domenica 8 dicembre 2019

Cose che non si possono dire

Nei giorni scorsi un direttore di giornale sportivo si preso del  bieco razzista per aver titolato "Black Friday" la presentazione di una partita (giocavasi di venerdì) i cui protagonisti erano Smalling e Lukaku.
Ci sarebbe da discutere, ma...
Ci sono argomenti su cui esprimere una opinione non conformista non è possibile.
Omofobia, razzismo, violenza sulle donne sono cause troppo importanti, forse, perchè siano ammessi dei distinguo che rischiano di aprire una sponda ai beceri, agli ignoranti, ai violenti.
Senza portare il cervello all'ammasso, offriamo dunque il nostro silenzio come modesto contributo alle buone battaglie. 

domenica 16 giugno 2019

Sarri alla Juve

Maurizio Sarri me l'aspettavo una persona diversa. La Juventus, invece, è proprio lei.

Se c'è qualcosa che assomiglia a un tradimento, sia pure con tutto quanto di meno grave può avere questa parola quando si parla di sport, è questo contratto.
Il punto è semplice. Se Ibra va all'Inter e poi al Milan, se Ronaldo passa alla Juve, i tifosi lo accettano. 
Quando però uno sportivo si identifica con la maglia, si propone come il campione (in senso antico) di una tifoseria, di un popolo, certe scelte non le può fare.
Ma ve lo immaginate De Rossi che va alla Lazio?
Uno come Ancelotti, contattato più volte dall'Inter, una volta lo disse: Non ci vado, ho la mia storia, che mi piace, non posso.
Inutile dire che il calcio è cambiato, che questo è il professionismo, che ha comandare sono i soldi. 
Sono tutte cose che sono compatibili con il rispetto delle emozioni dei tifosi, che sono ciò che alimenta questo business.
Il cliente non ha sempre ragione?
Rispetto per i tifosi-clienti.

lunedì 3 giugno 2019

Ciao

Amici, pordenonesi, colleghi,
prestatemi i vostri schermi (solo per pochi attimi, non temete)
Salve sempre possibili novità, domattina prenderò servizio nel nuovo ufficio. La tempistica con cui è pervenuta l'ufficialità delle nomine, pur lungamente attese, non mi ha permesso di salutar alcuni di voi e ne sono dispiaciuto.
Negli ultimi 57 mesi ho trascorso gran parte del mio tempo nel nostro ufficio, tra di voi. Durante questo periodo ho incontrato alcune grandi delusioni, più d'una delle quali per circostanze occorse a persone a me care; ho avuto diverse soddisfazioni, principalmente connesse alle volte in cui mi avete fatto sentire utile. Mi sono talvolta solennemente incazzato; ho riso, scherzato, sprecato improbabili calembour, abusato della capacità di sopportazione di Mauro. Ho sperimentato (a tratti) gli inestimabili vantaggi ritraibili dell'esercizio della pazienza. Ho provato a offrire le poche, semplici cose che chiedevo a voi: serietà, impegno, applicazione, capacità di comprendere il punto di vista dell'altro. Il tentativo di essere all'occorrenza "Il tipografo che compone bene questa pagina che forse non gli piace". A volte mi sono sentito inascoltato, dolendomene. Ma in onestà devo ringraziarvi per essermi sentito circondato, con rare eccezioni, da un tanto rispetto, talora anche da amicizia, che conservo entrambi come tesori.
Delusione, gioia, rabbia, divertimento, amicizia: in poche parole, un pezzo di vita che si chiude, per me.
Nel dirvi con gratitudine che è stato un piacere condividerlo con voi, conto sulla vostra indulgenza per le volte nelle quali posso aver mancato di prestarvi l'attenzione che vi attendevate, e per le decisioni che possono avervi scontentato.
Vi lascio con l'ultima segnalazione di un articolo pubblicato su "Il sole 24 ore" del 5 maggio scorso, che mi è stato recentemente d'aiuto, nella speranza che possa all'occorrenza servire anche a qualcun altro di voi.

Buon lavoro, e non perdiamoci di vista, eh!

Paolo

sabato 25 maggio 2019

La coppa degli immortali.

Milan 1989: la leggenda della squadra più forte di tutti i tempi raccontata da chi la inventò

di Arrigo Sacchi con Luigi Garlando.


