di Annalisa Cuzzocrea
Il saggio del momento, scritto dalla (brava) giornalista del momento. Vi ho trovato alcune idee che ho maturato da tempo; altre che mi hanno portato a nuove riflessioni.
Non sarà "Figli dell'uomo "di Ida Magli (opera dura ed utile a ricordare che, nella storia, di infanzia si è fatta vera e letterale strage), ma parla di noi, questo breve e partecipato libro.
Le "cronache" (capitoli in cui vengono raccontate storie di infanzia, ovvero incontrate persone che se ne occupano professionalmente) sono dei tempi della pandemia: ma il tema della scarsa considerazione dell'infanzia non è certo dell'ultimo anno; in cui peraltro il problema delle scuole chiuse era visto soprattutto dal punto di vista dei genitori costretti a casa anche loro, e non del deficit formativo, educativo, sociale dei ragazzi, chiaro esempio di come proceda la discussione pubblica su questo argomento.
Il concetto di base è che mentre i figli sono diventati per le famiglie un iperinvestimento, come non mai al centro dell'attenzione, la dimensione pubblica li ha abbandonati, non occupandosene sotto forma di strutture, coinvolgimento, programmi, e al tempi stesso è venuta meno la "comunità educante", quel sistema in cui un bambino poteva andare a scuola a piedi da solo perchè sarebbe stato vegliato dagli occhi dei vicini e dei negozianti della via, ed in cui era possibile e giusto rimprovare un bambino sconosciuto che faceva una marachella ("ama i figli degli altri come fossero i tuoi").
Come genitori siamo impreparati. Lo dico da sempre io: si fa un corso per guidare, per nuotare, per cucinare, ma per la cosa più importante, essere genitori, ci sentiamo tutti già pronti (fondandoci sul "tirocinio" fatto come figli).
E quando accade il dramma dei bambini dimenticati sul seggiolini cosa facciamo, invece di chiederci come mai in nostri tempi di vita non li contemplano, che facciamo? Mettiamo l'allarme (sulla "legge Meloni" come specchio dei tempi, sotto più punti di vista, ne avrei di cose da dire).
Iperprotettivi, "ci preoccupiamo dei nostri figli ma non ce ne occupiamo"; ricevono solo prescrizioni, la richiesta di stare fermi e buoni vicino alla mamma. Così non rischiano mai nulla, "non conoscono le ginocchia sbucciate". Esemplare il tema dell'accompagnamento a scuola: "io stessa ho sempre accompagnato i miei figli a scuola e mi rendo conto che proprio la mia generazione ha danneggiato moltissimo la loro autonomia"
Colpa anche della pretesa di avere delle "supermamme": forse le donne hanno diritto di avere un'esistenza normale, di affrontare i problemi che incontrano senza sentirsi inadeguate, senza esser "atlete della vita". E anche, però, di non dover "fare della fatica un manifesto".
Certo, però purtroppo (eccheggiano molteplici discussioni familiari), "la nostra è la prima generazione di genitori che vivono questo ruolo come una performance".
Critichiamo i ragazzi perchè non si staccano dal cellulare (e noi?), perchè non leggono, non si informano, ma forse davvero non li conosciamo, non sappiamo cosa vogliono e pensano, li confrontiamo non con il futuro che li aspetta ma con quello che avevamo in mente per loro e non siamo capaci di realizzare.
Ne esce male, la mia generazione, e vale poco dare la colpa allo stato, al sistema (al più siamo noi che "abbiamo smesso di pensare collettivamente".
Siamo noi, che stiamo rovinando i nostri figli.
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