In un'idea inscritta in modo inscalfibile nel mio modo di pensare, credo comune a quello della mia generazione, due erano le prerogative personali che maggiormente rendevano meritevoli di stima e buona reputazione.
La prima era l'intelligenza, la seconda la cultura.
Entrambe oggi le sento nominare sempre meno, sostituite da più moderni "valori" capaci di connotare una persona considerata.
La capacità di comprendere le cose oltre le immediate apparenze, di ricercare connessioni, gli universali sembra svalutata dal gran numero di soluzioni precostituite che la rete mette a disposizione: l'unica fatica è scegliere a chi delegare oggi la comprensione di quello che accade. Piuttosto va sempre più di moda l'abilità nel ricercare la nicchia nel quale massimizzare il proprio interesse, del tutto rispettabile quando non diventa miope furbizia da free rider.
Le persone più considerate sono quelle capace di coinvolgere, determinate, dotate di leadership piuttosto che di talento o fantasia: molto raro sentire una frase tipo "però, quello è veramente intelligente!".
Per quanto riguarda la cultura, non parliamone nemmeno.
Per un teenager la virtù di uno che ha letto molti libri, che padroneggia una disciplina, che è in grano di interconnettere grazie alle sue conoscenze ambiti cognitivi diversi, è vista probabilmente alla stregua di come noi consideriamo le capacità guaritive di uno sciamano.
Il lavoro intellettuale perde in considerazione, i libri sono un oggetto per boomer, l'approfondimento lascia spazio ai riassuntini e alle infografiche.
Aumenta la complessità, si svaluta la capacità di affrontarla.
Non mi ci ritrovo tanto, mi sa che è ora di passare la mano.
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