domenica 21 marzo 2021

La dittatura argentina (1976-1983)

 di Marcos Novaro


In rilettura, questo breve saggio sulla dittatura argentina: ho trovato come segnalibro un biglietto di Udinese - Atalanta del 2 dicembre 2015.

Testo breve, ma molto concentrato, in cui la descrizione delle vicende del Proceso sono contestualizzate con una premessa sui precedenti "quarant'anni di fallimento" ed un seguito su "transizione democratica e retaggi autoritari".

L'autore non è uno storico, ma uno docente di scienze della politica ed i fatti vengono narrati nella ricerca delle loro cause politiche.

Delle vicende che portarono al golpe viene descritta la sostanziale ineluttabilità, nella situazione di incapacità del governo di reagire alle difficoltà economiche ed al timore di una guerra civile (più temuta che attuale, osserva Novaro: ed in via di riflusso), di fronte alla quale l'intervento delle forze armate trovò, se non consenso, sostanziale rassegnazione della maggioranza della popolazione. Del tipo che abbiamo conosciuto anche noi: proviamo questi, peggio di quelli di prima non possono fare.

Novaro analizza distintamente come i militari affrontarono i due compiti che si pose: la repressione dei "sovversivi", attuata con le note e terribili modalità (ma capaci di non farlo "vedere" e quindi di consentire di ignorarlo), e la reazione alla drammatica crisi economica. Osserva che il primo, che fu l'elemento che alla fine metteva d'accordo le diverse anime del regime, paradossalmente finì per essere accettato come un male necessario, e finchè la giunta non fallì per altri motivi non trovò la reazione meritata dalla ferocia delle malefatte perpetrate.  

A logorare e determinare la fine del Proceso fu però il fallimento delle ricette economiche contro la crisi, nate monche per la persistenza di resistenze e interessi (i militari erano parte del sistema che l'aveva generate, alla fine), e troppo fondate sulla esistenza di condizioni esterne favorevoli, e le divisioni tra le armi e al loro interno. 

La successione dei tre presidenti e la guerra delle Falkland vengono descritti come episodi che interpretano, più che determinare, la fine della dittatura. 


Il ragazzo selvatico

di Paolo Cognetti


Lasciare tutto, andare a vivere in montagna, in una baita sperduta, per cercare (e forse non ancora trovare se stesso). 

Scoprire che nella solitudine più perfetta ciò che si cerca poi sono comunque dei rapporti: con le cose, gli animali, quei pochi altri solitari.

Scrittura sempre bella e piacevole, un po' una prova di quanto poi espresso ne "Le otto Montagne".

Comunisti a modo nostro

Di Emanuele Macaluso e Claudio Petruccioli


Tra le ricorrenze di quest'anno c'era il centenario del PCI. Nel mentre sceglievo il libro adatto per celebrarla a modo mio (leggendone la storia)  mi sono imbattuto nella notizia della pubblicazione di questo, che ho poi acquistato nel corso del pellegrinaggio alla libreria Feltrinelli di largo Torre Argentina, per me tappa obbligata in ogni viaggio a Roma.
Prima della pubblicazione è mancato Macaluso (ennesima intelligenza di cui dobbiamo fare a meno); e non mi ricordo chi ci ha visto un segnale, una sorta di parola fine del riformismo (almeno collegato a quel partito lì e ai suoi eredi).
Del congresso di Livorno non parla, parte dal dopoguerra quando Macaluso inizio la sua militanza e può testimoniare fatti di cui ebbe esperienza diretta. Non è nemmeno una storia del PCI, dichiarano gli autori, ma una raccolta di opinioni sui fatti che hanno vissuto da protagonisti.
La conversazione tocca i principali snodi della vita del PCI-PDS-DS, fino all'89 con alcuni leit-motiv quali il rapporto con l'URSS, la vita interna in relazione al dissenso, i rapporti con il PSI.
Più analitico e critico è Petruccioli, incline a chiedersi se le cose potevano andare diversamente.
Macaluso offre la sua memoria soprattutto per spiegare il perchè di certe scelte anche discutibili; nel PCI di Togliatti e poi in quello di Berlinguer e suo, anche la realpolitk si motivava con la tensione al miglioramento della società, delle condizione dei più deboli. Tensione che poi si è persa quando il problema unico è stato andare al governo.

