Di Emanuele Macaluso e Claudio Petruccioli
Tra le ricorrenze di quest'anno c'era il centenario del PCI. Nel mentre sceglievo il libro adatto per celebrarla a modo mio (leggendone la storia) mi sono imbattuto nella notizia della pubblicazione di questo, che ho poi acquistato nel corso del pellegrinaggio alla libreria Feltrinelli di largo Torre Argentina, per me tappa obbligata in ogni viaggio a Roma.
Prima della pubblicazione è mancato Macaluso (ennesima intelligenza di cui dobbiamo fare a meno); e non mi ricordo chi ci ha visto un segnale, una sorta di parola fine del riformismo (almeno collegato a quel partito lì e ai suoi eredi).
Del congresso di Livorno non parla, parte dal dopoguerra quando Macaluso inizio la sua militanza e può testimoniare fatti di cui ebbe esperienza diretta. Non è nemmeno una storia del PCI, dichiarano gli autori, ma una raccolta di opinioni sui fatti che hanno vissuto da protagonisti.
La conversazione tocca i principali snodi della vita del PCI-PDS-DS, fino all'89 con alcuni leit-motiv quali il rapporto con l'URSS, la vita interna in relazione al dissenso, i rapporti con il PSI.
Più analitico e critico è Petruccioli, incline a chiedersi se le cose potevano andare diversamente.
Macaluso offre la sua memoria soprattutto per spiegare il perchè di certe scelte anche discutibili; nel PCI di Togliatti e poi in quello di Berlinguer e suo, anche la realpolitk si motivava con la tensione al miglioramento della società, delle condizione dei più deboli. Tensione che poi si è persa quando il problema unico è stato andare al governo.
Uomo d'altri tempi, tempra eccezionale, intelligenza acuta, capace di ascoltare e vogliosa di ricordare ancora ai giovani con parole antiche: "se non unite la vostra militanza al mondo del lavoro, se non capiamo che questa è la questione fondamentale, la questione sociale...".
Come ha detto Peppe Provenzano nella bellissima orazione al suo funerale, "aveva buona memoria, perchè ricordava con il cuore", come la gente della terra di Joseph Roth.
Ascoltare per credere l'ultimo comizio a Portella della Ginestra, 72 anni dopo il primo:
"Mi prendeva sottobraccio, mi insegnava che bisogna sempre guardare non solo ai bisogni delle persone, ma anche ai loro desideri, non solo alle sofferenze, ma alle loro gioie"
Una storia così, dallo zolfo alle stelle, è una storia che non muore. Si spegne il faro, resta la scintilla
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