sabato 17 settembre 2022

Il cavaliere e la morte

di Leonardo Sciascia.
Una delle ultime opere di Sciascia, con un tocco di Friuli visto che venne scritta durante un soggiorno che lo vide ospite del "Premio Nonino".
Scriveva Beniamino Placido che fare cultura vuol dire invogliare a prendere in mano un libro. La lettura di Sciascia riesce benissimo in questo, quando superata l'ammirazione per l'erudizione che traspare dalle sue pagine e un po' di vergogna per la propria ignoranza (attenuata dalla soddisfazione di aver sfogliato, come il ragazzo dell'ottantanove arrestato, la 'Rivoluzione francese' di Mathiez), ti porta a compilare l'elenco delle prossime letture.
Primo della lista, l'Isola del tesoro.
Dev'essere stato uno dei "giusti" di Borges, quello contento che esista Stevenson, ad aver detto che quella lettura è "quanto di più si poteva assomigliare alla felicità".
Questa volta l'autore della vera indagine, tutta intellettuale, che comprende il delitto più di quella ufficiale, è un poliziotto. Non il commissario, il Vice.
Alle prese con il male che gli impone continuamente davanti agli occhi, con l'incisione di Dürer, il tema della morte, formula subito il dilemma intorno al quale ruota l'inchiesta: i figli dell'ottantanove sono stati creati per uccidere Sandoz o Sandoz è stato ucciso per creare i figli dell'ottantanove?
I riferimenti alla storia recente appaiono immediatamente comprensibili, l'intento etico del libro è enunciato in un'intervista del 1987: "Il mio ruolo è di dire le cose che noto o che scopro nella realtà: due e due fanno quattro e, identificate certe promesse, il risultato sarà inevitabile. Basta conoscere la storia italiana per capire che cosa capita oggi o accadrà domani. Non ho nessun dono profetico: basta, ripeto, conoscere e osservare, e aver il coraggio di opporsi al conformismo e alla verità ufficiale".
La comprensione della realtà diventa arte raffinata, vera e grande letteratura, in un racconto composto di parole lievi e raffinate, personaggi tratteggiati con poche pennellate, chicche lasciate qua e là tra riferimenti letterari e fulminei giudizi con i quali viene incenerita la parola "paninoteca" piuttosto che la "conversione" degli ex tabagisti.

Ci si converte sempre al peggio, anche quando sembra il meglio. il peggio, in chi è capace di conversione, diventa sempre il peggio del peggio.

La signora era magra, ma non sgradevolmente; la si poteva dire leggera, poichè leggero, di vibratile leggerezza, era il suo muoversi, il suo gestire.

Una legge, pensava, per quanto iniqua è pur sempre forma della ragione: per conseguirne il fine di estrema, definitiva iniquità, quegli stessi che l'hanno voluta e che l'hanno fatta, sono costretti a prevaricarla, a violentarla. 

Più volte fu costretto a dichiarare che si trattava di un presunto figlio dell'ottantanove; mai dimenticando, secondo diritto, il presunto: che come ognun sa è invece sinonimo, nel corrente linguaggio giornalistico, di colpevolezza certa.

Ma il mondo, il mondo umano, non aveva sempre oscuramente aspirato ad essere indegno della vita? Ingegnoso e feroce nemico della vita, di se stesso; ma al tempo stesso aveva inventato tante cose amiche: il diritto, le regole del gioco, le proporzioni, le simmetrie, le finzioni, le buone maniere..."

Ah, l'elenco.
Stevenson, Montaigne, Proust, Tolstoj, Leopardi, Gide, Hugo.

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