Uomo d'altri tempi, tempra eccezionale, intelligenza acuta, capace di ascoltare e vogliosa di ricordare ancora ai giovani con parole antiche: "se non unite la vostra militanza al mondo del lavoro, se non capiamo che questa è la questione fondamentale, la questione sociale...". 
Come ha detto Peppe Provenzano nella bellissima orazione al suo funerale, "aveva buona memoria, perchè ricordava con il cuore", come la gente della terra di Joseph Roth.

Ascoltare per credere l'ultimo comizio a Portella della Ginestra, 72 anni dopo il primo:

"Mi prendeva sottobraccio, mi insegnava che bisogna sempre guardare non solo ai bisogni delle persone, ma anche ai loro desideri, non solo alle sofferenze, ma alle loro gioie"
Una storia così, dallo zolfo alle stelle, è una storia che non muore. Si spegne il faro, resta la scintilla

sabato 20 marzo 2021

Una storia fiscale dell'Italia repubblicana (ed un suo illustre protagonista)

Tra i molti, questi tempi si sono portati via anche Gianni Marongiu. 

Professore universitario, ministro e sottosegretario, da parlamentare padre dello Statuto del contribuente, è stato anche l'autore di diversi libri che nel loro insieme completano una "storia fiscale" d'Italia di cui ho recentemente avuto modo di completare la collezione, grazie alla riedizione della parte relativa all'Italia fascista.

Si tratta di testi che hanno attratto in maniera particolare la mia attenzione, coniugando la ricerca storica con un oggetto di cui mi occupo per mestiere, e che hanno un altissimo pregio storiografico, cui uniscono la capacità di una riflessione incentrata sull'etica del tributo (ben descritta in questo ricordo su fiscooggi). 

Ebbi l'occasione di complimentarmi con il professore una volta che lo incontrai al convegno che annualmente organizzava in Castello il dottor Lunelli, altra persona che ci ha lasciato in questo anno infame; gli dissi in particolare che ero affascinato dall'apparato delle note, che inducevano nel lettore voglia di comprare una biblioteca (in misura pari all'ammirazione per la cultura di chi le aveva vergate).

Il libro affronta l'ultima parte della "storia", significativamente diversa per le premesse in un periodo in cui per il Paese di prospettava la necessità della ricostruzione materiale e morale, per l'importanza dell'inserimento in Costituzione del principio "no taxation without representation" (l'articolo 23 della Costituzione, ove la riserva di legge evidenzia il rapporto tra tributo e natura democratica dell'ordinamento) e della valenza anche giuridica del dovere di contribuzione, delineata significativamente dall'articolo 53 come concorso e non come obbligo.

Vero oggetto del libro, che pure non manca di accompagnare la descrizione degli avvenimenti politico-istituzionale con quella delle principali innovazioni in materia fiscale e finanziaria, è la dialettica tra l'afflato all'attuazione di tali principi, proprio di alcune personalità di spicco e della parte più avveduta della classe dirigente, e la mutevole capacità della politica di farsene carico.

Emerge nella prima fase, quella che Marongiu definisce del "riformismo centrista", la figura di Ezio Vanoni, padre della dichiarazione annuale, artefice della sistemazione del sistema tributario nel primissimo dopoguerra, ma anche erede di una tradizione di uomini di stato ispirata da parole come queste: "Bisogna avere il grande coraggio, la grande fantasia, veramente la grande fantasia nel nostro paese, di non fare cose inutili, formali, e di fare magari modeste cose ma che veramente contano, come ad esempio rimettere gradatamente a posto i diversi servizi e i diversi uffici, fino a fare in modo che ad ogni funzione corrisponda lo strumento adatto, essere sicuri che ad una determinata imposizione del Parlamento corrisponda la possibilità di esecuzione delle norme contenute nelle diverse leggi". Uomo animato dagli stessi principi che l'autore sente profondamente suoi, citandone nell'introduzione la seguente espressione rivolta ad un convegno accademico: "Voi che avete nelle vostre mani gli strumenti della tecnica economica, potete e dovete diffondere questa persuasione in mezzo al popolo italiano: che non esistono miracoli, in economica, che non esistono macchine capaci di creare automaticamente il benessere, ma esistono modi di ragionare, esistono impegni che, se assunti in modo conseguente e lucido e con fondamento, possono portare ai risultati di sviluppo, di tranquillità, di equilibrio politico e sociale che interessano ognuno di noi.

