domenica 30 novembre 2025

Brontosauri. La società post-biblica e quelli che resistono

Può una recensione di un trattato di diritto penale, o meglio del suo primo volume di oltre 1200 pagine, sollevare riflessioni sulla direzione che sta prendendo la società, sui massimi sistemi?

Mi sono imbattuto in un interessante sito sistemapenale.it, contenente molti contributi di carattere tecnico assieme ad altri di carattere generale sull'argomento che gli dà il nome, ed anche l'intervento di un professore di nome Luis Greco nell'ambito della presentazione del trattato "Diritto penale" di Massimo Donini, di cui è uscito il primo volume.
Greco si chiede quale senso possa avere un'opera del tipo di cui decanta i meriti nell'attuale società. La riflessione si connette alla caratterizzazione del nostro mondo, rispetto a quella in cui "L’egemonia e la nobiltà del libro erano, tuttavia, un dato incontestabile, qualcosa che nessuna volgarizzazione «guttenberghiana» era riuscita a mettere in discussione."

Riporto per intero il cuore del ragionamento (sottolineature mie):

Ebbene: alle molteplici proposte dei sociologi per caratterizzare il presente – società dell’informazione o della rete, società della stanchezza o del «burnout», società dell’accelerazione – aggiungerò l’unica che, nel nostro incontro, mi sembra davvero contare: la società post-biblica. Siamo la prima società le cui caste intellettuali si sono disconnesse non solo dalla Bibbia, ma anche dal «biblos», dal libro come fonte di acquisizione e trasmissione del sapere.

Librerie chiuse, biblioteche deserte. Case editrici in bancarotta e acquistate da grandi conglomerati  internazionali, che non hanno più il libro come loro prodotto di punta, scommettendo sempre più su imponenti, per non dire opprimenti, banche dati. In classe, gli studenti non portano più con sé i loro codici; sulle pareti delle case e talvolta anche negli studi dei professori, scaffali vuoti o addirittura un quadro (in genere di dubbio gusto). Il libro ha perso la sua egemonia. È sempre più percepito come un corpo estraneo, un residuo di un’altra epoca, un brontosauro, un fossile.

Ma la morte del libro non uccide solo il libro. Una società senza libri è anche una società senza scrittori di libri. I postmoderni/strutturalisti hanno parlato, decenni fa, della «morte dell’autore». Non potevano immaginare, tuttavia, quanto l’espressione, pensata come metafora o addirittura come programma, avrebbe guadagnato in ordinaria empiricità. La società senza libri è una società in cui le idee si distaccano da chi le ha concepite, le creazioni dai loro creatori. In cui i punti di riferimento che la tradizione aveva elevato a garanzie di affidabilità si dissolvono o vengono sostituiti da altre istanze. Nel caso del diritto, da tribunali anonimi che, negli ultimi decenni, hanno acquisito un protagonismo che fino ad allora era privilegio dei grandi pensatori. Dove prima figuravano Carrara e Ferri, Arturo Rocco e Manzini, Bettiol e Bricola, oggi si trovano la Corte di cassazione e la Corte costituzionale, la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo e la Corte Europea di Giustizia.

Probabilmente appartengo all’ultima generazione che studiava leggendo da copertina a copertina un trattato in più volumi. Le nuove generazioni consultano ancora un trattato, anche se, quando leggono, preferiscono il manuale o addirittura il cosiddetto riassunto (in Germania: lo “Skript”) offerto dal professore stesso, trovato su Google o addirittura rigurgitato da un ChatGPT. Questo quando leggono, e non si accontentano di ascoltare podcast o guardare video su YouTube, Instagram e TikTok. I testi senza nomi e senza testa generati dalla cieca ars combinatoria dell’intelligenza artificiale sono solo la punta provvisoria di questo fenomeno che sto chiamando società post-biblica, in cui il libro e l’autore sono morti abbracciati.

