giovedì 21 giugno 2018

Almeno cantiamo bene

In questa disgraziata annata calcistica, almeno ci siamo distinti per un bel coro.
Udinese alè
Udinese alè
non so stare senza te
non importa se
soffrirò per te
Udinese alè alè
Come è naturale a queste latitudini, il leit- motiv è la sofferenza. 
Il peggior momento è ora, sostegno alla squadra a prescindere da chi la indossa e da una società che dopo tanto meritare opera incomprensibilmente.
Udine

mercoledì 20 giugno 2018

Pannella

di Diego Galli,
Lettura obbligata, questa, per uno come me.
Contrariamente alle attese non è una biografia come quelle di Vecellio o Teodori (non parliamo proprio, ovviamente di "Una libertà felice"), è un resoconto critico della sua azione politica, in parte modellata sullo storico "I nuovi radicali" di Ignazi, Teodori e Panebianco. 
Per chi Pannella l'ha seguito ed amato per 25 anni, imparando a conoscerne l'opera anche precedente, questo libro non evidenzia quasi nessun fatto non conosciuto, ma è utile nello sforzo di di sistemazione che ben si riflette nell'indice, oltre che nella messe di citazioni raccolte dall'autore.
Alla radice.
Galli ripercorre gli aspetti della gioventù di Pannella che hanno avuto influsso sulla sua formazione. L'obbligatorio richiamo alla famosa prefazione di "Underground" è seguito dal ricordo del passaggio al Mondo e dell'esperienza goliardica. Oltre al richiamo ai "vecchi radicali", agli influssi pacifisti e alle suggestioni libertarie, interessante è il riferimento ai due ossimori "anticlericalismo religioso" e "liberismo di lotta", per trovare il filo conduttore nella "condizione minoritaria, quasi eretica, che caratterizza le correnti di pensiero cui si è ispirato".
Anni settanta: la rivoluzione dell'intimità.
Bella la formula che Galli individua per parlare del decennio d'oro dei radicali, quelli delle grandi battaglie per i diritti civili.
Gli strumenti dell'azione politica radicale.
Disobbedienza civile, nonviolenza, ostruzionismo, la Radio, la Transnazionalità sono invenzioni con copyright radicale, almeno in Italia, che hanno caratterizzato la singolarità del movimento almeno quanto i contenuti.
Creare l'attualità.
"L'intera storia politica dei radicali può essere letta come il tentativo di imporre all'attualità temi che sarebbero rimasti altrimenti emarginati". La prima frase di questo capitolo ben ne riassume il contenuto, ricordando il ruolo che questo gruppo ha avuto nella discussione pubblica, spesso anticipando la proposizione di temi modernizzatori.
Chi scrive, nella sua modestia, ha anticipato questa analisi in un intervento che il Messaggero Veneto pubblicò con una certa evidenza due giorni prima delle elezioni del 2001 e che è riportato qui.
Il capitolo ricorda inoltre il ruolo della strategia referendaria (qui potrei citare la mia tesi di laurea, ma non è il caso).
Processo al regime
I radicali si sono sempre proposti come forza alternativa al regime, al blocco di potere oligarchico-camorristico, alle "due cosche dei corleonesi e dei palermitani", alla gestione consociativa del potere, alla partitocrazia dipinta con formule sempre nuove e sempre vivide. 
Pannella partiva da una interpretazione della storia d'Italia contrapposta alle tesi "culturaliste" sull'origine dei mali del nostro Paese (ad esempio quelle che evidenziano il ruolo del "familismo amorale"), proponendo come cura a quei mali la fiducia nella capacità degli italiani, se adeguatamente informati e stimolati, di sconfiggere il regime.
