sabato 9 agosto 2025

Lago di Bordaglia

E' lo sfondo del mio desktop, è uno dei luoghi in cui ogni friulano dovrebbe tornare ogni 4-5 anni.


Ci tenevo a portarci i miei figli, dopo un bel po' di trattative riesco ad organizzare.

La partenza con qualche contrattempo suggerisce di abbandonare l'idea dell'anello, prendiamo la via diretta, l'inizio per la carrareccia consente un buon riscaldamento, il caldo non si fa sentire più del dovuto nelle due ore che portano alla casera bassa.

Con un po' di sorpresa la troviamo gestita da due giovanissimi ragazzi, abitata da un gruppo scout.

Dopo un breve ristoro raggiungiamo in mezzora il lago che è il nostro obbiettivo. Vinco la tentazione di un bagno, ricordando quello di quasi trentanni fa. Il pranzo nella pace e nella bellezza invita a restare, mi appisolo per poi incontrare una conoscenza, anche lui salito con la famiglia.

Quando viene l'ora di partire non manca il magone, provo a risalire dalla casera alta per rifare la foto.

Non è proprio la stessa, la vera bellezza mi dà un nuovo appuntamento 




venerdì 8 agosto 2025

La Cripta dei Cappuccini

 di Joseph Roth

Per molti anni ho indicato questo libro tra i miei favoriti, avendolo letto già al ginnasio grazie alle provvide prescrizioni della professoressa Lorenzon.
La qualità della narrazione di Roth si avvicina alla perfezione stilistica, garantisce un autentico piacere estetico della lettura che ho ritrovato ( forse superandolo) solo in Leonardo Sciascia.
In questo romanzo, tra i più noti dello scrittore asburgico e forse quello in cui maggiore è l'immedesimazione tra l'autore ed il protagonista, il tema centrale è la perdita del "mondo di ieri" e lo smarrimento di una generazione che dopo quella perdita non riesce a trovare il suo posto nel mondo, nella vita. 
Joseph Trotta è l'esponente di un'aristocrazia di giovane formazione, ma perfettamente integrata nel mondo mitteleuropeo che a Vienna vive senza svolgere alcuna attività che non sia l'impersonare i valori della monarchia asburgica. Fa parte di un gruppo di gaudenti che vivono "alla nottata", ostentando  disincanto verso le donne, la politica e i rapporti con le generazioni precedenti. La noia viene interrotta dalla visita di persone molto lontane da quell'ambiente, un cugino caldarrostaio sloveno ed un vetturino ebreo galiziano, che spezzano la routine del gruppo ma delineano lo spaccato di una società in cui le diversità nazionali, religiose e di classe trovano una composizione organica in un mondo raccolto accanto alla figura paterna dell'imperatore. 
I fatti sono narrati con il costante riferimento al senno del poi, letti quale costante presagio di una tragedia: "La morte incrociava già le sue mani ossute sopra i calici dai quali bevevamo".
La tragedia non è la guerra, ma la fine di un mondo che essa comportò.
Allo scoppio del conflitto (mirabile il passaggio in cui esso viene annunciato con il semplice riferimento all'incipit del celebre proclama con cui fu annunciata, da Francesco Giuseppe, "Ai miei popoli"), Trotta affronta i passaggi della partenza, della prigionia, del ritorno in una Vienna non più capitale di un impero, "vivo per errore":
"Ero di nuovo a casa. Tutti noi avevamo perso rango e posizione e nome, casa e denaro e valori: passato, presente e futuro. Ogni mattina quando aprivamo gli occhi, ogni notte quando ci mettevamo a dormire imprecavamo alla morte che invano ci aveva attirato alla sua festa grandiosa. E ognuno di noi invidiava i caduti. Riposavano sotto terra e la primavera ventura dalle loro ossa sarebbero nate le violette. Noi invece eravamo tornati a casa disperatamente sterili, coi lombi fiaccati, una generazione votata alla morte, che la morte aveva sdegnato "    
La modernità viene impersonata, per essere sdegnata, dalle attività cui si dedica la moglie Elizabeth, arti applicate, e dalla sua famiglia, i cui valori borghesi appaiono lontani da quelli che appaiono veri a Trotta.
Il figlio e soprattutto la forza della madre costituiscono un appiglio personale, che nulla può contro lo smarrimento per la perdita di qualcosa di più di una patria, di una identità. 
"Dove devo andare, ora, io, un Trotta?" 
La domanda che conclude l'opera è inevitabilmente destinata a restare senza risposta.
Riletto dopo molti anni, questo libro conserva intatta la sua classe. La qualità della narrazione è straordinaria, perle sono nascoste ovunque, specie dove piccoli dettagli costituiscono pretesto per osservazioni di carattere generale. Una maggiore conoscenza del contesto storico e la maturità dei 50 anni aiutano a comprendere ancora meglio alcuni passaggi.
   