Iniziato e finito in giornata.
Prenderlo e leggerlo era una specie di atto dovuto, un tributo a quella vittoria e anche un po' alla mia adolescenza.
Sacchi parlando in prima persona rievoca il primo biennio alla guida del Milan, culminato con la vittoria di Barcellona.
Il leit- motiv è la portata innovativa dei concetti da lui introdotti e che rivoluzionarono il calcio.
Capovolse il deprecabile motto dei gobbi, e lo scrive: "Vincere non sarà mai la sola cosa che conta".
Quelle partite le ricordo tutte, è interessante vederle raccontate da chi le visse dietro le quinte, e ci racconta i particolari del rapporto con i calciatori e con Berlusconi.
Traspare oltre al giusto orgoglio un po' di presunzione. Ma se non non a lui, a chi dovremmo concederla?
L'appendice finale è dedicata alla visione del calcio italiano trentanni dopo, a suo dire un'occasione sprecata (di proporre il suo calcio, ergo primeggiare).
E' stato un grandissimo e unico, Arrigo. Personalmente apprezzo quanto e più del suo altri modi di proporre il calcio (stravedo per l'Uruguay di Tabarez), e non amo chi eccede in "ideologia" calcistica.
Tuttavia, chapeau.

Che notte, quella notte

Per tredici anni, finchè mi sono sposato, ho avuto questo poster sopra la testa nella mia camera:
Una vittoria unica, la madre di tutte le vittorie.
Impresa sportiva memorabile, di una squadra che è stata classificata la migliore squadra di club di tutti i tempi, di una società ed un allenatore che hanno cambiato profondamente il calcio.
Evento irrepetibile e mai ripetuto, un esodo di novantamila persone a tifare e gioire lo straordinario successo di un glorioso club, preso meno di cinque anni prima sull'orlo del fallimento e della B.
La goduria di vincere esagerando nel risultato e proponendo il migliore calcio mai visto non è facilmente descrivibile. Pochi anni prima papà mia aveva regalato una spilletta dicendomi "la metterai quando vinceremo lo scudetto", ed io abbozzavo reagendo come farebbe oggi un tifoso della Sampdoria, ed ora ero lì a vedere Baresi ad alzare la coppa. Alzala, Franco, falla vedere (altro poster in camera, sul fianco del mobile). 
C'ero anch'io, quella notte.
Che avventura.
Papà aveva scovato due posti su una corriera del Milan club Latisana, trascurando anche il fatto che la partita era nel giorno in cui Simona compiva 18 anni. Siamo partiti a mezzanotte del lunedì, sette corriere dal Friuli. Viaggio incredibile, le soste non finivano mai, siamo persino rimasti senza benzina a dieci chilometri dal confine spagnolo.
Arrivati alle 22 del martedì a Lloret de Mar, con posto prenotato in una pensione che la seconda stella l'aveva rubata, probabilmente.
L'indomani era previsto un rapido tour della città e poi la cena alle 18. 18? con la partita alle 20.30?
Io e papà capeggiammo una rivolta per saltarla a piè pari, e ciononostante il viaggio di avvicinamento al Camp Nou fu di una lentezza esasperante.
La partita aveva il finale già scritto, ma fu il perfetto manifesto del calcio sacchiano. Ricordo un Gullit immenso, che sembrava riempire il campo da solo, molto più impressionante che in tv.
Che festa, poi, anche a Lloret, fino alle tre!
Alla partenza, fissata per le sei, mancavano tre della corriera. Peccato che non c'era la lista delle camere e non si poteva recuperarli. Sono arrivati alle 8.30, fra i commenti più pittoreschi (viodiu! il miedi, l'ingeniar, l'avocat).
Grazie, papà!

lunedì 20 maggio 2019

Senza di voi casca tutto

"Certo, io una cravatta così..."

"Ma infatti lo ritengo un tuo limite."


E sono tre anni. Ed è un mese.
Con la triste sensazione che sia tutto finito


Con un canestro di parole nuove, calpestare nuove aiole

mercoledì 15 maggio 2019

sabato 20 aprile 2019

Viva, Viva, Viva Radioradicale

Bandiera di libertà, scrigno di intelligenza, fabbrica di idee e di cultura. 
Casa della democrazia e rifugio degli ultimi. 
Tutto questo è Radio radicale, eppure (ma forse per questo) vogliono chiuderla. 
Un passaggio dell'intervento di Bordin all'ultimo congresso lo urla chiaramente. Ma vi pare che questi abbiano piacere che ci sia la diretta dal Parlamento, senza mediazione, che emerga chiaro a tutti di che pasta sono fatti? 

E tuttavia.
Approfondimenti per tutti i gusti.
Le istituzioni che diventano veramente "casa di vetro".
Il microfono aperto a tutti
I processi.
Radio carcere, ragione di speranza per gli ultimi della società.