Ohibò. Annoto le citazioni delle opere che contengono le varie definizioni e ricado nel solito infantile "l'avevo pensato anch'io". 

Proseguo. Greco illustra la profondità dell'opera e la sua capacità di collegare filosofia, storia, politica ai temi dogmatici (mi ha convinto prof, lo ordino), grazie alla quale "Il lettore vedrà presentarsi davanti ai propri occhi una sintesi impressionante e unica del meglio del penalismo non solo italiano, ma anche tedesco, spagnolo ed europeo, non solo contemporaneo, ma degli ultimi secoli; il lettore sarà introdotto ai personaggi e alle idee che hanno costruito la nostra disciplina. Il libro è una celebrazione «della cultura penalistica, nella sua parte centrale che non è cultura delle pene, ma dei valori e dei precetti»". 
Ma poi arriva alla domanda: c'è posto per un libro che "non solo istruisce, ma educa, coltiva; non solo informa, ma forma il lettore" nella società che ha sopra descritto?
E risponde: "Una società che ha lasciato indietro il libro è una società che ha lasciato indietro la cultura. Non c’è mai stato un momento in cui lo sforzo di recupero e resistenza ... sia stato più urgente... In una società post-biblica, in cui tutto passa e tutto invecchia prima ancora di maturare, Donini ci offre un monumento che celebra la calma e la cura nello studio e nella riflessione, che recupera la nostra migliore tradizione. I critici sminuiranno ciò che dico come un elogio tra brontosauri. Preferisco semplicemente credere di trovarmi di fronte a un esercizio di umanesimo penale."

Dovrei chiudere con le sue parole, ma riconoscendo in esse una versione più alta e matura di mie vecchie riflessioni annoto un paio di cose.
Com'è vero che il diritto, che appare ai più (che non lo conoscono) una disciplina arida e oggetto di mera acquisizione mnemonica, è una disciplina fortemente umanistica nella quale si trovano la storia, i valori, insomma l'uomo.
E poi. Lo studio ragionato, prolungato nel tempo e meditato alla luce di una cultura che spazia in altre discipline è capace di produrre sintesi cui anche AI faticherà ad arrivare, e dal lato del fruitore a fornire strumenti di comprensione anch'essi necessitanti studio, lunghezza della durata, fatica. 
Senza gli uni e gli altri mancheranno la cultura, la comprensione della realtà e del significato delle cose più alte, e gli uomini che in tale mancanza vivranno saranno inevitabilmente meno liberi, meno uomini.



giovedì 27 novembre 2025

Nè sempre nè mai

 di Giorgio Scerbanenco


Nei libri di Scerbanenco uomini e donne si amano sempre al punto di stare male, come Kirk Mesana e Nadia, come Michela, come in questo rosa/noir Rossella, Marta, Rik e perfino Ligi che abbandona la sua elvetica lealtà.  

La scrittura ti cattura, i personaggi li senti vicini e soffri con loro.

C'è aria di casa, a partire dalla copertina che ritrae villa Mainardis, c'è sabbia, bora, pineta, Sbarco dei Pirati e stradone che porta a Latisana. 

Le storie si intrecciano, tutti avevano un motivo per uccidere Paolo Ferri, ed il desiderio di scoprire chi è stato induce a non riporre il libro appena iniziato prima di averlo concluso.




mercoledì 26 novembre 2025

Non la vedo bene, cara libertà

Diceva Pannella che dove c'è strage di diritto, c'è strage di popoli.

La formula esprimeva il contributo che poteva (può? potrà?) dare l'affermarsi dello stato di diritto, sul piano delle relazioni tra i popoli e su quello dei diritti degli individui, alla libertà e alla vita stessa delle persone.

Forse solo io intravedo un collegamento tra fenomeni che agiscono su piani completamenti diversi, la crisi dell'ordine internazionale liberale fondato sul diritto internazionale e sul multilateralismo e la progressiva messa in discussione dei principi del diritto penale liberale da parte del populismo giudiziario.

