martedì 17 novembre 2015

Allons enfants

Le facce dei nazionali francesi mostrano cosa è un Paese europeo moderno.

A Wembley la Marsigliese suona come inno d'Europa

Sagunto resisti

Leggo il post Dum Romae consulitur, che pure si eleva molto di sopra delle banalità che si leggono in questi giorni, e mi trovo nel solito fraterno disaccordo.
La rabbia positiva che vi trovo si accompagna ad una analisi che subito individua il colpevole (il nostro pensiero debole e rinunciatario), il problema (siamo in guerra), la soluzione (l'autore non ce la dice ma ce l'ha, sembra in termini di necessaria riaffermazione identitaria).
Lasciali perdere i post che trovi sui social, Francesco. Ognuno dice la sua con i propri strumenti intellettuali, per fortuna a determinare il nostro destino non è il popolo di twitter e la montagna di cazzate che nel mondo 2.0 sono passate dal bar sport ad un web in cui lasciano traccia della denutrizione culturale di chi le esprime, con l'aggravante che ne possono trarre l'illusione di partecipare alla costruzione di  una realtà collettiva con un click su di un like.  
Per fortuna, però, non lo determiniamo nemmeno noi due, che qualche libro in più lo abbiamo letto.
La complessità che è la cifra della nostra realtà contemporanea temo non offra schemi semplificati quale quello che tu offri nelle righe che commento. 
Che imperi un "kharma al quale tutti dobbiamo obbedire: l'integrazione", imposto dal pensiero dominante, mi sembra francamente riduttivo. Se non vogliamo porre delle barriere ai nostri confini (troppo tardi e impossibile in termini economici e demografici, temo) l'integrazione non è un capriccio radical chic, ma una necessità rispetto al quale i diversi paesi hanno proposto modelli diversi di cui leggo persino su wikipedia. Quello francese, paradigmatico dell'assimilazionismo, che impone i propri valori (laici e repubblicani) negando cittadinanza a leggi e usanze delle comunità di origine, si sta dimostrando fallimentare. Rispetto a questo tema tu proponi la necessità di far valere il "nostro vero sentimento". Con il necessario rispetto, se alludi ai valori cristiani, il nostro vero sentimento rischia di essere più il tuo che il mio. Devo assimilarmi anch'io? Non è questo il tema e stai già pensando che se ci dividiamo su questo siamo perdenti di fronte al nemico esterno. Quello che voglio dirti è che è lecito il dubbio che l'assimilazionismo in salsa cristiana possa avere maggiore successo. Che fare allora? In tutta onestà, io non lo so. 
Quello che penso è tuttavia che la soluzione (se ve n'è una) di questa questione, che tu hai evocato, e che certamente è fra le centrali da affrontare nel nostro vivere contemporaneo, non si identifica con l'attuale crisi, che con i miei poveri mezzi identifico nel tentativo dell'islam politico radicale di esportare in politica estera la lotta per la supremazia che da molti anni combatte in medio oriente, per avere la meglio nei suoi paesi di origine. Al di là degli slogan buoni per aspiranti tagliagole non vedo l'Islam contro il Cristianesimo come non vedo Califfati contro Stati Europei, ma gruppi di estremisti, ben organizzati e determinati a tutto, che vogliono imporre la versione oscurantista e razzista dell'islam, condita da pauperismo e revanscismo postcoloniale (ridicoli i riferimenti alle crociate) e farne strumento di conquista anche dell'Europa.
Semplifico? Tremendamente.
C'entra questo pericolo mortale con il modo in cui dobbiamo trattare i musulmani che vivono da noi? Credo di poterne dubitare, e accetto per questo l'incriminazione per buonismo.
E allora, che fare?
Al di là della convinzione che il problema militare del califfato non possa costituire un ostacolo serio per gli eserciti occidentali, credo che sia naturale rimettersi come tu fai alla speranza che chi ci guida abbia saggezza e capacità.
Magari maggiori di quelli che li hanno preceduti procurando disastri talvolta dettati dalla necessità di una reazione muscolare purchessia. L'evocazione della guerra, salutare per svegliare le coscienze (ancora il valore della parola: ricordi il verbo 2.0?), non deve far trascurare che il contesto è quello in cui l'aspetto militare diventa solo uno di quello che compongono il puzzle.
Più che muscoli ci vogliono testa, sangue freddo e disponibilità al compromesso anche con taluni principi: in altre parole, la politica. 
Ammesso che si risolva il problema in Siria ed in Libia, internamente ne avremo per un bel po'. Non potremo contare probabilmente sulla "maggioranza silenziosa" dei musulmani; anche se i tagliagole sono poche ed i contigui poco di più, gli altri non prenderanno posizione nè con loro nè con noi: loro non l'hanno avuta, la rivoluzione francese e l'affrancamento dalla schiavitù del pensiero unico religioso (ometto per carità il pippone sull'uguaglianza, in tema di prevaricazione delle libertà e dell'umanesimo, fra l'islam ed il cristianesimo prima che venisse ridotto a miti consigli dal secolo dei lumi cui non saremo mai abbastanza grati). 
Avremo probabilmente anni duri, ma non dobbiamo dimenticare che i nostri nonni sono usciti dalle macerie della guerra e i nostri padri dagli anni di piombo. 
Ce possiamo fare anche noi, se non perdiamo di vista i nostri valori, e se avremo la capacità di assumerci le nostre responsabilità, ma seriamente e non a mezzo tweet. In altri termini, con la disponibilità se necessario ad imbracciare un fucile.