In questa ottica è normale comprendere come strategica è stata la battaglia per la libertà e completezza dell'informazione.
Si può chiosare come la carica antisistema sia fondamentalmente diversa da quella degli attuali movimenti "antipolitici", non solo per il chiaro riferimento al modello della democrazia liberale, ma anche perchè la lotta contro la partitocrazia era vissuta come tentativo di cambiarla pretendendo dal regime l'applicazione delle proprie regole per ripristinarle, e non per superarle a favore della "popolocrazia". 
Disorganizzazione scientifica
La contraddizione fra il rispetto quasi sacro per le regole delle istituzioni e la disinvoltura nelle procedure interne, oltre che nella gestione della dinamiche del movimento, non è nascosta da Galli, che evoca anche la nota cupio dissolvi, non senza osservar che il mancato sviluppo organizzativo con la conseguente fuga di classe dirigente non ha solo comportato l'estrema personalizzazione del partito intorno alla leadership ed il riprodursi di conflittualità interna, ma ha anche impedito a molte delle sue campagne di trasformarsi in istituzioni.
Carisma: tra profezia e narcisismo.
In cui Galli si sofferma sul ruolo della parola e sulle capacità istrioniche e comunicative di Pannella.
Quali eredità.
Galli si chiede giustamente quale eredità abbia lasciato "un cinquantennio di incessante attività costellata di iniziative dal forte impatto emotivo, vittorie legislative dall'alto valore simbolico, e una continua opera di divulgazione delle sue idee attraverso strumenti e invenzioni comunicative originali".
L'eredità ideale è quella di una corrente minoritaria (sintetizzando, quella del "socialismo liberale", la cui ricchezza non appare esaurita.
L'eredità legislativa, è quella di riforme che rappresentano un patrimonio indiscutibile del Paese.
L'eredità delle pratiche è quella di modalità di azione politica inventate o importate per proporre iniziative politiche ed idee.
L'eredità della teoria politica si incentra sulla valorizzazione delle procedure per la selezione al centro del dibattito politico, oltre che sull'importanza del principio di legalità, del funzionamento della giustizia, la riflessione sulle modalità di finanziamento della politica, la riflessione antiproibizioniste.
L'eredità delle proposte politiche, anche di quelle perdenti, è evidente nelle battaglie di grande respiro quali quelle trasnazionali, come in altre meno note.
L'eredità degli errori è legata soprattutto alla scelta di rafforzare, nella gestione del movimento, le dinamiche legate al carisma rispetto a quelle organizzative.
L'eredità civile è quella della vicinanza agli ultimi, agli emarginati, ai capri espiatori, a coloro che hanno sbagliato: "Se vogliamo che la convivenza sia possibile in società sempre più multietniche, dove i pericoli di anestetizzazione emotiva di fronte all'altro e al diverso crescono al diminuire dei rapporti faccia a faccia e alla crescente pervasività dei media digitali, dove i meccanismi di espulsione di chi non riesce a integrarsi nel sistema rischiano di divenire sempre più potenti e invisibili, la lezione di empatia nei confronti delle vittime, di strenua difesa del diritto della reputazione individuale e di una giustizia giusta, il richiamo alla tradizione giudaico-cristiana del non giudicare, possono tornare utili per salvare la convivenza civile e la stessa possibilità di sopravvivenza della politica come arte del dialogo".