Il ciclone della seconda presidenza Trump ha spazzato via, insieme alle illusorie certezze di centralità del "vecchio Occidente", principi, prassi e comportamenti che disciplinavano i rapporti tra stati secondo regole, talvolta criticabili e forse anche tali da favorire il permanere di uno status quo, ma volte ad assicurare una situazione di pace, convivenza civile, risoluzione pacifica delle controversie.

La legge del più forte, il possesso delle "carte", le tattiche di negoziazione più spregiudicate sembrano essere i fattori che determinano ora lo scoppio e la fine di conflitti, decisioni unilaterali e financo interventi militari in paesi esteri. La promozione di questa tendenza da parte della potenza che era stata il faro, l'ispiratore e l'indubbio centro (anche di potere) del vecchio ordine liberale, che a noi malaccorti sembrava essere l'artefice di decenni di pace, benessere e libertà (almeno nostra, ovviamente) lascia attoniti e sconcertati rispetto alle possibile conseguenze, che ben si possono prefigurare se uno degli effetti che si sono prodotti è la corsa al riarmo.

Di certo non par vero di poter misurarsi con il nuovo paradigma ai molti dittatori e autocrati che reggono le sorti di paesi di grande importanza.

A me, poverino, non par vero che possano esservi loro epigoni e fan tra di noi. Eppure eppure. Mi chiedo, ma cosa devo pensare di chi vorrebbe vivere nel mondo che ha in mente Putin, se non che ha l'animo del servo, che vuole essere un servo?

Forse la libertà, che tanto amiamo ma che tanto diamo per scontata, non piace veramente a tutti così tanto.

Nel frattempo, nella giornata contro la violenza sulle donne, il parlamento italiano approva all'unanimità il reato di femminicidio.  

Ne parlo con attenzione che misuro per la gravità del fenomeno che la nuova norma vuole contrastare.

Ma, santoddio, nemmeno i morti sono tutti uguali? Il barbone ucciso per gioco, il bambino ucciso a coltellate dalla madre, valgono di meno di una fidanzata uccisa?

Immediata sensibilità a livello della casalinga di Voghera soccorre a far comprendere l'assurda sperequazione che viene generata, e trascuro di soffermarmi sulle evidenti incostituzionalità della norma.

Eppure non un parlamentare che si sia alzato per obbiettare, per spiegare, per dire che le migliori intenzioni non possono giustificare il tradimento del principio di eguaglianza, persino lui sacrificato all'altare della norma simbolo.

E poi la pena, la pena che deve essere alta, perchè il colpevole deve soffrire e magari buttiamo la chiave. Che orrore, questo desiderio di una pena che lasci il reo in carcere il più possibile, e se la sentenza non è abbastanza rigida dagli al giudice.

La crisi del diritto penale liberale e il dilagare del panpenalismo evidenziano una serie di tendenze il cui unico denominatore comune è l'evidente procedere verso un sistema in cui avremo minore libertà.

Incapacità della politica di affrontare i problemi che vengono delegati alla repressione giudiziaria; strumentalizzazione del sistema penale con norme manifesto ma di difficile applicazione; risposta all'insicurezza (talora reale e talora indotta) illusoriamente affidata a pene più alte ed esemplari, con oblio dei principi costituzionali della rieducazione della pena e del giusto processo.  

Qui non c'è l'agire del più forte infischiandosene delle regole, distruggendo il sistema fondato sulle regole; anzi formalmente si introduce una nuovo reato e si affida al diritto (penale) il compito di contrastare un grave fenomeno, compito che toccherebbe alla politica. Ma il diritto penale, da strumento di ultima istanza, diventa mezzo di affermazione di valori e identità, con conseguente perdita di razionalità e sistematicità.