Tina

 di Pino Cacucci


La via parallela a quella in cui ho passato la mia adolescenza è via Tina Modotti.

Un nome che ho quindi orecchiato da 40 anni, senza sapere esattamente chi era la persona a cui era appartenuto.

Si tratta di una delle udinesi più note fuori dai confini nostrani, per quanto la sua permanenza tra noi sia stata breve e, a giudicare da quanto racconta Cacucci, nemmeno delle più felici.

La sua vita si è infatti svolta tra gli Stati Uniti ed il Messico, con le significative parentesi in Spagna e Unione Sovietica.

Il racconto di Cacucci segue le vicende di una personalità molto forte, incentrate sul rapporto con l'arte fotografica e la passione politica, che da un certo punto in poi prevale. Appare singolare come una individualità così marcata abbia potuto assestarsi sulle posizioni più allineate allo stalinismo più ortodosso, di cui Tina fu nei fatti un agente.

Cacucci delinea una personalità inquieta soprattutto avvalendosi del rapporto con uomini molto diversi tra loro, Robo, Weston, Guerrero, Mella, Vidali, personalità forti conquistate dal fascino di una donna che non può che essere stato fuori dal comune. 


domenica 20 luglio 2025

Solo tu. Come loro.

Sportweek pubblicando le più belle foto della vittoria di Sinner si esercita nel giochino dell'individuazione (senza classifica) delle più grandi imprese sportive di sempre.
Invitandoci al nostro personale celo, manca.
E allora, limitandomi a quelli a cui ho assistito.
Marcell Jacobs campione olimpico dei 100, la più inattesa delle vittorie nella gara delle gare.
Marco con la barbetta gialla, le lacrime trattenute in eguale misura per il ricordo della fatica, per la gioia della vittoria e per il presagio di quello che gli sarebbe accaduto.
Alberto Tomba che vince dopo il gigante lo speciale olimpico interrompendo il festival di Sanremo.
Valentino che vince la sua prima gara in Yamaha e bacia la moto.
Filippo Magnini campione dei 100 stile.
I fratelli Abbagnale con peppiniello.
Stefano Baldini primo nella maratona che partiva da Maratona, cinto d'alloro nello stadio Panathinaikos.
Il gruppo di di Bearzot nel più grande mondiale che la storia ricordi.
Yuri Chechi più forte della sfortuna, re degli anelli.
La staffetta del fondo che regala ai norvegesi il loro Maracanazo.
Le ragazze di Velasco che rompono il tabù (a Julio non piacerebbe questa), ma anche le tante vittorie della generazione di fenomeni.
Un po' abbiamo goduto.

giovedì 17 luglio 2025

Ho visto Jannik Sinner

Mi avessero detto dieci anni fa che l'Italia non sarebbe andata ai mondiali e che un italiano avrebbe vinto Wimbledon, avrei riso di entrambe le previsioni.

Ma nella vita tutto può succedere.

Più forte di tutto e tutti, degli avversari che lo guardano sconsolati tirare così forte, della Wada, dei gufi che è meglio Alcaraz, della scimmia che poteva diventare quella incredibile sconfitta a Parigi, finalmente anche di quell'antipatico di Carlos, dopo aver vinto già 3 Slam, le finals, 2 volte la Coppa Davis, gli Internazionali, Sinner completa una carriera già da sogno vincendo il torneo dei tornei.