lunedì 16 novembre 2015

I giusti e i resistenti

Non se la citazione sia effettivamente tale.
L'articolo "I resistenti" di Aldo Cazzullo a me ha ricordato la poesia che mi ha avvicinato al mio autore preferito.
La profezia finale certifica, ancor più dello stile, il livello più altro di comprensione cui attinge la poesia.

I resistenti (Aldo Cazzullo)
I giusti (J.L. Borges)
Quelli che sono usciti dallo stadio cantando la Marsigliese
I musicisti di strada che davanti al Bataclan hanno suonato We shall overcome
I commessi di Hermes e Kenzo che stamattina hanno detto ai direttori dei negozi che sarebbe stato meglio chiudere per lutto 
I verdurieri che nonostante i consigli della prefettura hanno aperto il banco ai mercati rionali 
I ragazzi in fila per donare il sangue
Quelli che hanno messo on line il video dei ragazzi che uscivano dallo stadio cantando la Marsigliese 
I dipendenti comunali che hanno passato il giorno libero a pulire il sangue sui marciapiedi 
Quelli che su Facebook aggiornano la bacheca «dimmi che sei vivo»
Gli anziani che nella notte hanno aperto la porta di casa a sconosciuti che avrebbero potuto essere i loro nipoti 
I 400mila che hanno cliccato il video dei ragazzi che escono dallo stadio cantando la Marsigliese 
Quelli che si sono alzati con l’idea di restare in casa tutto il giorno e al pomeriggio sono usciti 
I terapeuti che hanno aperto un ufficio di «psicological help» nel municipio del quartiere più colpito 
I poliziotti che alle 5 di sera hanno placato una rissa tra neri e algerini in rue de Rivoli dicendo: «Vi rendete conto che sono successe cose più importanti della vostra rissa?»
Quelli che hanno messo in place de la République lo striscione nero con il motto di Parigi: «FLUCTUAT NEC MERGITUR», la barca oscilla tra le onde ma non affonda
Chi ha scritto sui muri del Marais «alla fine non vincerete voi»
L’immigrato cambogiano con la fisarmonica che sulla passerella di fronte al Louvre suona la Vie en rose
Un uomo che coltiva il suo giardino, come voleva Voltaire.
Chi è contento che sulla terra esista la musica.
Chi scopre con piacere una etimologia.
Due impiegati che in un caffè del sud giocano in silenzio agli scacchi.
Il ceramista che premedita un colore e una forma.
Il tipografo che compone bene questa pagina che forse non gli piace.
Una donna e un uomo che leggono le terzine finali di un certo canto.
Chi accarezza un animale addormentato.
Chi giustifica o vuole giustificare un male che gli hanno fatto.
Chi è contento che sulla terra ci sia Stevenson.
Chi preferisce che abbiano ragione gli altri.
Tali persone, che si ignorano, stanno salvando il mondo.

sabato 14 novembre 2015

Parigi 13 novembre 2015

Bando agli slogan buoni per i social.
Mente fredda, cuore caldo e mano salda.
Preghiamo che le persone che devono prendere le decisioni siano all'altezza

martedì 10 novembre 2015

Il verbo 2.0

La contemporaneità ci propone una rinnovata -ma diversa- importanza della parola.
Dove la parola detta (twittata/condivisa/postata) supera per importanza la parola pensata e la parola agita, in misura tale che queste divengono irrilevanti.
Una battuta riportata fuori contesto può costare una carriera.
Un giudizio intercettato può dar luogo ad una imputazione.
Uno slogan twittato ha più credito di studi scientifici compendiati in libri che nessuno leggerà.
L'annuncio di un provvedimento dà per superati i problemi che quel provvedimento affronterà.

Il pensiero e le cose fatte cedono il fatto a chi la sa meglio raccontare, e ha diritto di parola.

domenica 8 novembre 2015

Strama al Panathinaikos

Poveri greci: chi glielo dice che hanno preso il Varoufakis delle panchine?

Con me gli spagnoli hanno chiuso

Da anni sono infastidito dai successi sportivi di molti spagnoli sulla cui natura di grandi campioni è lecito dubitare, con le debite eccezioni (Alonso, Iniesta, Xavi).
Tra doping vero e quello amministrativo molti dei loro successi non rendono onore allo sport.
Con il biscottone odierno la misura è colma:
#sietecomelafrancia.