Che sfacelo, e non parlo degli aspetti tecnici evidenti a chi il diritto penale lo conosce solo superficialmente, ma degli schemi concettuali e del modo di pensare di chi costantemente agisce con simili provvedimenti, e soprattutto del fatto che, immagino (e spero) per ragioni di consenso, non si sia trovato un solo parlamentare che abbia trovato il modo di richiamare il rispetto della Costituzione, un giornalista che propagandi il dubbio che pure, tra persone come me con cui ho modo di parlare, esiste. 

Non la vedo bene, cara libertà.


Di seguito il testo sull'argomento composto da Copilot:

Domanda:

 componi un testo che abbia ad oggetto la crisi dello stato di diritto tanto nel contesto internazionale quanto in quello interno. parla dell'affermarsi della legge del più forte nel diritto internazionale, e della correlata crisi dell'ordine liberale. Collega l'esposizione alla crisi nel diritto interno dei principi del diritto penale liberale ed il dilagare del panpenalismo, prendendo spunto dall'introduzione del reato di femminicidio e delle correlate critiche che sono state avanzate dalla dottrina penalistica

Ecco un testo che affronta i punti richiesti:


La crisi dello Stato di diritto: tra contesto internazionale e interno

Negli ultimi decenni, lo Stato di diritto – pilastro dell’ordine giuridico moderno – attraversa una fase di profonda crisi, tanto sul piano internazionale quanto su quello interno. Tale crisi si manifesta attraverso fenomeni che mettono in discussione i principi di legalità, uguaglianza e limitazione del potere, sostituendoli con logiche di forza e di emergenza.


1. Il contesto internazionale: la legge del più forte e il declino dell’ordine liberale

Il diritto internazionale, tradizionalmente fondato sul principio di sovranità e sul rispetto delle norme pattizie, è oggi segnato dall’affermarsi della legge del più forte. Le grandi potenze, anziché sottostare a regole comuni, tendono a imporre unilateralmente i propri interessi, ricorrendo a strumenti economici, militari e tecnologici che svuotano di efficacia le istituzioni multilaterali.
La crisi dell’ordine liberale, nato nel secondo dopoguerra, si traduce in:

  • erosione del multilateralismo, con il progressivo indebolimento di ONU e organismi internazionali;
  • strumentalizzazione del diritto internazionale, piegato a giustificare interventi selettivi;
  • ritorno alla geopolitica di potenza, che sostituisce la logica cooperativa con quella competitiva.

In questo scenario, il diritto perde la sua funzione di limite e si trasforma in un mezzo di legittimazione del potere, minando la fiducia nella normatività globale.


2. Il contesto interno: crisi del diritto penale liberale e dilagare del panpenalismo

Parallelamente, sul piano interno si assiste alla crisi dei principi del diritto penale liberale, fondato su legalità, offensività, proporzionalità e extrema ratio. La crescente domanda di sicurezza e giustizia simbolica ha favorito il fenomeno del panpenalismo, ossia la tendenza a risolvere problemi sociali attraverso la creazione di nuovi reati e l’inasprimento delle pene.

Un esempio emblematico è l’introduzione del reato di femminicidio. Sebbene animato da finalità di tutela delle donne contro la violenza di genere, esso ha suscitato critiche nella dottrina penalistica:

  • violazione del principio di uguaglianza, poiché introduce una tutela differenziata basata sul genere;
  • rischio di diritto penale simbolico, che privilegia la risposta emotiva rispetto all’efficacia preventiva;
  • erosione del principio di frammentarietà, ampliando il catalogo dei reati in modo non sempre coerente con la ratio del sistema.

Queste scelte legislative riflettono una trasformazione culturale: il diritto penale, da strumento di ultima istanza, diventa mezzo di affermazione di valori e identità, con conseguente perdita di razionalità e sistematicità.


3. Un filo rosso: dalla forza internazionale alla forza interna

Il nesso tra i due fenomeni è evidente: tanto nel contesto globale quanto in quello nazionale, il diritto tende a cedere alla pressione della forza – militare, economica o mediatica – e dell’emergenza. La crisi dello Stato di diritto non è solo giuridica, ma politica e culturale: segna il passaggio da un paradigma normativo a uno pragmatico, dove la regola è subordinata alla contingenza.