Un Italiano vincitore di Wimbledon!

Mentre molti dei cronisti ricordavano (bravi) Gianni e Rino che non sono riusciti a vederlo, Jannik si inerpicava sulla tribuna abbracciando mamma e papà e Mark.

Già, il ragazzo d'oro baciato dal talento e da una mente fenomenale è anche un bravo ragazzo, una persona che non ha perso l'umiltà e la capacità di riconoscere le cose che contano, che si dichiara orgoglioso di essere italiano.  

Le partite non riesco a vederle, troppa tensione. Ascolto in sottofondo e mi ritrovo i pugni serrati e il groppo in gola come per uno scatto di Marco, come per quella corsa di Marcello.

Le classifiche si sprecano, sarà il GOAT dello sport italiano, del tennis?

Probabilmente si. Ce ne freghiamo ora, ci godiamo l'abbraccio con papà Hanspeter.




domenica 6 luglio 2025

Carnera

 di Daniele Marchesini

In questo libro, che inseguivo da molti anni, si mescolano i tratti di una biografia del campione di Sequals e molto contesto storico.


L'informata ricerca di Marchesini mantiene un giusto equilibrio tra mito e ricostruzioni demolitorie, come dimostra l'assennato giudizio sui rapporti con il regime.

Carnera ebbe molte vite: bambino nel Friuli della fame più nera, adolescente emigrato in Francia e reclutato come gigante da esibire nel circo, giovane atleta costruito sia come pugile sia come personaggio in maniera controversa, campione celebrato ed utilizzato dalla propaganda del regime, poi rapidamente ex campione in declino e quasi alla fame, infine uomo capace di costruirsi una nuova carriera nella lotta, di nuovo campione del mondo.

Conobbe principi, capi di stato attrici e miliardari; la fame e gli abiti eleganti, il circo e le cabine di lusso dei transatlantici; la gloria e la solitudine dopo la sconfitta, la popolarità e l'abbandono di chi si era arricchito a suo danno.

Marchesini dedica attenzione alla vita degli emigranti, al contrastato affermarsi della boxe come sport popolare, al ruolo della malavita nell'affare che diventò, al giudizio sul reale valore sportivo di quello che fu soprattutto un personaggio, ma anche un atleta che seppe crescere, ai meccanismi della pubblicità e al ruolo dell'eroe sportivo nella società di massa, alla cura del corpo nella ideologia fascista, alla strumentalizzazione del campione poi seguita dalla censura applicata  alle immagini della sua sconfitta.

Sullo sfondo rimane l'uomo che fu il più grande campione espresso da questa terra, un uomo che conobbe la fatica ed il dolore, ma seppe rialzarsi e alla fine conquistare quello a cui teneva, il benessere per la sua famiglia.

Mi sovvengono, collegamento certo arbitrario, le parole di Gigi De Agostini in un'intervista alla Gazzetta di qualche settimana fa:

"De Agostini, che qualità si riconosce? 

La tenacia. Una volta in nazionale mi infortunai alla caviglia, Bonaparte mi telefonò: guarda che domenica devi stringere i denti, sennò che friulano sei? Ogni volta che la vita si mette di mezzo ci ripenso. Ho avuto il tumore, ho problemi al cuore, sono brachicardico e di recente mi hanno messo un pacemaker. Ma guardo avanti con speranza e fermezza, sennò che friulano sarei?"

Primo restò uno di noi. Il vero momento di gioia descritto nel libro è quello, commovente, del suo ritorno da campione a Sequals, paese nel quale poi rientrò anche per morirvi e trovarvi sepoltura.

Non molti anni fa anche Giovanna Maria rientrò a vivere in Friuli, con queste parole: 

"Fin da piccola papà mi parlava continuamente del suo Friuli. Mi ha colpito nell’anima quella sua passione profonda per un paese che lo ha visto nascere povero ma che gli ha dato tanta ricchezza dentro: umiltà, dignità e un grande amore per la sua famiglia. Da anni volevo tornare in questo paese straordinario ma la vita ha voluto che prendessi un’altra strada. "


 

sabato 5 luglio 2025

Un uomo assiale

Qualche mese fa ho parlato del singolare libro di Sergio Sarti "L'Uomo assiale".

