Diceva Pannella che dove c'è strage di diritto, c'è strage di popoli.
La formula esprimeva il contributo che poteva (può? potrà?) dare l'affermarsi dello stato di diritto, sul piano delle relazioni tra i popoli e su quello dei diritti degli individui, alla libertà e alla vita stessa delle persone.
Forse solo io intravedo un collegamento tra fenomeni che agiscono su piani completamenti diversi, la crisi dell'ordine internazionale liberale fondato sul diritto internazionale e sul multilateralismo e la progressiva messa in discussione dei principi del diritto penale liberale da parte del populismo giudiziario.
Il ciclone della seconda presidenza Trump ha spazzato via, insieme alle illusorie certezze di centralità del "vecchio Occidente", principi, prassi e comportamenti che disciplinavano i rapporti tra stati secondo regole, talvolta criticabili e forse anche tali da favorire il permanere di uno status quo, ma volte ad assicurare una situazione di pace, convivenza civile, risoluzione pacifica delle controversie.
La legge del più forte, il possesso delle "carte", le tattiche di negoziazione più spregiudicate sembrano essere i fattori che determinano ora lo scoppio e la fine di conflitti, decisioni unilaterali e financo interventi militari in paesi esteri. La promozione di questa tendenza da parte della potenza che era stata il faro, l'ispiratore e l'indubbio centro (anche di potere) del vecchio ordine liberale, che a noi malaccorti sembrava essere l'artefice di decenni di pace, benessere e libertà (almeno nostra, ovviamente) lascia attoniti e sconcertati rispetto alle possibile conseguenze, che ben si possono prefigurare se uno degli effetti che si sono prodotti è la corsa al riarmo.
Di certo non par vero di poter misurarsi con il nuovo paradigma ai molti dittatori e autocrati che reggono le sorti di paesi di grande importanza.
A me, poverino, non par vero che possano esservi loro epigoni e fan tra di noi. Eppure eppure. Mi chiedo, ma cosa devo pensare di chi vorrebbe vivere nel mondo che ha in mente Putin, se non che ha l'animo del servo, che vuole essere un servo?
Forse la libertà, che tanto amiamo ma che tanto diamo per scontata, non piace veramente a tutti così tanto.
Nel frattempo, nella giornata contro la violenza sulle donne, il parlamento italiano approva all'unanimità il reato di femminicidio.
Ne parlo con attenzione che misuro per la gravità del fenomeno che la nuova norma vuole contrastare.
Ma, santoddio, nemmeno i morti sono tutti uguali? Il barbone ucciso per gioco, il bambino ucciso a coltellate dalla madre, valgono di meno di una fidanzata uccisa?
Immediata sensibilità a livello della casalinga di Voghera soccorre a far comprendere l'assurda sperequazione che viene generata, e trascuro di soffermarmi sulle evidenti incostituzionalità della norma.
Eppure non un parlamentare che si sia alzato per obbiettare, per spiegare, per dire che le migliori intenzioni non possono giustificare il tradimento del principio di eguaglianza, persino lui sacrificato all'altare della norma simbolo.
E poi la pena, la pena che deve essere alta, perchè il colpevole deve soffrire e magari buttiamo la chiave. Che orrore, questo desiderio di una pena che lasci il reo in carcere il più possibile, e se la sentenza non è abbastanza rigida dagli al giudice.
La crisi del diritto penale liberale e il dilagare del panpenalismo evidenziano una serie di tendenze il cui unico denominatore comune è l'evidente procedere verso un sistema in cui avremo minore libertà.
Incapacità della politica di affrontare i problemi che vengono delegati alla repressione giudiziaria; strumentalizzazione del sistema penale con norme manifesto ma di difficile applicazione; risposta all'insicurezza (talora reale e talora indotta) illusoriamente affidata a pene più alte ed esemplari, con oblio dei principi costituzionali della rieducazione della pena e del giusto processo.
Qui non c'è l'agire del più forte infischiandosene delle regole, distruggendo il sistema fondato sulle regole; anzi formalmente si introduce una nuovo reato e si affida al diritto (penale) il compito di contrastare un grave fenomeno, compito che toccherebbe alla politica. Ma il diritto penale, da strumento di ultima istanza, diventa mezzo di affermazione di valori e identità, con conseguente perdita di razionalità e sistematicità.
Che sfacelo, e non parlo degli aspetti tecnici evidenti a chi il diritto penale lo conosce solo superficialmente, ma degli schemi concettuali e del modo di pensare di chi costantemente agisce con simili provvedimenti, e soprattutto del fatto che, immagino (e spero) per ragioni di consenso, non si sia trovato un solo parlamentare che abbia trovato il modo di richiamare il rispetto della Costituzione, un giornalista che propagandi il dubbio che pure, tra persone come me con cui ho modo di parlare, esiste.