Conclusione
Contrastare questa deriva richiede un duplice sforzo: riaffermare il primato delle regole nel sistema internazionale e recuperare, sul piano interno, la razionalità del diritto penale liberale, evitando che il panpenalismo diventi la risposta ordinaria alle sfide sociali. Solo così sarà possibile preservare la funzione garantista del diritto e la sua capacità di limitare il potere.


Vuoi che amplii il testo con riferimenti dottrinali e citazioni di autori (ad esempio Ferrajoli, Zaffaroni, o altri penalisti) oppure che lo trasformi in un saggio argomentativo con introduzione, tesi e conclusione più marcate?

sabato 15 novembre 2025

Il grande Principe

Serata di grande emozione al teatrone. 

Il ritorno del Principe ha catturato le attenzioni di molti, per puro caso sono riuscito a trovare un ingresso.

Non c'era bisogno di questa ulteriore prova per saperlo, abbiamo a Udine il più grande cantante italiano.

Con puntualità strepitosa, il nostro attacca uno show di 100 minuti nel quale esegue interamente Rimmel nel cinquantesimo anniversario della pubblicazione.


Aggiungendo i 4-5 pezzi più famosi di altri dischi, si compone una scaletta quasi perfetta rispetto a quella che avrei composto io, persino "Il signor Hood" ci finisce dentro.

Non manca nulla: Sempre e per sempre, La leva calcistica, Generale, Bufalo Bill, possiamo cantare a squarciagola.

Con l'età la ritrosia si è allentata, al pubblico è concesso qualche scambio di battute e l'omaggio con Stelutis alpinis, ovviamente proposto con aristocratico silenzio.

E' il momento di massima emozione, nel mio quadrilatero personale con Atlantide, Il Signor Hood e Pezzi di vetro.


L'esecuzione de "La donna cannone" sublima la classe cristallina, ed il solito pensiero è a come mai avrà trovato quelle parole che riescono farci capire realmente i sentimenti che proviamo, che vogliono spiegarci da mezzo secolo la stessa cosa: 
Tu non credere se qualcuno ti dirà,
che non sono più lo stesso ormai.
Pioggia e sole abbaiano e mordono,
ma lasciano, lasciano il tempo che trovano.
E il vero amore può nascondersi, confondersi,
ma non può perdersi mai.
Sempre e per sempre, dalla stessa parte, mi troverai.
Lunga vita al Principe Francesco.

martedì 11 novembre 2025

Come ordinare una biblioteca

 di Roberto Calasso


Mi sono lasciato tentare da questo divertissement di Calasso, che raccoglie 4 suoi interventi, di cui il primo (gli altri sembrano poco più di un riempitivo) porta il nome dell'opera e si occupa, come ben s'intende, di bibiliofilia e rapporto con i libri, o meglio della bibliofilia dell'autore.

La scrittura sempre perfetta e la confidenza con la quale Calasso sembra trattare il lettore non riescono ad ingannarci: tra noi poveri amanti della lettura ed un raffinato uomo di cultura come lui passa più di un abisso.

Noi, nel parlare della nostra anti-bibilioteca, al massimo saremmo arrivati a richiamare Eco. 

Lui ci porta da Adolf Loos, Hofmannsthal, Pierre Bayle, Aby Warburg, Bobi Bazlen, Borges, Eisler, Carlyle, Gabriel Naudè, Isaiha Berlin, Aldo Manuzio.

Ha i libri posseduti ed annotati da Sacks, la lettera 42 di Brodskij, è stato presentato alla London library da Chatwin.