L'ultima volta che ho visto Vittorio, che lo ha editato e poi me ne ha fatto avere una copia, mi ha parlato di una presentazione dell'opera avvenuta un paio di giorni prima con l'entusiasmo che metteva in tutte le cose, ma con uno speciale trasporto per l'argomento trattato. Mi è parso che volesse dirmi: queste sono le cose di cui è importante occuparsi, di cui voglio occuparmi.

La lettura dell'opera mi ha fornito la descrizione di un tipo d'uomo consapevole dell'importanza della spiritualità come elemento che eleva l'uomo, nella misura in cui è capace di metterlo a contatto con la trascendenza, ma anche di farsi interprete di un rapporto misurato e maturo con la comunità.

Io credo che Vittorio si immedesimasse nell'uomo assiale, che abbia dato corpo come poche altre persone che io ho conosciuto all'ideale descritto da Sarti.

La partecipazione alle sue esequie hanno confermato il diffuso rispetto che il suo agire ha generato nelle persone più varie, alle quali ha dedicato attenzione, impegno, simpatia. Nelle poche occasioni di incontro che abbiamo avuto ho sempre avuto l'impressione che mi desse un'importanza che sentivo di non meritare, e credo facesse così con tutti, mosso da istintivo tratto umanista.

Lo ricordo con tanta stima e grandissima simpatia. Mancherà molto non solo alla sua bella famiglia, ma anche alla cultura e alla collettività per le quai si tanti prodigato.

lunedì 23 giugno 2025

Thank U

Forse è eccessiva la ricerca di senso in alcune cose che ci accadono o a cui assistiamo, forse l'età, le circostanze, il contesto ci inducono a cercarlo o a vederlo oltre il necessario.

Sono a Villa Manin, sta iniziando il concerto di Alanis Morrisette a cui sono riuscito ad infilarmi grazie ad una botta di culo e a mia cognata. E' un evento, in ambito concertistico, di una portata che può vedersi piuttosto raramente a queste latitudini. Attorno vedo persone prevalentemente della mia età, giusto qualche anno in meno, per lo più donne, molti non sono di qua e nemmeno italiani. Parte un filmato introduttivo, poi l'attacco e dopo un minuto entra lei:

So che tutto andrà a finire
per il meglio, meglio, meglio,
perché ho una mano in tasca
e l'altra dà il cinque.

Alanis è in jeans, camicia e sneakers, e già lo sapevamo che non sarebbe stato un concerto con cambi d'abito, scenografie e balletti. E' la ragazza con lo zainetto, la versione candese-americana di quella che faceva l'inter-rail, arrabbiata, generosa, vogliosa di vita ma di una vita diversa. 

Realizzo di colpo ora che la vedo di fronte a me, mia coetanea quinti attempata signora, quanto tempo è passato e come ci, mi ha cambiato. Il groppo alla gola è immediato.

Con grande prova canora e con rispetto del pubblico ha fatto tutti i vecchi pezzi, e io mi chiedevo cosa provi a cantare canzoni che ha concepito più di trentanni fa. Forse un percorso di vita non privo di difficoltà, ma nel quale ha saputo trovare una maturità che non ha snaturato le sue istanze e caratteristiche più genuine, ma le ha fatte diventare quelle di una persona diversa, le consente di trovare ancora se stessa in quella ragazzina che urlava al mondo .

Il momento in cui ho mollato è stato il momento
in cui avevo tra le mani molto più di quello che potevo gestire.
Il momento in cui sono saltata giù
è stato il momento in cui ho toccato terra
.

Uno dei motivi per cui la ragazzina era arrabbiata era la condizione femminile, direi meglio delle persone che sono femmine. Ancora oggi lo ricorda e ne parla, e facendolo aggiunge all'incazzatura l'azione. Quando da adolescenti si diventa adulti si capisce che le cose bisogna provare a cambiarle facendone alcune, quelle che sono nella nostra possibilità, non basta urlare che non vanno. E forse la Morrisette è una che delle persone che ha fatto di più per l'empowerment femminile ha fatto di più, anche solo facendo sentire a molte persone, con le sue canzoni, che non erano le sole a provare certe cose.  