La trattazione procede, attenta sul lato più "politico" alle vicende del riformismo nelle varie fasi della storia repubblicana, attorno ad alcuni temi chiave: l'attuazione dei principi costituzionali; il ruolo della finanza locale ed i danni causati dall'assenza dell'autonomia anche finanziaria; l'attenzione al fenomeno tributario essenzialmente in termini quantitativi, come strumento di finanziamento di una spesa pubblica al cui controllo non si è dedicata la dovuta attenzione. 

Alla riforma nel mezzo dei "tragici anni 70" succede un periodo che Marongiu definisce "una occasione perduta": la rinascita economica negli anni 80 diviene paradossalmente il momento in cui la spesa esce dal controllo generando la crescita del debito pubblico di cui ancor oggi  scontiamo le conseguenze.

Raffrontando quel decennio a quello successivo, gestito da una classe dirigente e politica cui Marongiu partecipò in prima persona, rivendica (senza mai nominare il proprio operato e la propria partecipazione) i successi conseguiti negli anni novanta che videro (oltre che gli ultimi significativi successi nella razionalizzazione del sistema tributario) la riduzione del debito e l'ingresso nell'euro contro ogni previsione e da sfavorevoli condizioni di partenza. Alla sua generazione attribuisce (indirettamente, ma evidentemente, richiamandosi ad altre di cui ha descritto i meriti nelle sue "storie") i meriti di aver saputo interpretare la lezione enaudiana: "la base morale dell'economia politica non è la soddisfazione degli appetiti, ma l'espletamento dei doveri onde lavoro, pazienza, giustizia pace e disciplina sono le molle principali della produzione economica"

Giunto all'epilogo lo storico lascia il campo al politico, al teorico. Lamenta l'arrestarsi della capacità riformista, della cui esigenza fornisce una bella enunciazione: "la società industriale, anche in un contesto liberal democratico (quello nel quale fortunatamente ci si muove), è sempre contraddistinta da due caratteristiche tra loro contraddittorie: essa, da un lato, proclama l'uguaglianza dei cittadini (con riguardo ai loro diritti civili e politici) e , dall'altra, produce più o meno gravi ineguaglianze dei loro redditi e dei loro modelli di vita; e tale ineguaglianza è spesso determinata non già dai meriti e dai demeriti individuali, bensì dai diversi punti di partenza sociali".

Stigmatizza il deterioramento della capacità del Parlamento di determinare linee guida e contenuti della politica fiscale, indebolendo il legame che fa del "consenso", democraticamente espresso nella assemblea rappresentativa, rende i tributi parte di un concorso consapevole ed eticamente rilevante alle spese pubbliche, non un obbligo spregiato e vilipeso. 

In una bella pagina viene elegantemente sbeffeggiata la bieca e volgare (aggettivi miei) espressione "mettere le tasche nelle mani degli italiani. Essa offende l'intelligenza dei cittadini di cui vellica gli istinti, nascondendogli che le risorse non reperite con l'istituzione di nuovi tributi vengono trovate altrimenti ed in maniera meno trasparente (ad esempio con il fiscal drag o con l'inasprimento di regole procedurali), ma soprattutto capovolge l'impostazione costituzionale per la quale i tributi sono prezzi pagati da ciascuno per garantire i servizi (ed i diritti) di tutti, e non la "copertura di spese". Non è l'unica stoccata destinata a Berlusconi e Tremonti, significativamente non citati nel testo, se si leggono le pagine in cui si criticano le (propagandistiche) abolizione dell'IMU e dell'imposta sulle successioni.

Le prospettive future vengono delineate intorno alla attuazione di premesse già esistenti, attorno ai principi dello Statuto (la cui approvazione, viene da pensare per pudore, non trova forse lo spazio che meriterebbe: certezza e diritto da perseguire soprattutto con una legislazione più razionale, codice tributario che garantisca l'unità del sistema, l'attenzione dell'amministrazione al cittadino, la soluzione del problema di una giurisdizione tecnicamente attrezzata.