Nella prima pagina c'è tutto quello che c'era da dire: Il miglior ordine, per i libri, non può che essere   plurale, almeno altrettanto quanto la persona che usa quei libri. Non solo, ma deve essere allo stesso tempo sincronico e diacronico: geologico (per strati successivi), storico (per fasi, incapricciamenti), fisiologico (connesso all’uso quotidiano in un certo momento), macchinale (alfabetico, linguistico, tematico). È chiaro che la giustapposizione di questi criteri tende a creare un ordine a chiazze, molto vicino al caos.

Rimane solo il superfluo, e qui cominciamo a divertirci, mentre ci racconta:

La regola del buon vicino, la serendipity in salsa libraria;

Cosa è una vera collana (una serie di libri che, tutti, dovrebbero interessare ad un suo lettore ideale); 

Chi è il vero lettore;

A cosa (non) serve l'ordine alfabetico;

La grande virtù dei libracci;

La peculiarità che rende la prima edizione anche unica;

L'importanza dei libri che non si leggono subito

La libreria ideale (sta/stava a Barcellona);

Le necessità di annotare sui libri (corro a nascondermi dietro la lavagna);

L'equazione tra la presenza di un'istituzione come la Londo Librabry e la civiltà;

L'importanza delle dimensioni dei volumi (pensando agli in-folio di Bartolo da Sassoferrato che papà teneva in corridoio).

sabato 8 novembre 2025

Un uomo

Chi è un uomo?

E' un che sa dire molti sì, ma quando serve è capace di dire no.

mercoledì 5 novembre 2025

Pasolini e la morte

 di Giuseppe Zigaina


Ho già citato questo singolare saggio 10 anni fa, nella ricorrenza di quella notte ad Ostia. Zigaina è stato un artista importante a livello locale, e ogni giorno apprezzo i suoi mosaici che adornano le scale dell'ufficio. Nell'ultima parte della sua vita si è dedicato a sviluppare una teoria del tutto originale sulla morte del suo fraterno amico Pasolini, per la quale il poeta friulano (cito la definizione, orgogliosamente riduttiva, che campeggia sul segnale stradale presente sulla via di Udine che gli è stata dedicata) avrebbe dato corpo ad un "martirio per autodecisione".

Proprio così.

Come Zigaina raccontò in una memorabile intervista nella quale fece restare addirittura zitto l'intervistatore Daniele Capezzone, saremmo di fronte ad "un giallo puramente intellettuale", alla costruzione della propria morte come espressione artistica capace di dare (un) senso (diverso) a tutta la sua opera.

Una decisione presa da un anno, la morte programmata di domenica, il giorno dei morti, e preparata come "messa in scena" degli atti significativi della sua presenza nel mondo.

Zigaina desume la sua incrollabile sicurezza da indizi disseminati nell'opera di Pasolini, alcuni versi della quale, letti per la verità con il filtro della cultura di cui è capace l'autore e con la sua capacità di cogliere il significato diverso da quello apparente, dissimulato in giochi linguistici e semantici, colti in scelte stilistiche, in enigmi e profezie che a suo dire compongono la volontà di costruire un evento simbolico che assurga alla categoria del mito. 

la morte non è nel non poter comunicare ma nel non poter più essere compresi

oppure

L’uomo […] si esprime soprattutto con la sua azione […] perché è con essa che modifica la realtà e incide nello spirito. Ma questa azione manca di unità ossia di senso, finché essa non è compiuta. […] Finché io non sarò morto nessuno potrà garantire di conoscermi veramente, cioè di poter dare un senso alla mia azione, che dunque, in quanto momento linguistico, è mal decifrabile. È dunque assolutamente necessario morire, perché, finché siamo vivi, manchiamo di senso[…]La morte compie un fulmineo montaggio della nostra vita: ossia sceglie i suoi momenti veramente significativi, […] e li mette in successione, facendo del nostro presente […] un passato chiaro, stabile, certo, e dunque linguisticamente ben descrivibile […]. Solo grazie alla morte, la nostra vita ci serve ad esprimerci

Per dare un esempio dell'esercizio di cui è composta quest'opera, Zigaina ha scovato, tra le edizioni di Una disperata vitalità VIII, nella quale vengono citati Ostia e il suo mare come luogo della fine, l'omissione nel verso dantesco citato delle significative parole "suo dannaggio sogna"

(Conclusione funerea: con tavola sinottica — ad uso della facitrice del «pezzo» — della mia carriera di poeta, e uno sguardo profetico al mare dei futuri millenni.)