Si, trattasi di "un lusso per i buongustai dell'informazione". Di una voce che informa, fa capire, fa pensare. Quanto vale un'idea nuova, una riflessione interessante, un nuovo punto di vista, una volta al giorno, alla settimana?
Per chi abbia una vita intellettuale, è un'opportunità unica e straordinaria (temo che l'ambito soggettivo, così delimitato, lasci poca speranza al successo della campagna per la sopravvivenza).
Ce n'è abbastanza?

Ah già, dimenticavo che al tempo stesso la nostra radio è l'esempio perfetto del servizio pubblico e l'essenza della democrazia, iscritta nel suo fantastico motto (einaudiano) del "conoscere per deliberare".
La democrazia dà fiducia a tutti (anche ai pentastellati), presuppone che diffondendo la conoscenza si prendano le decisioni migliori; e la radio radicale mette il suo microfono al servizio di questo semplice ma straordinario principio.

Che qualcuno voglia intestarsi un simile scempio, potrebbe interessare la psichiatria.
Vabbè, non il "gerarca minore", quello non interessa nemmeno alle zanzare.
Ma che Giuseppe Conte voglia legare il suo nome a questo atto, mi sembra impossibile.
Qualcuno ci dica cosa dobbiamo fare per evitare questa follia. 

Non mancherà solo agli imbecilli

Ci ha lasciato Massimo Bordin.
Che dispiacere, che dolore.
Quanta intelligenza, quanta cultura, quanta memoria e conoscenza dei fatti si concentravano in quest'uomo capace di farsi così tanto amare ed apprezzare da così tanti, così diversi.
Nel ricordo che con sincerità e dolore molte fra le persone migliori di questo Paese hanno voluto esprimere brillano i meriti e le qualità dell'uomo e del giornalista.  
Soprattutto emerge come Bordin fosse diventato per tutti parte della vita e della giornata, un po' come il caffè alla mattina, all'ora del caffè alla mattina.
Trovata la sua email su una mailing list di radicali, una volta glielo scrissi: l'ascolto di "stampa e regime" è cosa che impatta direttamente sulla mia qualità della vita.
Mi rispose il giorno stesso con il suo garbo:"grazie infinite".
Grazie infinite a te, Massimo
"Quello che ci ha lasciati è un autentico gigante", ha detto giustamente Falconio al termine del funerale laico, lo stesso nel quale Macaluso commosso fino alle lacrime ha altrettanto giustamente urlato il titolo di questo post, e nel quale la compagna Daniela ha trovato il modo di paragonarlo al Funes di Borges, facendo venire i brividi a chi scrive, che (casi della vita!) proprio grazie al racconto su Ireneo Funes conobbe il suo scrittore preferito.

Bene dice Emanuele Macaluso quando evidenzia che questo è un vero lutto nazionale: che uomo, Massimo Bordin, che perdita per me, per la cultura, per l'Italia.

Bordin è stato un intellettuale originale nell’Italia preda del fanfaronismo, ha titolato Teodori, maestro ed amico. E' stato, prima ancora dell’inventore della originalissima rassegna stampa di Radio Radicale, un autentico intellettuale politico tra i più solidi del nostro tempo. Ma anche il riferimento indispensabile per il mondo della giustizia di cui ha saputo cogliere tutte le sfumature e le declinazioni individuali e procedurali senza timore di essere accomunato alla cultura para-mafiosa dal gruppo che oggi gli ha reso l’onore della armi, accusa che era stata già rivolta a Leonardo Sciascia

Mattia Feltri, bravo, trova le parole che sanno descrivere la misura della perdita: Come si spiega a un Paese sperduto e digrignante, sentenziante, famelico di un abracadabra qualunque esso sia, che la vita è politica, e la vita e la politica sono una disastrosa complicazione, una ricerca affannata del pertugio giusto, un errore via l' altro, e non c' è soluzione magica, quella è illusione, roba da fattucchieri? Come glielo si spiega, ora che siamo uno di meno, e quell'uno aveva il calibro di Massimo Bordin?... 
Drammatica diventa la domanda: Come si spiega a un Paese sperduto che cosa significa restare saldi nella precarietà del raziocinio?
E' quasi geniale, la "precarietà del raziocinio".
Del resto chi l'ha ispirata Sapeva che la politica non è mai innamorarsi di un' idea, è semmai distaccarsene per valutarla meglio nel momento stesso in cui la si sposa. Sapeva che una società funziona soltanto se il più profondo dei convincimenti si arresta davanti alle barriere che l' uomo si è dato, ad argine dell' arroganza delle proprie verità, a tutela dunque di sé oltre che degli altri, e cioè le regole istituzionali, il rigore dei ruoli di Stato, l'autolimitazione quando si ha la responsabilità di tutti e non soltanto del proprio recinto politico. Sapeva che il consenso non è il fine unico della politica, perché la politica è la capacità di dire quello che si ritiene giusto e non quello che si ritiene gradito: quando il consenso diventa il fine unico della politica, la politica muore.

