Fra i casi di schizofrenia nazionale, non sono rari quelli che traggono spunto dal travisamento, ignorante o doloso che sia, di alcune pronunce giurisprudenziali.
Secondo la Cassazione si può picchiare la moglie!
La Suprema Corte: i figli vanno mantenuti fino a quarant'anni!
E via berciando.
Trovandomi professionalmente nell'occasione di leggere sentenze e confrontarle con i commenti che appaiono sulla stampa, ho modo di sperimentare la superficialità e la palese inadeguatezza con la quale ne viene riportato il contenuto, giungendo spesso a fornire al lettore/spettatore un messaggio completamente distorto di quanto è stato effettivamente deciso.
Esempio singolare è la recente sentenza che ha deciso sul ricorso dei legali di Riina contro una ordinanza del Tribunale di sorveglianza che aveva rigettato una istanza di differimento della pena legata alle condizioni di salute. La sentenza ha ravvisato dei vizi di motivazione della sentenza, collegati all'attuale pericolosità del boss in connessione all'attuale stato di salute: il Tribunale dovrà nuovamente decidere, con motivazione più esaustiva.
La sentenza non ha detto che Riina deve essere scarcerato. E probabilmente non verrà scarcerato, dal Tribunale che riaffronterà la questione.
Le reazioni fondate sull'errata percezione di quel che è stato deciso misurano esattamente lo stato del nostro giornalismo, per il quale la caccia ad un titolo scandalistico è premiante rispetto ad un misurato resoconto dei fatti: e rendono l'idea di quale è lo stato del dibattito pubblico del nostro paese.
Tuttavia la questione che emerge maggiormente, nella vicenda, è la reazione all'enunciato della Cassazione così (più o meno correttamente poco importa) sintetizzato: "Anche Riina ha diritto a morire con dignità".
Esso generato variamente sconcerto, rabbia, irritazione. E le vittime della mafia? E i morti ammazzati? E i poveracci a cui nessuno pensa? E Provenzano, è pur morto in carcere, lui.
Nessuno (ma mi sarà sicuramente sfuggito) è arrivato a dirlo chiaramente: "No, lui no. Riina non ha diritto a morire con dignità". La conclusione lineare cui portato i vari dubbi manifestati.
E vabbè, è la parola dignità a portarci fuori strada.
Proviamo a toglierla.
Ci sono due questioni, entrambe risalgono a cosa vogliamo essere, noi comunità che vive nello stivale nell'anno di grazia 2017.
La prima è che ci sono degli istituti dell'ordinamento penitenziario, tra cui la sospensione della pena per motivi di salute e la detenzione domiciliare, che hanno dei presupposti individuati dalla legge e dei giudici chiamati ad riscontrarli nel caso concreto.
Se i presupposti non ci sono ed un giudice motivatamente lo accerta, gli istituti non si possono applicare.
Se i presupposti ci sono ed un giudice motivatamente lo accerta, gli istituti si debbono applicare.
Non si può guardare il nome del reo e decidere se una legge va applicata o meno. La forza della legge è la sua applicazione uguale per tutti, diversamente oltre a togliere la famosa scritta nei tribunali buttiamo a mare lo stato di diritto insieme alla Costituzione.
Questi concetti di disarmante semplicità devono resistere al dolore delle vittime e dei loro congiunti, che va compreso ma non vellicato nei suoi istinti deteriori, perchè una giustizia che non è vendetta è quello che distingue lo Stato da "loro".
La secondo è nel merito.
Sin qua basterebbe aggiungere un comma alla legge, dicendo che certi istituti non si applicano a certi reati. Molliamo allora il diritto positivo: sono giuste queste leggi? La detenzione finalizzata alla rieducazione, il rispetto come persone dei pluriomicidi e degli stupratori le vogliamo o ce le teniamo perchè il Costituente ce le ha infilate a tradimento nella carta e poi nella legge ordinaria?
Io rispondo sì. Quello che vorrei che fosse, la comunità che vive nello stivale nell'anno di grazia 2017, è un posto in cui c'è posto per l'ascolto dell'altro, in cui nessuno è mai perso, in cui i diritti che sono stabiliti per tutti, valgono anche per i reietti e per quelli che ci ripugnano.
Quando successe a Provenzano, c'era un politico che si occupò da par suo della questione. Ora, purtroppo non c'è più.
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