«Venni al mondo al tempo
dell'Analogica.
Operai
in quel campo, da apprendista.
poi ci fu la Resistenza
e io
lottai con le armi della poesia.
Restaurai la Logica, e fui
un poeta civile.
Ora è il tempo
della Psicagogica.
Posso scrivere solo profetando
nel rapimento della Musica
per eccesso di seme o di pietà.»

Se ora I 'Analogica sopravvive
e la Logica è passata di moda
(e io con lei:
non ho più richiesta di poeia),
la Psicagogica
c'è
(ad onta della Demagogia
sempre più padrona
della situazione).

È così
che io posso scrivere Temi e Treni
e anche Profezie;
da poeta civile, ah sì, sempre!»

«Quanto al futuro, ascolti:
i suoi figli fascisti
veleggeranno
verso i mondi della Nuova Preistoria.
lo me ne starò là,

qual è colui che                                                  

sulle rive del mare
in cui ricomincia la vita.
Solo, o quasi, sul vecchio litorale
tra ruderi di antiche civiltà,
Ravenna
Ostia, o Bombay — è uguale —
con Dei che si scrostano, problemi vecchi
— quale la lotta di classe —
che
si dissolvono...
Come un partigiano
morto prima del maggio del'45,
comincerò piano piano a decompormi,
nella luce straziante di quel mare,
poeta e cittadino dimenticato.»

Le tre parole mancanti vengono richieste a Dante, allusione al mito di Giona reinterpretato nella versione finnica del Vainamonen.

Temi e treni non vogliono dire quello che pensiamo: i treni sono ovviamente il "lamento funebre" effettivamente riportato sul vocabolario come quarto significato (ho controllato).

Mi fermo: sono di fronte ad una sceneggiatura in cui i personaggi che girano attorno a Zigaina-Pasolini sono Maria Callas, Ninetto Davoli, Mircea Eliade e Frazier, Dante e Sor Ciappelletto.

Resta il dubbio se il giallo fosse quello che Pasolini costruì e interpretò, secondo Zigaina, o quello che fattosi suo interprete compone ora il pittore di Cervignano.

E' credibile, questa ricostruzione così diversa da tutte quelle che si sono affannate a ricostruire la morte di Pasolini?

Forse non di meno di quelle date per vere nelle sentenze che i tribunali hanno pronunciato sul caso, ed io, quasi quasi, faccio endorsement, non perchè ne sia convinto ma per fiducia nell'idea che la letteratura comprenda la realtà umana meglio della scienza (forense, nel caso in questione).

Ho ricordato i 50 anni dalla morte di Pasolini oltre che sul libro guardando ed ascoltando la voce di Zigaina, rileggendo l'intervista a Colombo e lo scritto per il congresso dei radicali. 

Ho riascoltato la canzone di De Gregori, i cui versi restituiscono una versione ancora diversa di quella notte, evidentemente ispirata da poesia :

E voglio vivere come i gigli nei campi,
come gli uccelli nel cielo campare.
E voglio vivere come i gigli nei campi
e sopra i gigli nei campi volare.