Dopo uno spettacolo di poco più di un'ora, in cui non si è risparmiata correndo, suonando la chitarra glitterata, cantando, Alanis ci ha lasciato soli con i nostri pensieri, ma non dimenticando l'essenziale: 

Thank you so much,
I Love you,
take care each other.

 





 

 


domenica 15 giugno 2025

Bivacco Anita Goitan

Si profilo un pertugio nel groviglio di impegni e maltempo, Riccardo mi dà l'ok, è il weekend giusto per una nuova esperienza in bivacco.

Purtroppo soli ci muoviamo a metà mattinata. In auto  per arrivare al rifugio Pussa ci vogliono 120 minuti, gli ultimi 30 dei quali nella solitaria e selvaggia Val Settimana.

Me la immaginavo simile alla Valcimoliana, con la quale ha in effetti dei tratti in comune, non la bellezza folgorante dei Monfalconi.

Dopo un'ottimo pranzo al rifugio ci incamminiamo di buona lena sul sentiero 385, giro antiorario, ci aspettano 900 mt di dislivello. Il sentiero nel bosco sale con pendenza decisa, la fatica dello zaino sulle spalle si fa sentire. Al termine della faggeta si risale sul greto del rio Meda, mentre il solleone in un breve attimo lascia spazio a nuvole, qualche timido tuono preannuncio di una pioggerella che ci accompagnerà per un'ora. Arrivati al bivio con 386 ci rinfranchiamo, il più è fatto, il resto della salita è guadagnato con una traversata in pendenza puù dolce in mezzo ai mughi.

Dopo un'ansa ecco spuntare il bivacco, in buone condizioni nonostante l'esterno ammaccato, pronto ad ospitare 9 persone con materassi, cuscini e coperte. La vista è eccezionale, il luogo è promessa d'incanto che il tempo in parte delude. 

Non facciamo in tempo a sistemarci che arrivano una coppia di ragazzi con i quali divideremo la serata: atleti, loro ci hanno messo 2h30 invece delle nostre 4 a coprire l'ascesa. 

La pioggia si esaurisce ma lascia un contorno di nuvole che preclude la visione sia del tramonto che del cielo stellato: peccato.

Cameratesca convivialità condita dallo scambio di qualche innocua cazzata rendono piacevole la permanenza, alle 22 mi addormento nel sonno del giusto.

All'indomani ci attende, di buona mattina, un rinnovato cielo sereno. Ripartiamo prima delle 7 per completare l'anello basso del sentiero 386. Alla fine la discesa prima in un bel panorama, poi quasi interamente nel bosco, è bella anche se decisamente ripida. Considerata l'ascesa di 100 mt dal bivio il dislivello in discesa supera i 1000 mt.

Arrivati alla carrareccia che conduce al Pussa ringrazio Riccardo per il regalo che mi ha fatto: ed eccone un altro, mi risponde che al contrario è lui ad essermi grato.

E io sono grato anche alla vita che mi ha consentito di conoscere la vera bellezza.







lunedì 2 giugno 2025

Il sale della terra

Siamo uno di meno, e quell'uno è Sebastiao Salgado.

Poche settimane l'ho definito l'uomo che più ammiravo. Un grande artista, che ha fatto della sua opera non solo testimonianza, ma anche azione.

Non scatti, non reportage, ma progetti durati anni per dare contributo alla comprensione di fenomeni epocali. Workers l'essenza della fatica e della dignità dei lavoratori. Exodus, l'inarrestabile forza delle migrazioni. Genesis, i paesaggi e popoli rimasti intoccati dall’assalto della modernità e del progresso. Amazonia, la testimonianza di una natura antica che forse tra 50 anni non ci sarà.

Il lavoro, la migrazione, l'ambiente. Di cos'altro deve occuparsi un artista, un intellettuale?