In seguito all'insorgenza nazional-populistica tutta una cultura politica è entrata in crisi e sembra, quindi, imporsi un ritorno alla ragione e al rispetto della Costituzione.

In questa direzione vogliono muoversi le indicazioni sopra delineate, forse modeste, ma sicuramente utili per il "buon governo" di un dovere tanto delicato quale è l'obbedienza fiscale: ridare al Parlamento la sua antica funzione , dare nuovo vigore all'art. 23 della Costituzione, ribadire, a difesa degli individui e al di sopra delle corporazioni burocratiche, la supremazia del diritto, rinforzare il ruolo della "iuris dictio".

venerdì 19 marzo 2021

Ritratto perfetto

 

Sono io: calcio, libri, montagne, musica.

E la barba mal fatta.

mercoledì 17 marzo 2021

Sogna, ragazzo sogna

Piange, Marco Tardelli ascoltando Roberto Vecchioni che canta per lui Sogna, ragazzo sogna alla nuova trasmissione "Canzone segreta"


E se piange lui, campione forte e senza paura, allora posso piangere anch'io. Ognuno pensando alle sue cose, ognuno con il suo viaggio, ognuno in fondo perso, dentro ai fatti suoi

E' stato giovane e invincibile, ha lottato per il sogno di un bambino
Sogna, ragazzo sogna
Non cambiare un verso della tua canzone
Non lasciare un treno fermo alla stazione
Non fermarti tu
Ora è davanti alle foto con Pablito ed i suoi gemelli, mentre risuonano queste parole:
La vita è così vera
Che sembra impossibile doverla lasciare
La vita è così grande
Che quando sarai sul punto di morire
Pianterai un ulivo
Convinto ancora di vederlo fiorire
Non può trattenersi nemmeno l'indomabile leone, re dei centrocampisti di cui è ineguagliato modello di completezza.
Sogna, ragazzo sogna
Quando lei si volta
Quando lei non torna
Quando il solo passo
Che fermava il cuore
Non lo senti più
Sogna, ragazzo, sogna
Passeranno i giorni
Passerrà l'amore
Passeran le notti
Finirà il dolore
Sarai sempre tu

A tutti la vita presenta il conto, alla fine ciascuno è solo con se stesso 

Sogna, ragazzo sogna
Piccolo ragazzo
Nella mia memoria
Tante volte tanti
Dentro questa storia
Non vi conto più
Sogna, ragazzo, sogna
Ti ho lasciato un foglio
Sulla scrivania
Manca solo un verso
A quella poesia
Puoi finirla tu

Evasione di vaccino

Manca un elemento di chiarezza nell'attuale esigenza di accelerare la campagna vaccinale, sopito dalla carenza di dosi che ha spostato in avanti il problema.

Di fronte ad un problema di tutti, e con il vaccino che si prospetta come unica soluzione, l'inoculazione deve essere obbligatoria. 

Clamoroso è il caso dei sanitari che rifiutano una misura certamente necessaria per operare negli ospedali: evidente situazione di inidoneità all'impiego, che richiede la semplice misura di lasciare a casa il dipendente senza stipendio.   

Che la vaccinazione debba essere un obbligo per tutti emerge chiaramente nel momento in cui appaiono i primi (presunti) effetti collaterali: molti non vorranno vaccinarsi, aspettando di fruire dell'immunità di gregge guadagnata dalla vaccinazione degli altri.

Queste persone sono dei free rider della più autentica specie: individui che vogliono fruire di vantaggi collettivi il cui costo è pagato dagli altri.

Come le evasore e gli evasori fiscali, sarebbe bene che qualcuno lo spiegasse.

domenica 14 marzo 2021

Tutti in fila, come Mattarella!?!?

La foto di qualche giorno fa del Presidente della Repubblica in fila con gli altri (beh, quasi) per il vaccino, è stata una immagine potente.


Nessun privilegio, tutti in coda aspettando il proprio turno (ed il proprio dovere, soggiungerei). 

Draghi ha poi richiamato l'esempio di Mattarella per indicare la via dell'ordinata disciplina nell'attesa dei vaccini come strada per uscire da questa crisi.

Tutto magnifico, finalmente esempi virtuosi dalle istituzioni, dai politici?