Sarebbe giusto onorarlo leggendo le sue opere, ma mi sembra giusto ricordare di nuovo le parole che gli dedicò, prima di cambiare idea, Giorgio Bocca:

Già, il vecchio Pasolini Pier Paolo, cinquanta chili di una rabbia che è solitudine, amore, timidezza, incontinenza, paura, genio. Cinquanta chili di uomo. Ma non è questo che fa tenerezza o mette a disagio, ma ben altro: sentirsi in debito con lui per conto di tutti e non sapere che fare, come ripagarlo dell’intelligenza che ci ha dato in questi anni, generosamente. Non è il denaro che vuole anche se noi ci guardiamo bene dal darglielo; né siamo autorizzati a concedergli quella esenzione dalla morale comune che chiede con tanta ingenua insistenza: diamogli almeno la stima intellettuale che merita (su diamogliela cuori spugnosi e cervellini esangui), diciamolo che è il migliore di tutti.



domenica 26 ottobre 2025

Il calcio è della gente?

Ma per favore!
Per quattro piccioli Milan Como si giocherà a Perth.
Quanto riveli questo del rispetto dei tifosi, della non dico prevalenza, ma strapotere del business sull'aspetto sportivo, pare superfluo ripeterlo.
Un calciatore evidenzia l'incongruità, viene attaccato con veemenza dal presidente della lega. Evidentemente quest'ultimo pretende che ricchi emolumenti annientino la libertà di esprimere il proprio pensiero, quanta pochezza culturale e civile!
I tifosi interessati vogliono protestare con uno striscione? Giammai, non può entrare.
Censura di regime.
C'è un chiaro disegno, sostituire i tifosi con degli spettatori plaudenti.
Vedi anche musica a palla che copre i cori, settori pieni zeppi di stranieri, prezzi per persone che assistono ad un evento e non ad una partita della loro squadra.
Le inchieste hanno fornito un formidabile pretesto per far fuori dalle curve una bella fetta di ultras che, delinquenti a parte, sono una delle componenti migliori del calcio.

Mi ricordo le prime volte...

Mandi Corello, goodbye

Dal tuo Friuli mandi, barbe Cornelio!

Ti ricorderemo con grande affetto e con viva simpatia, ma anche con tutta la gratitudine che dobbiamo ad una generazione, quella dei nostri nonni, che con il lavoro ed il sacrificio non solo ha posto le fondamenta materiali del nostro benessere, ma ci anche dato un luminoso esempio di come si possa perseguire il miglioramento per sè, i propri cari, la comunità, con il lavoro serio, l’onestà, la forza silenziosa.

Sulla soglia dei 30 anni hai lasciato la tua terra, la tua famiglia per andartene dall'altra parte del mondo.
Lavoro, sacrificio per costruire un nuovo focolare, una famiglia che è cresciuta e ti ha circondato con grande affetto, accompagnandoti a superare la soglia dei 100.
Le poche volte che ci siamo incontrati mi ha colpito la tua energia, la  "quiet strenght" che si percepiva dai tuoi racconti, dai quali era bello conoscere un mondo diverso.
Eri attaccato alle tue radici, alla tua famiglia e specialmente a tuo fratello che chiamavi "la mia guida". Difficile dimenticare quella sera a Venzone in cui ci salutasti sapendo che era l'ultima volta.
Sei venuto al mondo in una casa senza riscaldamento, te ne vai mentre si intravede cone l'intelligenza artificiale governerà la nostra vita.  Dal Friuli si emigra di nuovo, non per sussistenza, ma per cercare stipendi adeguati.
Quanto ti viene risparmiato, dubito che ti piacerebbe.
Fin ta l'ultin tu as fevelat furlan, polse in pâs.

sabato 18 ottobre 2025

Monte Osternig

C'ero stato con Claudio in una vita precedente, la volta che passammo due notti in tenda con Francesco e le ragazze.
Da allora avevo solo accarezzato, le diverse volte che abbiamo raggiunto il Nordio-Deffar, questa celebre e frequentata cima con cui terminano le Alpi Carniche.
L'escursione è gradevole, in una bella giornata di ottobre, a passo tranquillo e senza difficoltà né fatica raggiungiamo la cima in 2 ore e mezza.
Il rinomato panorama offre una bella vista sull'ordinata vallata austriaca; purtroppo delle nubi in lontananza ci precludono quello a sud, sulle nostre Giulie.
La vera bellezza.