domenica 29 luglio 2018

Monte Zermula da Paularo (Ca Nelut)

Per rifarmi dell'anno scorso parto in solitaria, alle 8.30 sono già a Ca Nelut, la baita (chiusa) dopo Paularo sulla strada per Cason di Lanza, a metri 1120.
A mezzora (che diventano 20 minuti, 1,3km) è segnalata la Casera Zermula, con agriturismo aperto e spaccio di formaggi e caprini, ci si può arrivare per la strada cementata.
Superata la Casera e lasciata a sinistra la Casera La Valute con alcuni tornanti ed un brevissimo tratto nel bosco (incontrata una fontana per fare il pieno) si è subito a quota 1500, a costeggiare il Cul di Cretta, per un lungo tratto nel corso del quale si incontrano tre grotte scavate nella roccia, probabilmente manufatti di guerra. Il tempo lievemente nuvoloso permette di evitare un'esposizione al sole che con questo caldo farebbe sudare ancor di più. Continui segnavia aiutano a non perdere la traccia di un sentiero che di per sè non sempre è così evidente, probabilmente la via è molto meno battuta di quella che sale da Cason Di Lanza.
Sempre in vista, in basso, il Paese di Paularo
Senza vere difficoltà guadagno in 2h30 la cima, dalla quale si ammira un'ottima vista sui molti monti della Carnia. In prima file il Tersadia, sullo sfondo sono ben riconoscibili i rilievi che si intervallano fino alla Zoncolan. Verso Sud-est vediamo di fronte la Creta di mezzodì ed il Sernio. Dall'altro versante è ben visibile il Col di Lanza e la malga al passo.
Percorso facile anche se non brevissimo, adatto a chi non ama incontrare altri escursionisti (incrociato nessuno all'andata, un solo gruppo al ritorno)

Carta Tabacco 09, Segnavia Cai 442, Tempo indicativo 4h30, Altitudine min 1120, Altitudine max 2140, Dilsivello 1020

sabato 28 luglio 2018

L'autunno di Praga

di Demetrio Volcic

Tratto da una trasmissione radiofonica, narra gli eventi del 1968, ed in breve la loro coda, con il piglio del testimone oculare

domenica 22 luglio 2018

La conoscenza e i suoi nemici.

di Tom Nichols
Lo ammetto subito: ho scelto questo libro dopo averne sentito parlare da Saviano, nella puntata con Fazio in cui ha attaccato da par suo il “governo del cambiamento”.

Pur scritto con riferimento alla situazione americana, il testo affronta problemi con cui già ci confrontiamo, e che saranno sempre più attuali con lo scorrere del tempo.
La montante avversione non tanto contro gli intellettuali, quanto contro la competenza, deriva dal sommarsi al declinante livello culturale del venir meno della consapevolezza di chi sa meno.
Il fenomeno è da tempo ben percepibile, il merito di Nichols è concettualizzarne cause, sfaccettature, taluni effetti.
Il primo aspetto, connesso al generale declinare del principio di autorità, è il malinteso applicazione di un concetto “democratico” alla conoscenza, che travisa l’eguaglianza delle opportunità con l’eguale valore da attribuire alle opinioni: la separazione tra opzioni valoriali e ragionamenti sui fatti dovrebbe far ben comprendere che al giudizio di chi è qualificato, per scienza ed esperienza, su una materia, deve attribuirsi un valore maggiore quantomeno sui secondi. Misconoscere questo aspetto rende impossibile la conversazione pubblica e spesso quelle private, diventa frustrante per gli esperti, genera distorte convinzioni nella massa degli “spiegatori”, che purtroppo sono elettori.
Un altro aspetto è il declinare dell’istruzione superiore: la descrizione incentrata sull’università americana, vale ampiamente nelle conclusioni anche per noi, con tutte le differenze del caso, declinata nel titolo del capitolo “il cliente ha sempre ragione”.
Cuore della questione è l’accesso alla sterminata massa di informazioni su internet. Nichols analizza bene i problemi dei rapporti solo digitali e i meccanismi autoreferenziali che distorcono gli effetti positivi del web, generando in chiunque la convinzione di conoscere un argomento in pochi minuti (avendo a malapena letto il titolo di qualche post), normalmente avendo trovato le fonti che guardacaso confermano la propria opinione.
Non aiuta l’evoluzione del giornalismo inevitabilmente impoverito dalle libertà del mercato, che lo ha costretto a mixarsi sempre più con l’intrattenimento e la ricerca di consenso.
La preoccupazione dell’autore sono gli effetti sulla democrazia.
Ne vediamo gli effetti, aggiungo io, quando circolano slogan agghiaccianti tipo “uno vale uno”

