C'è voluto al solito il Presidente Mattarella, con un messaggio al solito misurato e capace di parlare ai cittadini nel linguaggio delle istituzioni, della Costituzione, per ricordare l'importanza del lavoro come fondamento della Repubblica.
Il lavoro è stato motore di crescita sociale, economica, nei diritti, in questi settantaquattro anni di Repubblica.
Perché il lavoro è condizione di libertà, di dignità e di autonomia per le persone. Consente a ciascuno di costruire il proprio futuro e di rendere l’intera comunità più intensamente unita.
Sorrido al pensiero che due giorni fa, con parole certamente meno ispirate, esprimevo sconsolato analogo concetto.
I ceti produttivi, imprenditori e lavoratori sono il motore della nostra società, la fonte della ricchezza comune cui molti, troppi altri non contribuiscono in eguale misura, cui poi dobbiamo la libertà di cui godiamo (godevamo?).
Aiutarli, invece di penalizzarli, dargli mascherine, non multe, consentire loro di ripartire per se stessi e per noi, questo dovrebbe essere l'unico pensiero fisso di un governo.
Se non per convinzione, per furbizia, per mantenere la vacca che mungiamo e ci fa vivere
Se non si è nemmeno in grado di dare, come dice il Presidente, indicazioni ragionevoli e chiare, quella di oggi è stata non la festa, ma il funerale del lavoro.
Da esponente di un mondo privilegiato, posto fisso, stipendio sicuro, che in questi giorni ha realizzato che in fondo in fondo il proprio lavoro non è così importante, almeno nel breve periodo, ci sto male, a pensare alle persone che soffrono perchè non possono lavorare, mentre a me il 23 hanno accreditato bel bella la mensilità.
Mi trovo a camminare incazzato nel giardino, distogliendomi dalla lettura dei resoconti di tanto disastro, purtroppo più rari degli alfieri di un pensiero unico, capace di stendere manifesti contro chi critica un governo così capace o inappuntabile, di bollare come "scellerato o delinquente" chi (quorum ego) pensa che siano possibili misure diverse da quelle prese.
Che tristezza, che amarezza.
A partire dal lavoro si deve ridisegnare il modo di essere di un Paese maturo e forte come l’Italia.
La fabbrica, i luoghi di lavoro, hanno orientato e plasmato i modi di vivere nei nostri borghi e nelle nostre città, e l’opera stessa delle istituzioni chiamate ad assicurare la realizzazione della solidarietà politica, economica e sociale prevista dalla Costituzione.I ceti produttivi, imprenditori e lavoratori sono il motore della nostra società, la fonte della ricchezza comune cui molti, troppi altri non contribuiscono in eguale misura, cui poi dobbiamo la libertà di cui godiamo (godevamo?).
Aiutarli, invece di penalizzarli, dargli mascherine, non multe, consentire loro di ripartire per se stessi e per noi, questo dovrebbe essere l'unico pensiero fisso di un governo.
Se non per convinzione, per furbizia, per mantenere la vacca che mungiamo e ci fa vivere
Se non si è nemmeno in grado di dare, come dice il Presidente, indicazioni ragionevoli e chiare, quella di oggi è stata non la festa, ma il funerale del lavoro.
Da esponente di un mondo privilegiato, posto fisso, stipendio sicuro, che in questi giorni ha realizzato che in fondo in fondo il proprio lavoro non è così importante, almeno nel breve periodo, ci sto male, a pensare alle persone che soffrono perchè non possono lavorare, mentre a me il 23 hanno accreditato bel bella la mensilità.
Mi trovo a camminare incazzato nel giardino, distogliendomi dalla lettura dei resoconti di tanto disastro, purtroppo più rari degli alfieri di un pensiero unico, capace di stendere manifesti contro chi critica un governo così capace o inappuntabile, di bollare come "scellerato o delinquente" chi (quorum ego) pensa che siano possibili misure diverse da quelle prese.
Che tristezza, che amarezza.
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