Ho approcciato con molto interesse questo breve saggio, a comporre una personalissima trilogia da lettore, con la monumentale biografia di Massimo Pini su Craxi e l'autobiografia di Martelli.
E' indubbio che la materia mi appassiona non poco, tanto per il riguardare (una parte di) quel milieu laico - riformista che è fra i miei riferimenti politici, quanto per i molti dubbi che a mio avviso genera il finale della sua storia, quanto infine per la consapevolezza di non aver colto, nel momento in cui vivevo parte degli eventi, il loro vero significato.
A cavallo degli anni 90 ero un lettore (supergiù quindicenne) di Repubblica; sulla soglia della maggiore età ho vissuto con molti altri Tangentopoli come una speranza di rinnovamento, di un Paese migliore che ben si confaceva con la verde età delle speranze, delle illusioni.
Solo dopo, aiutato dal senno del poi e della sempre maggiore frequentazione della radio radicale, ho compreso l'abisso in cui conduceva certo giustizialismo, e la ingenuità di certe speranze, di certi unilaterali affidamenti.
Il libro dichiaratamente non è una biografia. Un po' tributo personale, un po' manifesto politico, inevitabilmente tende all'indulgenza, che personalmente perdono per la stima che ho di entrambi.
Nella prima parte Martelli individua per sommi capi i principali meriti che attribuisce al Craxi politico: il recupero delle tradizioni riformiste, la difesa dell'autonomia politica, il sostegno ad una rivisitata versione del socialismo liberale rossettiano, l'aver ricomposto una frattura tra il patriottismo ed il socialismo, ed infine la passione per la libertà che ha caratterizzato il suo impegno internazionale a favore di popoli e movimenti.
La seconda parte ripercorre le tappe della ascesa e della caduta di Craxi; ne ricorda oltre ai molti alcuni errori. Attribuisce infine la caduta al culmine di una lotta politica che vide convergere gli interessi del "quarto partito", il partito del potere e del denaro, con il regolamento di conti da parte di alcuni acerrimi avversari, con la nuova situazione internazionale che paradossalmente finì per dare nuova verginità agli sconfitti.
Martelli, che in tutto il libro non parla di sè nel del suo rapporto con Craxi, dà insomma una lettura integralmente politica alla vicenda, del tutto svalutando la portata decisiva della questione morale, e paradossalmente anche gli aspetti "garantisti", su cui molti altri hanno incentrato i ricordi.
Del resto "Poiché era tutto politico, per vocazione e per professione, una volta che si era assegnato una missione la perseguiva assumendosi la responsabilità degli atti e delle parole, senza temere né di macchiarsi di una colpa né di affrontare l’odio. La colpa e l’odio sono inseparabili compagni dell’uomo politico come lo sono l’amicizia e la lotta.
Non si può diventare capi senza fare dei torti e senza macchiarsi di una colpa. Si comincia pensando di far male solo ai nemici atavici e agli avversari di turno, eventualmente ai loro amici e alleati e, non di rado, succede che lo si faccia pure ai propri amici e alleati. Talvolta persino a se stessi.
Del resto, anche se un politico sceglie infallibilmente il male minore, ha pur sempre scelto un male, è intrato nel male e si è macchiato di una colpa. Dunque, con ciò si è guadagnato l’odio almeno di una parte. Più lungo sarà il tragitto, più si estenderà il novero dei meriti e dei successi, più si allungheranno anche l’elenco dei torti e la lista delle colpe e degli odi.
La politica è un’arte così tremendamente difficile e derisoria che mentre ti illudi di usarla per cambiare il mondo, non ti accorgi che ha già cambiato te."
La rivendicazione del ruolo della politica è una costante: “La politica è sintesi di molti mestieri, una professione che non possono fare i dilettanti ma i professionisti di questo mestiere: i politici.” Sul punto Craxi rieccheggiava le parole di Croce: “L’unica vera onestà politica è la capacità politica, la capacità di realizzare gli scopi che ci si è assegnati. Nessun areopago di purissimi imbecilli potrà mai sostituirsi a una classe politica capace, espressa da una libera competizione democratica.”
Martelli precisa che non è possibile distinguere il politico dall'uomo: Craxi era un fighter, un combattente, un sincero democratico che, in tutta onestà e con tutta la serietà che il compito richiedeva, si assunse la responsabilità di difendere la democrazia dai suoi nemici. Ed era un politico educato alla dura scuola della realtà, perfettamente consapevole che la politica è la continuazione della guerra con altri mezzi, mezzi meno cruenti, anche se tutt’altro che pacifici. Così, del resto, era l’epoca in cui visse quasi tutta la sua vita, un’epoca affatto pacifica.
