lunedì 12 giugno 2017

La cosa in cui sono più cambiato...

... è il rapporto con la verità, la necessità di dirla.
Quando avevo quindici e venti anni, non mi trattenevo, dicevo tutto quello che avevo in mente, convinto che le parole se ben utilizzate erano del pari comprese, e che non c'era ragione che non fosse meglio proporre al confronto, al dialogo.
Ora penso che meno si parla, meglio è.

domenica 11 giugno 2017

Certi diritti

Fra i casi di schizofrenia nazionale, non sono rari quelli che traggono spunto dal travisamento, ignorante o doloso che sia, di alcune pronunce giurisprudenziali. 
Secondo la Cassazione si può picchiare la moglie!
La Suprema Corte: i figli vanno mantenuti fino a quarant'anni!
E via berciando.
Trovandomi professionalmente nell'occasione di leggere sentenze e confrontarle con i commenti che appaiono sulla stampa, ho modo di sperimentare la superficialità e la palese inadeguatezza con la quale ne viene riportato il contenuto, giungendo spesso a fornire al lettore/spettatore un messaggio completamente distorto di quanto è stato effettivamente deciso.
Esempio singolare è la recente sentenza che ha deciso sul ricorso dei legali di Riina contro una ordinanza del Tribunale di sorveglianza che aveva rigettato una istanza di differimento della pena legata alle condizioni di salute. La sentenza ha ravvisato dei vizi di motivazione della sentenza, collegati all'attuale pericolosità del boss in connessione all'attuale stato di salute: il Tribunale dovrà nuovamente decidere, con motivazione più esaustiva.
La sentenza non ha detto che Riina deve essere scarcerato. E probabilmente non verrà scarcerato, dal Tribunale che riaffronterà la questione.
Le reazioni fondate sull'errata percezione di quel che è stato deciso misurano esattamente lo stato del nostro giornalismo, per il quale la caccia ad un titolo scandalistico è premiante rispetto ad un misurato resoconto dei fatti: e rendono l'idea di quale è lo stato del dibattito pubblico del nostro paese.
Tuttavia la questione che emerge maggiormente, nella vicenda, è la reazione all'enunciato della Cassazione così (più o meno correttamente poco importa) sintetizzato: "Anche Riina ha diritto a morire con dignità".
Esso generato variamente sconcerto, rabbia, irritazione. E le vittime della mafia? E i morti ammazzati? E i poveracci a cui nessuno pensa? E Provenzano, è pur morto in carcere, lui.
Nessuno (ma mi sarà sicuramente sfuggito) è arrivato a dirlo chiaramente: "No, lui no. Riina non ha diritto a morire con dignità". La conclusione lineare cui portato i vari dubbi manifestati.
E vabbè, è la parola dignità a portarci fuori strada.
Proviamo a toglierla. 
Ci sono due questioni, entrambe risalgono a cosa vogliamo essere, noi comunità che vive nello stivale nell'anno di grazia 2017. 
La prima è che ci sono degli istituti dell'ordinamento penitenziario, tra cui la sospensione della pena per motivi di salute e la detenzione domiciliare, che hanno dei presupposti individuati dalla legge e dei giudici chiamati ad riscontrarli nel caso concreto. 
Se i presupposti non ci sono ed un giudice motivatamente lo accerta, gli istituti non si possono applicare.
Se i presupposti ci sono ed un giudice motivatamente lo accerta, gli istituti si debbono applicare.
Non si può guardare il nome del reo e decidere se una legge va applicata o meno. La forza della legge è la sua applicazione uguale per tutti, diversamente oltre a togliere la famosa scritta nei tribunali buttiamo a mare lo stato di diritto insieme alla Costituzione.
Questi concetti di disarmante semplicità devono resistere al dolore delle vittime e dei loro congiunti, che va compreso ma non vellicato nei suoi istinti deteriori, perchè una giustizia che non è vendetta è quello che distingue lo Stato da "loro".
La secondo è nel merito. 
Sin qua basterebbe aggiungere un comma alla legge, dicendo che certi istituti non si applicano a certi reati. Molliamo allora il diritto positivo: sono giuste queste leggi? La detenzione finalizzata alla rieducazione, il rispetto come persone dei pluriomicidi e degli stupratori le vogliamo o ce le teniamo perchè il Costituente ce le ha infilate a tradimento nella carta e poi nella legge ordinaria?
Io rispondo sì. Quello che vorrei che fosse, la comunità che vive nello stivale nell'anno di grazia 2017, è un posto in cui c'è posto per l'ascolto dell'altro, in cui nessuno è mai perso, in cui i diritti che sono stabiliti per tutti, valgono anche per i reietti e per quelli che ci ripugnano.
Quando successe a Provenzano, c'era un politico che si occupò da par suo della questione. Ora, purtroppo non c'è più.