L'arte più grande è quella in cui l'altezza estetica si accompagna all'idea, ancor più se diventa istanza etica.

E Salgado è stato sempre attento alle identità dei popoli, alle fragilità del pianeta, all’esaurimento delle risorse, alle  desolazioni della povertà, dello sfruttamento e della guerra, capace di ascoltare una natura che grida la sua bellezza affinché l’uomo si svegli e decida di salvarla e di salvarsi. Come ha detto Peter Sager: “Pur senza la minima traccia di sensazionalismo, le immagini di Salgado hanno una loro spettacolarità. I suoi vigili del fuoco, i suoi operai metallurgici sono eroi al lavoro, talvolta ai limiti dell’idealizzazione romantica. I coltivatori delle piantagioni di canna da zucchero cubane brandiscono i loro machete come guerrieri di epoche arcaiche. E i fuggiaschi etiopi avvolti nei loro panni, ai margini del deserto, sembrano i personaggi di una tragedia antica. Sono immagini estreme di realtà estreme. Il pathos, il gesto elegiaco emana dai soggetti quanto dal modo in cui vengono rappresentati. Gruppi di madri con bambini, scene di passione, masse in gran movimento: queste immagini raccontano storie bibliche che Salgado cita con la passione di un teologo marxista della liberazione”.

E' esemplare il racconto di come nacque Genesis.
Siamo animali molto feroci, siamo animali terribili noi umani. La nostra è una storia di guerra, una storia senza fine, una storia folle. Sia qui in Europa, che in Africa, in America Latina, dappertutto. Siamo di una violenza estrema. E' stato il mio ultimo viaggio, in questa disgraziata avventura nel Ruanda. Quando sono andato via, non credevo più a niente, non poteva esserci salvezza per la specie umana. Non si poteva sopravvivere a una cosa simile.

L'inizio dell'esperienza della riforestazione della tenuta affidatagli dal padre, che Salgado iniziò con scetticismo convinto da Lelia, fu la scintilla che fece tornare la voglia di ricominciare, questa volta cambiando il soggetto delle sue foto per narrare i luoghi incontaminati del pianeta. 


Il coronamento c'è poi stato con Amazonia. Studio, lavoro, viaggio nel cuore della terra e vera empatia per le persone che abitano questo mondo antico e unico: "My wish, with all my heart, with all my energy, with all the passion I possess, is that in 50 years time thies book will not resemble a record af a lost world. Amazonia must live on - and always at its heart, its Indigenous inhabistants".

Salgado credeva che il genere umano abbia posto le basi della propria estinzione, superando i limiti dei danni che poteva arrecare alla terra. Ma in fondo, le sue parole lo confermano, conservava la speranza nella possibilità che le cose cambino, e ha fatto intero la sua parte, di artista e di persona, perchè ciò accada, in maniera di cui stento a trovare l'eguale.
Ha dato così, a noi incapaci della sua arte e della sua comprensione delle cose più importanti, il più grande degli esempi.

Ben lo ricorda il suo Instituto Terra:
“È con profondo dolore che annunciamo la scomparsa di Sebastião Salgado, il nostro fondatore, mentore ed eterna fonte di ispirazione.
Sebastião è stato molto più di uno dei più grandi fotografi del nostro tempo. Insieme alla sua compagna di vita, Lélia Deluiz Wanick Salgado, ha seminato speranza dove c’era devastazione e ha fatto fiorire l’idea che il ripristino ambientale è anche un profondo gesto d’amore per l’umanità. Il suo obiettivo ha rivelato il mondo e le sue contraddizioni; la sua vita, il potere dell’azione trasformativa.
In questo momento di lutto, esprimiamo la nostra più sentita solidarietà a Lélia, ai suoi figli Juliano e Rodrigo, ai suoi nipoti Flávio e Nara e a tutti i familiari e gli amici che ora condividono il dolore per questa immensa perdita.
Continueremo a onorare la sua eredità, coltivando la terra, la giustizia e la bellezza che lui credeva profondamente potessero essere ripristinate.“.

Ti sia lieve la terra, Sebastiao, la tua terra.