martedì 10 luglio 2018

Stati Uniti contemporanei


di Bruno Cartosio

Ho scelto questo libretto mentre cercavo un altro dello stesso autore sulla storia del West.
In duecento paginette la storia degli Stati Uniti della guerra di secessione a Obama è necessariamente concentrata.
Le due chiavi di lettura che sceglie questo autore sono l’operato delle Presidenze e le dinamiche della distribuzione della ricchezza.
Cartosio evidenzia in particolare la costante presenza di “due nazioni”, di cui quella opulenta e vincente che identifichiamo con l’America è solo la meno popolata, e rivolge la sua attenzione all’altra, oltre che ai movimenti che nel corso alla storia hanno cercato di migliorarne la condizione.
Lettura “da sinistra” molto lontana da quella di un libro di Teodori, con un punto di vista interessante, anche se non affronta un tema che a mio avviso si pone, di come l’accettazione di certe condizioni di vita faccia parte in qualche misura di una sorta di “contratto” per il quale esse siano il corrispettivo della possibilità di grandi ascese verso grande ricchezza, ed in quanto tali trovino maggiore accettazione che in altre società.

Il Contesto. Una parodia


di Leonardo Sciascia

“- I nodi, alla fine, vengono al pettine.
-          Se c’è il pettine”
Questo scambio di battute varrebbe da solo, come si direbbe in altri ambiti, il prezzo del libretto.
Rileggere “Il contesto”, ovviamente non riuscendo nemmeno stavolta a comprenderlo appieno, è qualcosa a metà fra un piacere ed un dovere verso se stessi. 
La chiave di lettura collegata al periodo in cui fu scritto, ben percepibile, si sovrappone alla accennata struttura da giallo. La riflessione sull’errore giudiziario e sul ruolo del giudice nel noto dialogo fra Riches e Rogas vale una mezza dozzina di trattati di filosofia del diritto, e forse tanta comprensione della nostra storia.
Il tutto con la solita prosa sciasciana che fa insieme ammirazione ed invidia.