Con un canestro di parole nuove, calpestare nuove aiuole

martedì 12 giugno 2018

lunedì 21 maggio 2018

Lezione da non dimenticare ma dimenticata


A due anni dalla scomparsa di Marco Pannella, radioradicale ha tra l’altro trasmesso taluni dei discorsi che furono pronunciati due anni fa, non senza emozionare fino alle lacrime qualcuno. A Montecitorio, a nome del Governo parlò Benedetto della Vedova, che in conclusione del suo intervento citò una frase di Pannella che suona purtroppo, ventiquattro mesi dopo, come una voce nel deserto : Spesso bisogna avere il coraggio di essere impopolari per non essere antipopolari

Con un canestro di parole nuove, calpestare nuove aiuole.

sabato 19 maggio 2018

Cazzo se manchi

Cazzo se manchi, Marco Pannella.
A Mattarella gliele canteresti, per una pazienza che confina pericolosamente con la tolleranza di una prassi incostituzionale.
Per i fautori dell'abolizione del vincolo di mandato, troveresti conversando con Massimo qualche bella formula che delinei la riferibilità della loro proposta alle autocrazie perfette.
Leggendo il "programma del governo di cambiamento", non mancheresti di rilevare le assonanze metodologiche e contenutistiche con la rivoluzione fascista. 
Non so se potresti fare qualcosa per salvare questo povero Paese, o se resteresti ancora inascoltato profeta di futuri già attuali.
Ma senza nemmeno la tua intelligenza a cui aggrapparci, cosa ci resta per sperare?

Con un canestro di parole nuove, calpestare nuove aiuole

venerdì 18 maggio 2018

Aforisma d'uopo

Sono indeciso fra Longanesi e Flaiano.
Si è tentati di pensare di trovarci di fronte a buoni a nulla, ma capaci di tutto.
Tuttavia, a ben vedere, la situazione politica è drammatica, ma non seria.
Massì

Dove eravamo rimasti?

Al punto di partenza, stiamo.
E' questa l'amara conclusione che si è costretti a trarre, a trenta anni della scomparsa di Enzo Tortora, il cui caso potrebbe ripetersi oggi. 
E' rimarchevole che a ricordarlo sia la Presidente del Senato, ospitando un convegno rievocativo, associando al suo ricordo quello di Marco Pannella.

Convegno al Senato

Il post sul libro di Pezzuto 

martedì 8 maggio 2018

La stanza dei libri. Come vivere felici senza Facebook Instagram e followers

di Giampiero Mughini
A stretto giro, altro libro di Mughini, altra mezza delusione.
Non per la prosa sempre gradevole, ma per l'aspettativa generata dal titolo e parzialmente tradita.
Un libro sui libri, certo: ma sul collezionismo dei libri rari, e delle chicche sui libri suoi, di Mughini.

Era di maggio

di Giampiero Mughini

Ho comprato questo libro per farmi un'idea, possibilmente originale, dei fatti di cinquantanni fa.
Di certo non vi è enfasi celebrativa nel racconto del testimone oculare Mughini: piuttosto ammissione di quanto fu antieroica e tutt'altro che "mitica" quell'esplosione di vitalità.
Dell'esagerazione, dei torti e della sfrontatezza che si ha a ventanni.
Detto questo, i fatti narrati e le persone ricordate, non appaiono ad un lettore della domenica quale io sono così interessanti.
Forse era più adatto a quanto mi interessava un saggio scritto da uno storico.

venerdì 4 maggio 2018

Le tre Italie del 1943 (chi ha combattuto veramente la guerra civile)