Non la vedo bene, cara libertà.
Di seguito il testo sull'argomento composto da Copilot:
Domanda:
componi un testo che abbia ad oggetto la crisi dello stato di diritto tanto nel contesto internazionale quanto in quello interno. parla dell'affermarsi della legge del più forte nel diritto internazionale, e della correlata crisi dell'ordine liberale. Collega l'esposizione alla crisi nel diritto interno dei principi del diritto penale liberale ed il dilagare del panpenalismo, prendendo spunto dall'introduzione del reato di femminicidio e delle correlate critiche che sono state avanzate dalla dottrina penalistica
Ecco un testo che affronta i punti richiesti:
La crisi dello Stato di diritto: tra contesto internazionale e interno
Negli ultimi decenni, lo Stato di diritto – pilastro dell’ordine giuridico moderno – attraversa una fase di profonda crisi, tanto sul piano internazionale quanto su quello interno. Tale crisi si manifesta attraverso fenomeni che mettono in discussione i principi di legalità, uguaglianza e limitazione del potere, sostituendoli con logiche di forza e di emergenza.
1. Il contesto internazionale: la legge del più forte e il declino dell’ordine liberale
Il diritto internazionale, tradizionalmente fondato sul principio di sovranità e sul rispetto delle norme pattizie, è oggi segnato dall’affermarsi della legge del più forte. Le grandi potenze, anziché sottostare a regole comuni, tendono a imporre unilateralmente i propri interessi, ricorrendo a strumenti economici, militari e tecnologici che svuotano di efficacia le istituzioni multilaterali.
La crisi dell’ordine liberale, nato nel secondo dopoguerra, si traduce in:
- erosione del multilateralismo, con il progressivo indebolimento di ONU e organismi internazionali;
- strumentalizzazione del diritto internazionale, piegato a giustificare interventi selettivi;
- ritorno alla geopolitica di potenza, che sostituisce la logica cooperativa con quella competitiva.
In questo scenario, il diritto perde la sua funzione di limite e si trasforma in un mezzo di legittimazione del potere, minando la fiducia nella normatività globale.
2. Il contesto interno: crisi del diritto penale liberale e dilagare del panpenalismo
Parallelamente, sul piano interno si assiste alla crisi dei principi del diritto penale liberale, fondato su legalità, offensività, proporzionalità e extrema ratio. La crescente domanda di sicurezza e giustizia simbolica ha favorito il fenomeno del panpenalismo, ossia la tendenza a risolvere problemi sociali attraverso la creazione di nuovi reati e l’inasprimento delle pene.
Un esempio emblematico è l’introduzione del reato di femminicidio. Sebbene animato da finalità di tutela delle donne contro la violenza di genere, esso ha suscitato critiche nella dottrina penalistica:
- violazione del principio di uguaglianza, poiché introduce una tutela differenziata basata sul genere;
- rischio di diritto penale simbolico, che privilegia la risposta emotiva rispetto all’efficacia preventiva;
- erosione del principio di frammentarietà, ampliando il catalogo dei reati in modo non sempre coerente con la ratio del sistema.
Queste scelte legislative riflettono una trasformazione culturale: il diritto penale, da strumento di ultima istanza, diventa mezzo di affermazione di valori e identità, con conseguente perdita di razionalità e sistematicità.
3. Un filo rosso: dalla forza internazionale alla forza interna
Il nesso tra i due fenomeni è evidente: tanto nel contesto globale quanto in quello nazionale, il diritto tende a cedere alla pressione della forza – militare, economica o mediatica – e dell’emergenza. La crisi dello Stato di diritto non è solo giuridica, ma politica e culturale: segna il passaggio da un paradigma normativo a uno pragmatico, dove la regola è subordinata alla contingenza.
Conclusione
Contrastare questa deriva richiede un duplice sforzo: riaffermare il primato delle regole nel sistema internazionale e recuperare, sul piano interno, la razionalità del diritto penale liberale, evitando che il panpenalismo diventi la risposta ordinaria alle sfide sociali. Solo così sarà possibile preservare la funzione garantista del diritto e la sua capacità di limitare il potere.
Vuoi che amplii il testo con riferimenti dottrinali e citazioni di autori (ad esempio Ferrajoli, Zaffaroni, o altri penalisti) oppure che lo trasformi in un saggio argomentativo con introduzione, tesi e conclusione più marcate?