domenica 11 aprile 2021

Into the wild

di Sean Penn

Di film non ho mai parlato, qui.
Non sono propriamente un cinefilo, del resto, nè posso dire di capirne quanto servirebbe a discettarne con cognizione di causa.
Ultimamente, aiutato dalla straripante offerta delle varie piattaforme, ho preso a vederne di più, anche nel tentativo di impiegare parte del tempo che i ragazzi passano davanti ad uno schermo in un'occupazione che possa lasciar loro qualcosa. Ho fatto anche una lista di opere che a mio avviso devono vedere, cosa a cui si prestano di buon grado. 
Questo di Sean Penn non lo conoscevo (ci sono arrivato per vie traverse partendo da una traccia trovata nel libro di Cognetti, il cui protagonista leggeva Krakauer), e mi ha vivamente impressionato, lasciandomi nei giorni successivi quel pensiero fisso, al protagonista e alla sua storia, come solo certi "capolavori del cuore" (cioè quei libri, spettacoli o film che ti emozionano, al di là del loro valore oggettivo, magari per dei pensieri che solo tu vi hai collegato). 
E' un vero peccato non aver visto questo film in una sala cinematografica, in cui apprezzare le fantastiche riprese dell'Alaska (ma anche dell'America profonda), in cui, forse, lasciare qualche lacrima nei momenti in cui la straordinaria colonna sonora accompagna il viaggio di Chris Mccandless verso il centro del suo cuore.
I temi si accavallano, mentre Chris sperimenta la ribellione ai genitori, a una società che non sente sua perchè falsa e lontana da quella verità che insegue, cercandola nei libri, nella bellezza, nella natura, in una vita in cui non vi sia niente se non l'essenziale. Conosce l'amicizia, prova la confortante fatica di un lavoro a contatto con la natura, sfugge alla tentazione di tornare nel mondo che ha lasciato (rifiutando l'immagine dell'altro Chris che poteva essere), trova quello che potrebbe essere un vero padre, ma in tutti i momenti in cui potrebbe fermarsi, restare in un posto in cui essere comunque se stesso, decide di ripartire per il suo chiodo fisso: l'Alaska.
E' diventato un "mito", come si dice oggi, rendendo il suo "Magic Bus" una meta di pericolose escursioni, al punto che hanno dovuto rimuoverlo.
Krakauer e dopo di lui Penn hanno colto nella sua storia motivo di riflessione su altri temi, come "il fascino che i territori selvaggi suscitano nell'immaginario americano, l’attrattiva che le attività ad alto rischio esercitano su certi ragazzi, il complicato e delicato legame che unisce padri e figli". Aggiungerei  la letteratura come sola chiave di comprensione della realtà (anche alla fine, quanto Chris appunta da Pasternak "la felicità è vera solo quando è condivisa"), il rapporto con la natura che quando diventa sfida presenta il suo conto.
Penn (con Hirsch, Vedder, Holbrook, tutti bravissimi), in particolare l'ha fatto realizzando un film bello, struggente come la storia che racconta, pieno di cura e di amore nei dettagli, che ti entra dentro, ed è normale che sia diventato un cult. 
Perchè, alla fine, parla di noi, anche di noi che a Chris non assomigliamo, che non abbiamo la sensibilità nè il coraggio (nè il bisogno?) per fare come lui; ma che come lui abbiamo nel cuore la ricerca di quella persona cui vorremmo assomigliare; la ricerca della felicità. 

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