Nei "reduci" che recentemente hanno ricordato Craxi nel ventennale della morte è molto vivo il senso della comunità, il dolore per la sua dispersione. Infatti La storia di Craxi non è solo la storia di un leader politico e di un uomo di stato. È la storia di un’idea, di una tradizione politica che comincia assai prima ma che con lui si rinnova e si amplia, superando gli antichi confini, esplorando nuovi orizzonti.
Senza un recupero e un ripensamento del lascito di Craxi, quella storia rischia di esaurirsi nella condanna o nei travisamenti, nella diaspora o nell’oblio, e la storia del socialismo e quella italiana ne risulterebbero amputate e deformate.
Personalmente credo che al giorno di oggi siano temi che interessano poco e a pochi, in un Paese che già non brilla per l'onore che riserva alla memoria di sè.
Martelli prova a riepilogare, nell'epilogo:
Craxi era innanzitutto un democratico, un uomo della polis moderna, schierato per tradizione famigliare e per scelta personale dalla parte socialista, perché voleva lottare per la libertà, la giustizia e il progresso sociale in Italia e in tutto il mondo.
Per tutta la sua vita è stato un patriota – un socialista tricolore, cioè un nazionalista democratico – e un combattente per i diritti dei popoli e per i diritti dell’uomo e della donna.
Per tutta la sua vita politica ha contrastato la vecchia destra: dunque i reazionari, i bigotti, i nostalgici. Con ancor più decisione ha lottato contro la nuova destra, quella dalle buone maniere e dalle pessime abitudini tra cui, sovrana, quella di capitalizzare i profitti e socializzare le perdite, quella che, padrona del potere e del denaro, vorrebbe esserlo anche dello stato e della politica.
È stato il primo capo di governo socialista e, sollevandosi da uomo di parte a uomo di stato, ha guidato l’Italia a traguardi economici ineguagliati, conquistandole un prestigio internazionale altrettanto ineguagliato.
Voleva e ha perseguito una grande riforma della repubblica e delle sue istituzioni, ma ha mancato l’obiettivo per l’insuperabile e irresponsabile rifiuto di quasi tutte le altre forze politiche.
Nato e cresciuto nella repubblica dei partiti, troppo tardi ne ha descritto e condannato la degenerazione nel malaffare. Assumendosi con coraggio la sua parte di responsabilità in parlamento, si è esposto alla contestazione dei faziosi estremisti e alla persecuzione giudiziaria, che con lui si è accanita non solo per gli errori compiuti, ma anche per l’onestà di averli riconosciuti.
Vittima di una giustizia politica che con lui ha usato una durezza senza pari, ha trovato rifugio in un paese vicino, amico dell’Italia. Malato e stanco, dovendo affrontare un delicato intervento chirurgico gli è stato negato un salvacondotto per essere operato in Italia ed è morto per le conseguenze post-operatorie.
È stato il primo capo di governo socialista e, sollevandosi da uomo di parte a uomo di stato, ha guidato l’Italia a traguardi economici ineguagliati, conquistandole un prestigio internazionale altrettanto ineguagliato.
Voleva e ha perseguito una grande riforma della repubblica e delle sue istituzioni, ma ha mancato l’obiettivo per l’insuperabile e irresponsabile rifiuto di quasi tutte le altre forze politiche.
Nato e cresciuto nella repubblica dei partiti, troppo tardi ne ha descritto e condannato la degenerazione nel malaffare. Assumendosi con coraggio la sua parte di responsabilità in parlamento, si è esposto alla contestazione dei faziosi estremisti e alla persecuzione giudiziaria, che con lui si è accanita non solo per gli errori compiuti, ma anche per l’onestà di averli riconosciuti.
Vittima di una giustizia politica che con lui ha usato una durezza senza pari, ha trovato rifugio in un paese vicino, amico dell’Italia. Malato e stanco, dovendo affrontare un delicato intervento chirurgico gli è stato negato un salvacondotto per essere operato in Italia ed è morto per le conseguenze post-operatorie.
Come quella di Moro, anche la famiglia di Craxi ha rifiutato i funerali di stato offerti da un’ipocrita nomenklatura.
Riposa a Hammamet nel cimitero dei cristiani. La piccola tomba guarda il mare e l’Italia lontana. Sulla sua lapide sono incise le parole che tante volte ha ripetuto:
La mia libertà equivale alla mia vita.
Ogni anno, il 20 gennaio, migliaia di italiani si recano sulla sua tomba e depositano un fiore o un biglietto.
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