venerdì 9 giugno 2017

Pride (in the name of love)

Domani pomeriggio c'è il gay pride nella mia città.
Solite polemiche di piccolo cabotaggio: l'Università non doveva dare il patrocinio, facciamo una family day riparatorio, eccetera.
La maggioranza silenziosa mugugna silentemente. Queste sono carnevalate, folclore esibizionista e un po' volgare. Facciano quel che vogliono, ma perchè esibirsi in maniera così plateale? Di diritti, gli omosessuali, ne hanno più degli altri
I progressi oggettivi nei diritti delle persone con orientamento sessuale diverso da quello naturale (sì, naturale) non possono far dimenticare una storia recente di discriminazione, umiliazione, violenza, dolore. 
E allora si spiega l'orgoglio. L'orgoglio di averle sapute affrontare, come comunità e soprattutto come singole persone, in nome dell'amore e soprattutto della volontà di essere se stessi.
Per questo non mi dispiace, che la mia città ospiti questo corteo e quello che c'è intorno, e spero sappia farlo con la stessa civiltà con la quale ha esaudito il desiderio di Eluana.
Non alieno da ironizzare su tutto, comprese le tendenze (omo)sessuali, aspetto il momento in cui una battuta sui gay sarà accolta come una sugli juventini che rubano, sui genovesi tirati e sulle donne che hanno l'emicrania.
Quando ci potremo scherzare, sarà la fine dell'omofobia.



martedì 23 maggio 2017

La pelle è un tessuto che ha un valore se sotto ci sono tanti organi fra i quali il cervello e il cuore e quindi un’idea e una passione. Se per paura dovessimo rinunciare all’idea, a che ci servirebbe la pelle?

 

Pier Luigi Ingrassia, 1947

sabato 20 maggio 2017

Un anno senza Pannella

In tutti gli anniversari in cui si ricorda un celebre defunto, una tipologia di ricordi molto utilizzata è quella che fa riferimento a momenti personali che hanno legato l'autore alla persona di cui si parla.
Nel caso di Marco Pannella, un uomo che faceva del dialogo quasi amoroso con chiunque incontrava una ragione esistenziale, sono talmente tanti quelli che possono rievocare un aneddoto personale, che tra di essi ci sono persino io.

Elezioni politiche del 2008. Pannella in tour incontra i simpatizzanti e i militanti della regione in una sala dell'Astoria.
Mi invitano, vado, accompagnato da mia moglie all'ottavo mese del secondo figlio, e dal primo di neanche due anni nel passeggino.
Arrivo presto: entro nella sala deserta e trovo solo l'organizzatore. Anzi, no, in un angolo c'è un vecchio con una pila di giornali.
Mi si fa incontro l'organizzatore, che conoscevo, e lo sento:
"Marco, vieni qua che ti presento un compagno!"
Pannella si avvicina. Walter: "E qui c'è un piccolo radicale! E un altro è già pronto" (indica il pancione). 
Marco mi saluta con uno dei suoi ciao e dedica le sue attenzioni al piccolo Ciccio:
"e gheee! Buuu! te li mangio questi piedini!". E via andare.
Marco Pannella, il gigante burbero e buono, il mangiapreti, l'amico di froci zingari e carcerati, l'uomo abituato a battere il marciapiede chiedendo soldi e firme, si è messo a giocare con il mio bambino come ho visto fare solo a dei nonni rincoglioniti per il primo nipote. 
Perchè anche il figlio di uno sconosciuto era per lui una persona cui dedicare attenzione.


