venerdì 7 agosto 2020

Risorgimento e capitalismo

 di Rosario Romeo

Preso dall'entusiasmo estivo ho affrontato questo classicissimo della storiografia italiana.

Il primo saggio, in cui critica-rassegna la storiografia marxista che si accodò all'interpretazione gramsciana del Risorgimento come rivoluzione sociale mancata, appare letto oggi veramente un affare per specialisti; ripensare al momento in cui fu scritto dà tuttavia una diversa considerazione dello spessore di chi concepì.

Nel secondo saggio si analizza, numeri alla mano, uno dei presupposti della interpretazione contestata; ponendosi con chiara strumentazione marxiana il problema dell'accumulazione del capitale necessaria alla pretesa rivoluzione mancata. Romeo ritiene che la conservazione delle grandi proprietà terriere, insieme alle misure protezioniste e fiscali che gravarono soprattutto sui ceti contadini, abbiano permesso l’accumulazione dei capitali necessari all’industrializzazione e alla modernizzazione del paese 

Ninfa dormiente

 di Ilaria Tuti

Non leggerei mai un libro di questo genere se non fossi guidato dal pregiudizio favorevole per Ilaria Tuti, non scevro da bieco "nazionalismo gemonese".

Lettura sempre avvincente, la Tuti scrive bene e con evidente preparazione ed ha azzeccato con Teresa Battaglia un personaggio che alla fine del libro comincia subito a mancarti. 

Non amo troppo (o per niente) i riferimenti esoterici, e quindi il finale non è tra i miei preferiti; forse in alcune descrizioni traspare lo sforzo dell'autrice di dimostrare quanto è brava.

Serbi, croati, sloveni

 di Joze Pirjevec

Complice lo scaffale di Lignano mi sono appropriato di questo breve libro che avevo regalato a mio padre, all'epoca desideroso di conoscere un po' meglio la storia dei nostri vicini.

Anche per recuperare l'interrotta lettura de "Le guerre Jugoslave", dello stesso autore, che non so se riprenderò (troppo di dettaglio la descrizione degli eventi).

In questo testo Pirjevec tratta in tre sezioni la storia di tre dei tre popoli che composero la Jugoslavia, evidenziando il formarsi delle identità nazionali, che nelle secolari vicende di frammentazione politica è avvenuta soprattutto per contrapposizione con quella dei vicini.

Utile lettura, come compendio. Tra i due libri non ho però trovato il livello di approfondimento che cercavo sul periodo che mi interessa, che è il Novecento. 

Il censimento dei radical chic

 di Giacomo Papi

Ho preso questo libretto per onorare l'annuale tradizione di un acquisto alla "Libreria Pineta".
Ne ho ricavato una lettura divertente e capace di lasciare quel po' di amaro in bocca che ti procurano certe satire della realtà.
Un professore viene ucciso bastonate perchè in TV ha usato parole troppo difficili, e pertanto si è dimostrato uno di quei "nemici del popolo" che sembrano essere diventati gli intellettuali.
Tra i protagonisti del romanzo un ministro dell'Interno di chiara ispirazione, che aizza i peggiori istinti, trae occasione dall'omicidio per promuovere un censimento dei "radical chic", ma finisce a sua volta alla berlina perchè di nascosto guardava film d'essay.  
Alcuni riferimenti nemmeno troppo velati alla storia del Novecento rendono sinistri i sorrisi che spesso strappa la scrittura dell'autore.
Un po' in pamphlet ed in poche pagine quel che Nichols  ci ha spiegato ne "La conoscenza e i suoi nemici".

M. Il figlio del secolo

 di Antonio Scurati

Ecco un libro che di mio probabilmente non avrei comprato, ma per fortuna mi è stato regalato.

L'intuizione folgorante dell'autore è che l'ascesa al potere di Mussolini, nel periodo 1919-1925, ha avuto tratti letterari, romanzeschi (e forse anche drammatici).

Potendo attingere ad una quantità sterminata di documentazione, che padroneggia peraltro in maniera ammirevole, l'autore parte da documenti, discorsi, lettere, rapporti di pubblica sicurezza, per costruire episodi, e da essi una trama una in cui dei fatti narrati diviene fondamentale l'aspetto soggettivo di chi ne fu protagonista. Costruendo una serie di personaggi il per cui percorso dà vita ad un romanzo potente.

Si sa già come va a finire, è più semplice indugiare a riflettere su cosa pensarono veramente Margherita Sarfatti, D'annunzio, Giacomo Matteotti.  

Personalmente ho ritrovato echi di molte letture su Mussolini, tra cui mi appare dominante quella di De Felice; ancora voglia di rileggere.

Todo Modo

 di Leonardo Sciascia

Temo sia venuto il momento di ammettere che non sono all'altezza di essere un lettore di Leonardo Sciascia.

Non basta la sensazione che (mi povr'om) sfuggano i più, tra i colti riferimenti artistici, letterari e filosofici che l'autore semina nel plot giallo: stavolta mi trovo anche smarrito nella conclusione.