di Gianni Oliva
Interessante lettura molto adatta ai giorni attorno al 25 aprile, che affronta in maniera ragionata (quindi ben diversa dalle strombazzanti opposte vulgate) alcuni nodi interpretativi del biennio 1943-1945 della nostra storia, con un contributo originale e arricchito dalla bibliografia e dalle citazioni utilizzate.
Il primo passaggio evidenzia la natura comodamente assolutoria di una rappresentazione della realtà in cui si è valorizzato l'operato dei pochi che combatterono veramente il fascismo, dimenticando quanti, passivi durante il fascismo, aspettarono di vedere come andava a finire prima di applaudire i partigiani. L'omissione del fascismo, o meglio, di se stessi senza il fascismo, corrisponde ad un progetto di rimozione della memoria scomoda che si è sedimentato nell'immaginario collettivo.
Il progetto ha permesso alla società italiana di riprendere il cammino interrotto nel 1922 senza interrogarsi sulle responsabilità specifiche e collettive che resero possibile il fascismo
L'autore si interroga anche sulle caratteristiche dell'antifascismo nel ventennio, toccando il noto tema del "consenso", per argomentare che il primo fu fenomeno di ristrette minoranze, e quanto al secondo che dominante fu la "zona grigia" contraddistinta da un conformismo in cui confluivano sia l'accettazione subita passivamente, sia l'accettazione attiva. Interessante è l'osservazione che alla prima esperienza di partecipazione di massa alla vita collettiva, gli italiani la vissero inquadrati negli schemi preordinati dal regime, in un'atmosfera che tendeva di per se ad escludere l'adesione consapevole e meditata. L'appartenenza alla zona grigia condizionò l'atteggiamento della massa al momento del dunque, in quanto essa vi arrivò condizionata da un retroterra di accettazione, conformismo e delusione.
Nel terzo capitolo l'attenzione dell'autore si focalizza sulle scelte compiute dagli individui, analizzate nella dimensione umana non meno che in quella politica, finanche nella casualità che poteva determinarle. 
La scelta di rottura degli antifascisti fu scelta ispirata dall'anelito di libertà, dal desiderio di azione, che portavano alla lotta contro il nemico occupante (per di più germanico e nazista, e quindi offrendo un ventaglio di motivazioni ai combattenti), al lotta per i mutamenti sociali, alla guerra civile contro le forze fasciste.
La scelta di continuità di chi si schierò dall'altra parte ebbe, a livello individuale, motivazioni di onore, fedeltà e combattimento, riscatto. Oliva richiama il dibattito (e le strumentalizzazioni) sulla "pacificazione" tentata da ventanni a questa parte, per sottolinearne il merito di aver superato l'approccio moralistico e manicheo (quest'ultimo comprensibile solo dalla visuale di chi doveva giustificare a se stesso di rischiare la vita) alle vicende del 43-45, come i rischi di una equiparazione che azzeri tutte le differenze. L'osservazione di grande interesse è quella sulla necessità di distinguere il piano individuale, nel quale può anche operare la categoria della buona fede, da quello collettivo, nel quale può trovare fondamento un giudizio etico politico sul "progetto" che le idee dei combattenti avevano per il futuro del paese dell umanità. Secondo Oliva, posto che i tre progetti in campo erano quello del fascismo, quello dell'antifascismo comunista e quello dell'antifascismo democratico il giudizio lo ha dato la storia nei decenni successivi.
La zona grigia, dunque. Oliva fa i conti dei combattenti, per dimostrare che essa abbracciò la grande massa degli italiani, per la quale l'imperativo fu: "primum vivere", e per sostenere nuovamente il collegamento di un'attitudine rinunciataria e attendista con il decadimento morale provocato da ventanni di "adesione e coercizione, di obbedienza e di anonimato... L'Italia che non si domandava da che parte stare era la stessa Italia che aveva celebrato l'impero senza chiedersene il perchè: ma ancor più, era la stessa Italia che sarebbe uscita dal fascismo senza interrogarsi su come vi era entrata, come vi era vissuta, come vi aveva partecipato".
Oliva affronta poi la questione della "guerra civile", per abbracciare la teoria di Pavone sulle "tre guerre" (patriottica, civile e di classe) in rapporto alle motivazioni dei combattenti, ma evidenziando che per il paese che inventò il fascismo la lotta era soprattutto contro il suo passato, per liberarsene.
Esaminati taluni aspetti della "resa dei conti", Oliva traccia le conclusioni.
La guerra civile iniziata dalla Resistenza, marginale nel suo contributo militare, certo funzionale alla "rappresentazione assolutoria", fu lo sforzo consapevole di liberarsi del carico morale e politico del regime. Finita la guerra, la riflessione sul passato e le istanze di rinnovamento di cui era portatrice restarono appannaggio di una minoranza, non diventarono davvero valori fondanti di una nuova comunità politica.
Il 25 aprile fu un "punto e a capo" e non un nuovo inizio, la resistenza una occasione mancata: troppa la dimensione e l'attitudine della zona grigia, troppo il desiderio della classe dirigente di chiudere i conti con il passato, trincerandosi dietro l'alibi di una guerra vinta per dimenticare le colpe di una guerra perduta