Ho qualche dubbio, di cui ho trovato riscontro in un commento di Cerasa per il quale l'immagine "ci ricorda un altro vaccino che manca all’Italia: contro l’uno vale uno".

Ma come, dico io, da quando inutili polemiche erano partite per la vaccinazione di De Luca qualche settimana fa: non è ben importante avere ora una catena di comando efficiente? Non sarà il caso di vaccinare subito, in maniera da preservarli, Presidenti della Repubblica e del Consiglio, Ministri, Presidenti di Regione?

C'era l'occasione per spiegare che siamo tutti uguali, ma la funzione attribuita a qualcuno richiede che venga preservata anche la persona la ricopre; e due figure come Mattarella e Draghi, dotate dell'autorevolezza per non fare passare una normale cautela come privilegio, dovevano cogliere l'occasione per spiegare l'idiozia profonda dell'uno vale uno come è stato declinato alle latitudini populiste.

Con il ragionamento cui stiamo applaudendo, Mattarella deve fare la fila anche lui, dovremo conseguentemente togliere a lui e a tutti la scorta.


Montagne 2020

 Pal Piccolo





Rifugio Pellarini



Monte Lussari


Monte Forno - Tre confini




Sentiero rifugio Grego




Val Saisera




Fusine Laghi

Ta Lipa Pot - Stolvizza



Villagio Austriaco dopo sentiero Nordio - Deffar


sabato 13 marzo 2021

Scriviamolo al femminile

L'Agenzia delle Entrate ha pubblicato delle linee guida per la redazione dei documenti con linguaggio rispettoso delle differenze di genere.
Scriveremo "Direttrice", "Avvocata", financo "evasora". Diremo: "la funzionaria responsabile del procedimento" e "cari colleghi e care colleghe".
Quando ho letto la prima volta dell'iniziativa la mia reazione ha comportato pensieri che possono essere riassunti nel concetto del "benaltrismo", del tipo "ci preoccupiamo delle parole quando i problemi sono ben più gravi" oppure "voglio vedere cosa cambia nel rapporto tra uomo e donna se il Direttore diventa Direttrice".
Credo si tratti di un atteggiamento che in generale ha il difetto di non considerare che ai grandi cambiamenti contribuiscono anche le piccole cose, i quali dipendono (anche) da noi, senza che possiamo esentarci da un piccolo sforzo per l'osservazione che il ben altro che serve non compete a noi.
Nel caso di specie, aiutato dalla lettura del documento, ho mutato questo atteggiamento sulla base della riflessione, che ne costituisce la premessa, inerente al ruolo del linguaggio nella percezione e nella modifica della realtà. 
Essa mi ha portato a capovolgere l'iniziale pensiero per il quale l'iniziativa in parola avrebbe un carattere ideologico: è forse ideologica l'atteggiamento che la banalizza, direi ora.
Ciao a tutte e tutti.

domenica 7 marzo 2021

Camminare nella speranza e mai lasciare di guardare le stelle

Su questo papa mi tengo la mia opinione, di persona che, dal di fuori, comprende i molti cattolici che non si danno motivo del perchè il loro capo voglia portarli ad essere una cosa così diversa dalla comunità religiosa che sono stati per duemila anni.

Tuttavia il viaggio intrapreso in Iraq è un gesto di un coraggio e di un'importanza tali che è impossibile non provare ammirazione e riconoscenza, oltre che immaginare l'emozione delle persone di ogni fede di quelle terre martoriate.

Incontrandosi con il leader degli sciti, come già fece con l'imam sunnita, ha tolto nuovamente l'alibi ai tagliagole, agli assassini blasfemi: Il nome di Dio non può essere usato per «giustificare atti di omicidio, di esilio, di terrorismo e di oppressione».

La fratellanza con gli sciiti non sarà forse il più autenticamente cattolico dei valori; ma, al diavolo distinzioni e piccinerie, come immaginare una passo più grande, più reale, più sincero sulla via della vera pace, della comprensione tra gli uomini?

"Non ci sarà pace senza popoli che tendono la mano ad altri popoli. Non ci sarà pace finché gli altri saranno un loro e non un noi. Non ci sarà pace finché le alleanze saranno contro qualcuno, perché le alleanze degli uni contro gli altri aumentano solo le divisioni. La pace non chiede vincitori né vinti, ma fratelli e sorelle che, nonostante le incomprensioni e le ferite del passato, camminino dal conflitto all’unità."