 Il piacere che dà la lettura di una prosa semplice, leggera ma accuratissima si accompagna ad un impulso immediato: quello di rileggerlo

sabato 20 giugno 2020

Vinci ancora, grande campione

La partecipazione collettiva e quasi universale alla lotta per la vita di Alex Zanardi è una manifestazione (per una volta) sincera di stima e ammirazione che si è meritata questa persona unica, per la quale la parola CAMPIONE, nella vita più che nello sport, è veramente adatta.
Sei l'uomo cui vorremmo assomigliare, Alex.

Vinci anche questa battaglia, dacci ancora un po' di speranza e la possibilità di imparare, ancora, dalla tua forza.

domenica 7 giugno 2020

I love my (best italian song I heard at) radio

Le radio si sono unite in un'iniziativa che ricorda i 45 anni dalla nascita delle radio libere.
I love my radio.
C'è un concorso nel quale bisogna scegliere la migliore canzone italiana. 
Una per anno, al massimo una per autore. 
Impossibile sottrarsi dal votarne 3, oltre che dal giochino "manca" (Dalla? De Andrè? Paoli?).
Sono vecchio, e resto tanto tra i 70 e gli 80. Alla fine, scartate con dispiacere "Sabato pomeriggio", "Gocce di memoria" e "Occidentali's karma", sicuro su "La donna cannone" e "Quando", mi sono trovato a scegliere la terza tra "Albachiara" e "Certe notti". E ho poi deciso per Liga.

NB la più bella per me è "Almeno tu nell'universo". 

venerdì 5 giugno 2020

Dire tutta la verità

Sempre più spesso mi trovo a citare Luca Ricolfi.
In effetti lo stimo molto e per questo ricerco e leggo le sue analisi sul sito della fondazione Hume.
Capita anche, però, che ritrovo da lui ben espresse idee che ho maturato nella mia ben più modesta mente.
In questo articolo pubblicato su Il Messaggero per esempio, dopo aver disvelato le aporie ideologiche che dominano certe scelte (tipo "riapriamo tutti assieme"), descrive il "sovracosto" della riapertura regionale.
Il presupposto è che abbiamo riaperto senza effettivamente essere certi che il virus sia scomparso, senza essere pronti a conviverci con sicurezza. 
A mio avviso è stata una scelta buona, che doveva essere fatta anche prima. 
E' mancata l'esplicitazione della scelta politica, prima ancora del fatto che ci sia stata una scelta politica: Quando ci sono due valori in ballo, è normale che sia la politica a decidere. E nessuno può dire qual è il “tasso di cambio” ragionevole fra un punto di Pil in meno e 1000 morti in più
Questa del "tasso di cambio" è una cosa che io sostengo da tempo, con pochi interlocutori fidati. Non che possa essere calcolato, ma che il cuore del problema insista nello stabilire che vi sia un numero di decessi non accettabile per salvare l'economia (e che quindi, sotto quel numero, diventi accettabile), mi è stato chiaro fin dall'inizio. 
Probabilmente non è cosa che riuscirebbe ad essere spiegata, da questa classe dirigente, a questo popolo. Nessuno potrebbe permettersi questo discorso: La rinuncia a renderci coscienti dei maggiori pericoli cui stiamo per andare incontro rende il costo della salvaguardia dell’economia ancora più alto di quel che sarebbe se le autorità parlassero chiaro, e osassero dirci la verità: l’epidemia non è sotto controllo, i pericoli sono ancora molto grandi, se riapriamo non è perché siamo in grado di farvi lavorare e divertire “in sicurezza”, ma perché abbiamo deciso che la priorità è salvare l’economia e restituirvi un po’ di normalità.

mercoledì 3 giugno 2020

Cima Avostanis

Sono due anni che non parlo delle "mie montagne".
Ma non le ho certo abbandonate.
Con la mente soprattutto, perchè ogni volta che vedo splendere il sole e volgo lo sguardo a Nord, al nostro arco alpino, sogno di essere lassù.
E' una cosa che mi manca sempre tantissimo.
Tra la fine del 2018 e l'anno passato ho fatto alcune uscite, tra cui significativo il da tempo agognato "Iof di Miezegnot", un passaggio al vecchio caro Cuarnan e un paio di gite al Rifugio Nordio - Deffar, al Pura e al rifugio Vault.
Anche ieri ho programmato una gita familiare, che inizialmente doveva puntare al capanno Brunner sopra Cave, ma poi è stata dirottata sul laghetto Avostanis.
Si prevedeva un certo afflusso alla Casera Pramosio, tuttavia il numero di macchine che vi abbiamo trovato è stato veramente sorprendente, abbiamo parcheggiato a diverse centinaia di metri.
Ci siamo quindi incamminati sul facile percorso verso il laghetto, lungo la strada comoda anche se a tratti un po ripida, comunque adatta anche ai meno allenati, per raggiungerlo in poco più di un'ora (abbiamo proceduto a ritmo decisamente lento).
Nel mentre pranzavo in riva al lago a quota 1940, ho sentito che la cima era a solo mezzora, ed ho deciso di staccarmi dalla compagnia per raggiungerla.
Praticamente correndo in circa venti minuto sono giunto al culmine della Cima Avostanis a 2193 metri, godendomi il bel panorama con vista sulla Creta di Timau e su tutto il versante austriaco.
Nel mentre salivo, pensavo che questa non è "la grande bellezza", è "la vera bellezza".