Con un canestro di parole nuove, calpestare nuove aiuole.

martedì 9 maggio 2017

Io e te

Sai che ho pensato sempre, quasi continuamente
Che non sei mai stata mia
Quello che potremmo fare io e te
Non l’ho mai detto a nessuno
Però ne sono sicuro
Quello che potremmo fare io e te
Non si può neanche immaginare

martedì 25 aprile 2017

Taliani

In Cina ci stiamo facendo una fama sinistra.
Rischiamo di passare un po' come dei napoletani a Milano, per gente che tira pacchi.
Due squadre gli abbiamo venduto a suon di milioni...

Corsi e rimorsi

Quello che questo luogo non deve diventare è una raccolta di pensieri altrui, per quanto alati.
Devono starci i miei.
Fanno eccezione alcuni pensieri non banali di uomini stimabili.
E fa eccezione la poesia.  Perchè la poesia sa dire quello che le parole non esprimono, che sa solo il cuore, dell'oggi e di sempre. 

E allora, ancora Borges. Ripescata da un amato volume, segnalata da un segnalibro lasciato lì, da quanto tempo non so. 

Il rimorso
Ho commesso il peggiore dei peccati
che possa commettere un uomo.
Non sono stato felice.
Che i ghiacciai della dimenticanza
possano travolgermi, disperdermi senza pietà.
I miei mi generarono per il gioco
arrischiato e stupendo della vita,
per la terra, l’acqua, l’aria, il fuoco.
Li defraudai. Non fui felice. Compiuta
non fu la loro giovane volontà. La mia mente
si applicò alle simmetriche ostinatezze
dell’arte, che intesse nullerie.
Mi trasmisero valore. Non fui valoroso.
Non mi abbandona. Mi sta sempre a fianco
l’ombra d’esser stato un disgraziato.

Il ricordo impossibile

In una giornata piovosa, sfogliare le pagine dell'amato Borges, e trovare appuntata, chissà da quale me, un giorno dimenticato, questa poesia:

Elegia del ricordo impossibile

Che cosa non darei per la memoria
di una strada sterrata fra muri bassi
e di un alto cavaliere che riempie l’alba
(lungo e sdrucito il poncho)
in uno dei giorni della pianura,
un giorno senza data.
Che cosa non darei per la memoria
di mia madre che contempla il mattino
nella tenuta di Santa Irene,
ignara che il suo nome sarebbe stato Borges.
Che cosa non darei per la memoria
d’essermi battuto a Cepeda
e di aver visto Estanislao del Campo
salutare la prima pallottola
con l’esultanza del coraggio.
Che cosa non darei per la memoria
di un portone di villa segreta
che mio padre spingeva ogni sera
prima di perdersi nel sonno
e spinse per l’ultima volta
il 14 febbraio del ’38.
Che cosa non darei per la memoria
delle barche di Hengist,
mentre prendono il mare dalle sabbie danesi
per debellare un’isola
che ancora non era l’Inghilterra.
Che cosa non darei per la memoria
(l’ho avuta e l’ho perduta)
di una tela d’oro di Turner,
vasta come la musica.
Che cosa non darei per la memoria
di aver udito Socrate
quando la sera della cicuta
serenamente analizzò il problema
dell’immortalità,
alternando i miti e le ragioni
mentre la morte azzurra lo invadeva
dai piedi fatti gelidi.
Che cosa non darei per la memoria
di te che avessi detto che mi amavi
e di non aver dormito fino all’alba,
straziato e felice.

La moneta di ferro, 1976