Fratelli tutti, un sogno che solo la fede può concepire.

sabato 6 marzo 2021

L'insanabile gap

In un interessante articolo del corriere viene analizzato il ritardo dei paesi europei nella campagna vaccinale, rispetto ad altre nazioni come gli Stati Uniti, il Regno Unito o Israele, sotto un punto di vista interessante, che evoca un tema su cui rifletto da parecchio tempo.

La tesi dell'autore è che la principale spiegazione è nella "differenza tra pragmatismo, accompagnato da una certa fiducia nella pubblica amministrazione che rende possibile concederle una forte discrezionalità, e un approccio giuridico, basato spesso sulla necessità di limitare il più possibile la discrezionalità della pubblica amministrazione".

Gli americani, in pratica, hanno delineato gli obiettivi (produrre al più presto un numero sufficiente di vaccini), hanno messo a capo di una snella struttura due persone estremamente competenti, riempendola di dollari e con la facoltà di fare tutto quanto funzionale allo scopo, senza dover rendere conto di nulla se non del raggiungimento del risultato.

Impensabile da noi (e in un'Europa che in quanto a burocraticismo non si fa certo preferire).

L'eccesso di mentalità giuridica nell'azione pubblica, a scapito della sua efficienza, è un fardello la cui eliminazione non appare nemmeno all'orizzonte, posto che la tematica, oltre a trovare le sue motivazioni nel principio cardine dell'organizzazione amministrativa, che è la sfiducia (ahimè spesso giustificata) nei pubblici funzionari, è lungi dall'essere percepita.

Se temo che il mio dipendente utilizzi i poteri che gli concedo per arricchirsi, dovrò limitarlo con un  numero di regole talmente precise che i tempi e i modi del suo agire inevitabilmente ne risentiranno in termini di capacità di realizzare al meglio gli obiettivi che gli ho affidato. 

A questo si aggiunge che non vengono realmente misurati in termini di costi-benefici gli effetti delle regolamentazioni, delle gestioni, delle singole attività, invece soggette a plurimi controlli sulla conformità ad altre regole. 

Finchè la domanda di "legittimità" prevarrà, anche nel sentire comune, sulla efficacia ed efficienza, questo gap rimarrà sempre lì, a limitare gli sforzi di modernizzazione.

Numero chiuso a giurisprudenza?

martedì 2 marzo 2021

Grazie, mister Gorbaciov

Compie oggi 90 anni Mikhail Gorbaciov.

Una volta ho detto a mio figlio: "Quando mancherà quest'uomo, vedrai quanta partecipazione, quante celebrazioni".

Non lo so se andrà così. Così tanti anni sono passati, da quando quest'uomo era il più potente della terra e provò, fallendo, a cambiare l'altra metà del pianeta (per salvarne l'alterità). Le cose poi non sono andare come voleva lui; nel suo Paese non è amato, è colui che ha distrutto una superpotenza. E' in pratica dimenticato da quelli che non lo odiano

 Ma se c'è uno che ha fatto la storia, cavolo, quello è Mikhail Gorbaciov. 

Ero bambino che si parlava di guerra nucleare come prospettiva temibilmente concreta. Sting si chiedeva se anche i Russi amassero i loro figli.

Quest'uomo apparse al vertice di uno stato buro-autocratico, una ferrea dittatura i cui simboli veri erano il KGB e l'Agenzia TASS, e prese a parlare di distensione, rinnovamento e trasparenza.

E le portò avanti, a costo del suo fallimento personale.

Divenne quasi una specie di eroe pop, incarnò la speranza di un mondo intero di scacciare quell'incubo. 

Il 7 ottobre 1989 a Berlino, mentre era a fianco di Honecker per celebrare i 40 anni della DDR, un coro spontaneo partì dalla folla: "Gorby, Gorby". Non sapevano che un mese dopo avrebbero camminato a Berlino Ovest; ma sentivano che, se era possibile sognarlo, era grazie a quell'uomo.

A Herzog che gli ha chiesto cosa ci sarà scritto sulla sua lapide ha risposto: "ci abbiamo provato".

Ha fatto molto di più: grazie, mister Gorbaciov.