del libro il peso dell'eredità sovietica, che declina in quattro capitoli (prospettive comparative, eredità imperiale, il peso delle idee e della mentalità, le conseguenze "materiali" della peculiare modernità sovietica), non nascondendone il grande impatto, che però poteva sortire esiti diversi in conseguenza di diverse scelte del gruppo dirigente.

L'eredità sovietica parimenti partecipa, in senso positivo, nella evoluzione non etnocentrica dello stato ucraino, ove la presenza del russo come lingua veicolare ha contribuito a eliminare una possibile causa di conflitti, ed ha comunque consentito una transizione pacifica grazie al contributo delle scelte del gruppo dirigente della perestroika.

Gli aspetti su cui Graziosi fornisce preziose chiarificazioni sono molti, dai motivi della popolarità di Putin, al significato della "denazificazione", al carattere involontariamente respingente di una Europa che oggi non è solo una comunità storica ma una istituzione con regole formali di accesso, a molti altri.

Nella parte finale le conclusioni si elevano ad un livello più alto, richiamando altre divergenze, quella tra Russia ed Europa, tra la nuova Europa (senza Londra e Mosca!) e gli Stati uniti, richiamando la necessità di adattare gli schemi mentali ad una realtà in cui l'Occidente, pur avendo vissuto un ultimo sussulto di esistenza, ha perso il proprio ruolo centrale nel mondo, a favore di un equilibrio in formazione i cui poli saranno certamente Usa e Cina (e non la Russia), forse l'India e l'Europa.

E' un sollievo vedere quali intelligenze siano presenti nel nostro paese; pari all'interrogativo che pone il non essere certi che siano presenti non tanto in televisione (mai visto il professor Graziosi, ma forse non è importante), quanto a supporto della classe dirigente che prende le decisioni fondamentali per il nostro futuro.