Personalmente sono convinto che quanto "stampa e regime" gli rendano merito lo "speciale giustizia" e la rubrica "Bordin line" sul Foglio. Era, a mio avviso, il massimo esperto di giustizia di Italia come avverte ancora Feltri: "Sapeva che il diritto, inteso come amministrazione della giustizia, è filosofia, perché ricerca direttamente il cuore dei rapporti umani, arriva a definire l' inviolabile unicità dell' essere umano, anche quando è l' ultimo degli ultimi, cioè il più disprezzabile dei colpevoli, e pertanto il diritto non è mai vendicativo perché, quando produce vendetta, il diritto muore.

In molti evidenziano la concomitanza fra la scomparsa di Bordin ed il momento critico della sua e nostra radio: la sua partenza (di nuovo Macaluso) avviene mentre ci sta un governo, con un presidente del Consiglio, che mostrano di non sapere un bel nulla sulla storia d’Italia e sul ruolo che vi ha assolto sinora Radio Radicale.
Eh già. 
Ma come si spiega tutto questo a chi pensa che tutto questo debba misurarsi con l' analisi costi benefici? Che Radio Radicale o si regge sulle sue gambe o chiude? Che sia una questione di mercato? In che lingua glielo si spiega ai nuovi potenti? Noi siamo rimasti aggrappati a Massimo Bordin, a Radio Radicale, a Marco Pannella per decenni, noi radicali, noi liberali di destra e di sinistra, noi socialisti libertari, noi cattolici liberali, noi atei devoti, noi repubblicani, noi laici, noi anarchici, noi poveri apolidi, noi alla ricerca di un posto dove sapere qualche cosa di più, e non di un riparo dove mettere in sicurezza l' ultima confortante ideuzza dell' occasionale maggioranza.

Che uomo, Massimo Bordin, con quella acribiosa passione per il dettaglio e in quell’inesausto zelo per i particolari, quelli della storia italiana e del suo sistema di partiti, così come quelli delle vicende della criminalità organizzata e dei relativi infiniti processi che ricorda Luigi Manconi.
(Ancora Feltri) Sapeva che tutto è così vano, inutile, e quel pochissimo di concreto su cui ci è dato di sostenerci poggia sulla memoria, sugli archivi, sui libri, su quello che è stato scritto e detto, su quanto l' uomo ha concepito nel disperato tentativo di aiutare l' uomo, e che l' uomo senza memoria è un uomo perduto nel suo vacuo delirio che non ha nulla.

Sofri, sul giornale anche suo che con Ferrara ricorda "una passione unica", alla fine dice tutto: Massimo Bordin, che peccato!

Insieme alla Rassegna, per chiudere, il grido di dolore di Caiazza:

La notizia della morte di Massimo Bordin ci raggiunge tutti come un doloroso e quasi beffardo monito. Si spegne la voce di un amico innanzitutto, ma poi di un giornalista di rara e raffinata cultura, orgogliosamente libero nel pensiero, irriducibile ad ogni possibile condizionamento politico e culturale, ad ogni tentazione servile o anche solo conformistica, coraggioso nella sua naturale ambizione intellettuale di testimoniare idee, scelte, comportamenti lontani le mille miglia dai rassicuranti e mediocri approdi non del buon senso, ma -come gli avrebbe detto Pannella in quelle leggendarie conversazioni radiofoniche- del becero “senso comune”. Insomma, la voce perfetta, inimitabile e temo irripetibile, di quello splendido patrimonio della nostra cultura e della nostra democrazia che è Radio Radicale.
Vederti morire, Massimo, mentre la Tua Radio è costretta ad ascoltare quotidiani proclami della propria condanna a morte pronunciati con ottusa, tracotante spavalderia da inconsapevoli protagonisti del Nulla, ha il sapore stupefacente di una dolorosa ma forse provvidenziale metafora. Come a darci un motivo in più, una energia inaspettata e formidabile, per pretendere ed ottenere che quella simbiosi inscindibile, splendida e preziosa che vi fu tra Te e Radio Radicale, sopravviva, Ti sopravviva, e Tu con Radio Radicale.


Ti sia lieve la terra, Massimo.

martedì 12 febbraio 2019

C'erano una volta le riunioni di condominio

A simboleggiare il luogo in cui le persone mostrano il peggio di sè.
Ora ci sono i gruppi whatsapp dei genitori.