Il Reis. Come Erdogan ha cambiato la Turchia


di Marta Ottaviani

Ho inseguito questo testo fin dalla sua pubblicazione, uditane all’epoca la presentazione su radioradicale, e nell’ambito del mio grande interesse per la Turchia e per questo novello Sultano, che considero pericoloso più o meno alla stregua di un Hitler. Due anni dopo ne avrebbe avute di cose da aggiungere, la Ottaviani, nei giorni in cui Erdogan giura da Presidentissimo, completando la sua opera di ottenere il potere assoluto (ma forse non la sua opera in assoluto).
Dopo un primo capitolo in cui si riassume la storia della Turchia repubblicana, con attenzione particolare ai vari golpe militari che l’hanno contrassegnata, l’ascesa di Erdogan viene raccontata nelle sue fasi, nel suo rapporto con le “tre Turchie” che la Ottaviani individua: quella laica delle elite ricche ed occidentalizzate, quella islamica della Turchia profonda, soprattutto la terza Turchia del ceto medio che, mai ascoltato dai gruppi al potere, ha finito per dare credito a chi, almeno nella prima fase, le ha offerto una speranza di miglioramento.
La Ottaviani racconta in gran parte da testimone, oltre che da giornalista, anche una serie di presentimenti solitari man mano fattisi realtà.
Nel descrivere l’ascesa al potere del Reis non manca di illustrare i motivi reali di un consenso crescente, che individua in taluni indubbi successi amministrativi ed economici, e soprattutto nell’aver saputo offrire a larghi strati del suo Paese un’alternativa che sapesse includerli nel discorso pubblico. Abilità, fortuna e soprattutto ambiguità di fondo si sono mescolati nella fase in cui fu decisivo anche l’appoggio internazionale, che volle vedere più il proclamato intento di democratizzazione rispetto al dimesso (apparentemente) aspetto islamizzante.
Particolare attenzione dedica la Ottaviani ad alcune svolte, in particolare la rivolta di Gezi Park in cui potè vedere per l’ultima volta parte della “terza Turchia” in piazza per il proprio futuro, come ad aspetti importanti quali i rapporti con l’estero e la questione curda.
La passione che si legge in ogni pagina corrisponde ad un anticlimax della speranza, che al termine sembra completamente dissolta.
Testo molto interessante e agevole, in quanto dichiaratamente a metà fra un testo accademico ed un instant book, letto tutto d’un fiato.

venerdì 6 luglio 2018

Ossessioni americane


di Massimo Teodori

Come altre volte mi è capitato, l’aspettativa sui libri di Teodori è molto alta e viene parzialmente delusa.
L’ascesa alla Casa bianca di Trump è l’occasione per una carrellata su quattro “lati oscuri” della storia americana, che pur spesso presenti nella politica e in personalità anche importanti, mai erano arrivate così in alto: nativismo, populismo, isolazionismo, autoritarismo.
Gli episodi e le epopee che ripercorre l’autore non lasciano più di tanto il segno, anche se è singolare apprendere di come i cattolici siano stati oggetto di violente campagne dei “veri americani”.
La chiusura è un altro grande classico di Teodori: la ribadita convinzione che la forza della democrazia americana è tale da superare anche questa.
Speriamo.

Titanic


di Vittorio Emanuele Parsi

Questo testo offre un’interessante chiave interpretativa delle dinamiche della politica internazionale. La tesi di fondo è che l’ordine liberale affermatosi nel secondo dopoguerra ha abdicato, a partire dall’affermarsi delle politiche liberiste negli anni Ottanta, alla sua capacità di comporre democrazia e mercato, entità che non si necessitano ma se convivono inducono l’una e l’altra a trarre il meglio di sé.
Il nuovo ordine globale neoliberale, se di ordine può parlarsi, ha tradito le sue promesse e fallito la storica occasione di capitalizzare la scomparsa nel nemico storico (il comunismo) per favorire una maggiore distribuzione della ricchezza. Il mercato , privo di controlli sul piano internazionale e nazionale, ha fatto il suo corso aumentando le diseguaglianze.
Il mondo come lo abbiamo conosciuto rischia di schiantarsi contro i nuovi pericoli che si affacciano, come iceberg sulla rotta del Titanic: ascesa delle potenze cinese e russa a contendere l’egemonia USA, polverizzazione della minaccia violenta del terrorismo internazionale, l’eccentricità delle politiche trumpiane (in particolare l’abbandono del multilateralismo e dell’asse atlantico), crisi delle democrazie occidentali attaccate dalla popolocrazia.
Nel descriverli Parsi approfondisce in maniera informata molti dei principali dossier della politica internazionale: ma resta sullo sfondo, e denominatore comune tanto dei fatti internazionali quanto della crisi interna di molti paesi, la critica (banalizzando direi “da sinistra”) alla svolta compiuta nell’epoca del neoliberismo e della deregulation , quanto il sistema liberale ha rinunciato alla sua capacità e volontà di regolare, di affermare il primato della politica sull’economia, di perseguire scopi di giustizia e solidarietà per il maggior numero di persone.