di Giuseppe Zigaina
Ho già citato questo singolare saggio 10 anni fa, nella ricorrenza di quella notte ad Ostia. Zigaina è stato un artista importante a livello locale, e ogni giorno apprezzo i suoi mosaici che adornano le scale dell'ufficio. Nell'ultima parte della sua vita si è dedicato a sviluppare una teoria del tutto originale sulla morte del suo fraterno amico Pasolini, per la quale il poeta friulano (cito la definizione, orgogliosamente riduttiva, che campeggia sul segnale stradale presente sulla via di Udine che gli è stata dedicata) avrebbe dato corpo ad un "martirio per autodecisione".
Proprio così.
Come Zigaina raccontò in una memorabile intervista nella quale fece restare addirittura zitto l'intervistatore Daniele Capezzone, saremmo di fronte ad "un giallo puramente intellettuale", alla costruzione della propria morte come espressione artistica capace di dare (un) senso (diverso) a tutta la sua opera.
Una decisione presa da un anno, la morte programmata di domenica, il giorno dei morti, e preparata come "messa in scena" degli atti significativi della sua presenza nel mondo.
Zigaina desume la sua incrollabile sicurezza da indizi disseminati nell'opera di Pasolini, alcuni versi della quale, letti per la verità con il filtro della cultura di cui è capace l'autore e con la sua capacità di cogliere il significato diverso da quello apparente, dissimulato in giochi linguistici e semantici, colti in scelte stilistiche, in enigmi e profezie che a suo dire compongono la volontà di costruire un evento simbolico che assurga alla categoria del mito.
la morte non è nel non poter comunicare ma nel non poter più essere compresi
L’uomo […] si esprime soprattutto con la sua azione […] perché è con essa che modifica la realtà e incide nello spirito. Ma questa azione manca di unità ossia di senso, finché essa non è compiuta. […] Finché io non sarò morto nessuno potrà garantire di conoscermi veramente, cioè di poter dare un senso alla mia azione, che dunque, in quanto momento linguistico, è mal decifrabile. È dunque assolutamente necessario morire, perché, finché siamo vivi, manchiamo di senso[…]La morte compie un fulmineo montaggio della nostra vita: ossia sceglie i suoi momenti veramente significativi, […] e li mette in successione, facendo del nostro presente […] un passato chiaro, stabile, certo, e dunque linguisticamente ben descrivibile […]. Solo grazie alla morte, la nostra vita ci serve ad esprimerciPer dare un esempio dell'esercizio di cui è composta quest'opera, Zigaina ha scovato, tra le edizioni di Una disperata vitalità VIII, nella quale vengono citati Ostia e il suo mare come luogo della fine, l'omissione nel verso dantesco citato delle significative parole "suo dannaggio sogna"
qual è colui che
Le tre parole mancanti vengono richieste a Dante, allusione al mito di Giona reinterpretato nella versione finnica del Vainamonen.
Temi e treni non vogliono dire quello che pensiamo: i treni sono ovviamente il "lamento funebre" effettivamente riportato sul vocabolario come quarto significato (ho controllato).
Mi fermo: sono di fronte ad una sceneggiatura in cui i personaggi che girano attorno a Zigaina-Pasolini sono Maria Callas, Ninetto Davoli, Mircea Eliade e Frazier, Dante e Sor Ciappelletto.
Resta il dubbio se il giallo fosse quello che Pasolini costruì e interpretò, secondo Zigaina, o quello che fattosi suo interprete compone ora il pittore di Cervignano.
E' credibile, questa ricostruzione così diversa da tutte quelle che si sono affannate a ricostruire la morte di Pasolini?
Forse non di meno di quelle date per vere nelle sentenze che i tribunali hanno pronunciato sul caso, ed io, quasi quasi, faccio endorsement, non perchè ne sia convinto ma per fiducia nell'idea che la letteratura comprenda la realtà umana meglio della scienza (forense, nel caso in questione).
Ho ricordato i 50 anni dalla morte di Pasolini oltre che sul libro guardando ed ascoltando la voce di Zigaina, rileggendo l'intervista a Colombo e lo scritto per il congresso dei radicali.
Ho riascoltato la canzone di De Gregori, i cui versi restituiscono una versione ancora diversa di quella notte, evidentemente ispirata da poesia :
Sarebbe giusto onorarlo leggendo le sue opere, ma mi sembra giusto ricordare di nuovo le parole che gli dedicò, prima di cambiare idea, Giorgio Bocca:
Già, il vecchio Pasolini Pier Paolo, cinquanta chili di una rabbia che è solitudine, amore, timidezza, incontinenza, paura, genio. Cinquanta chili di uomo. Ma non è questo che fa tenerezza o mette a disagio, ma ben altro: sentirsi in debito con lui per conto di tutti e non sapere che fare, come ripagarlo dell’intelligenza che ci ha dato in questi anni, generosamente. Non è il denaro che vuole anche se noi ci guardiamo bene dal darglielo; né siamo autorizzati a concedergli quella esenzione dalla morale comune che chiede con tanta ingenua insistenza: diamogli almeno la stima intellettuale che merita (su diamogliela cuori spugnosi e cervellini esangui), diciamolo che è il migliore di tutti.

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