domenica 1 maggio 2016

Faccio outing

Senza imbarazzi, nè condizionamenti dell'attualità, visto il duplice annus horribilis e l'ancor più orribile weekend. 


Al link che segue si può leggere il tabellino e vedere il resoconto video "settimana incom" di un'antichissima partita Juventus Milan giocata giusto 62 anni fa, il 2 maggio 1954.
Protagonisti e spettatori sono nella migliore della ipotesi ultraottantenni, eppure per i casi strani della vita nella lontana Udine c'è chi ha un motivo di ricordarla. A casa mia è infatti conservata una ingiallita cartolina illustrata con le foto dei calciatori del Milan (tra cui Nordhal e Liedholm) di allora disposti a mo' di formazione. Sul retro è annotato qualcosa del tipo "2 maggio 1954. Juventus - Milan 1-0. Gol di John Hansen. Il Milan ha giocato meglio ma la Juve ha vinto la partita".


Per farla breve, mio padre allora quattordicenne allievo nel collegio dei padri scolopi di Carcare, condotto in gita dal professore di francese, religioso con fede juventina non meno accesa di quella cattolica, ha avuto in tale partita il suo "battesimo del fuoco", ed ha deciso per un'ingenuità che solo l'età può giustificare di parteggiare da allora per coloro che il fato aveva punito al di là del merito.
Certi eventi lasciano segni non subito riconoscibili, ma i fatti e gli insegnamenti che se ne traggono restano leit-motiv di un'esistenza anche per le generazioni successive (eccomi):
- Il Milan gioca meglio, ma alla fine vince la Juve (diventa poi metafora di vita: non sempre vince chi ha dato di più);
- Meglio guardarsi dai preti;
- Meglio guardarsi dai francesi;
- Francesi e gobbi vanno spesso a braccetto;
In ogni caso, noialtri siamo del Milan da oltre 60 anni. La passione sfrenata per il pallone (il mio primo ricordo in assoluto vede mio padre che mi annuncia l'inizio degli europei 1980) mi è stata trasmessa accanto a questo dato che ha assunto la naturalità del colore degli occhi o del cognome che portiamo.
I casi della vita e della naja hanno poi portato mio padre in questa terra, allontanandolo dalle settimanali frequentazioni di San Siro, allora non compensabili dalla Serie C in cui giocava la squadra locale (per incredibile coincidenza il giorno del matrimonio dei miei si è giocata Udinese-Alessandria 0-1, che visto il risultato non può certo dirsi predittiva dei successivi equilibri domestici).
Quando ho avuto l'età ed il comprendonio per seguire le partite la mia squadra si trovava in serie B e a San Siro vinceva la Cavese; la spilletta che ricevetti in dono con l'invito "la metterai quando vinceremo lo scudetto" la accolsi con lo scetticismo che potrebbe avere oggi un tifoso del Bologna di fronte ad analoga boutade.
Nel frattempo si cominciava a seguire con passione anche la squadra locale tornata da poco nella massima serie, poi addirittura capace di comprare e schierare il Pelè bianco, allora forse numero 1 al mondo. Giusto l'anno prima c'era stato il mio primo di una serie che è giunta a 34 abbonamenti (allora davano un blocchetto con 15 tagliandi che si staccavano partita per partita, prima che si passasse alla scheda perforata, poi al chip). Tifavo per l'udinese 28 partite, come Ciccio per il Catania. Quando c'erano però i colori rossoneri, non resistevo. Una volta, credo fosse il 1990, mi ha pure intervistato per Telefriuli il povero Carlo Casarsa con tanto di sciarpetta rossonera, mentre stavo chiedendo l'autografo a Donadoni, nell'occasione stranamente maleducato, nell'intervallo di una partita.
Il Milan raccolto alle soglie del fallimento da un imprenditore di successo aveva nel frattempo preso a dominare in Italia ed in Europa, ed in un modo che non poteva far presa sull'animo di un ragazzo.
Furono però quei grandi successi, in anni in cui l'Udine si barcamenava fra la A e la B, a instillare i primi dubbi sul mio rapporto con le due squadre. Un rivelatore articolo sul Messaggero nel 1996, all'indomani di Udinese - Inter 0-1 (la partita del centenario decisa da un gol di Sforza, ma ricordata dai tifosi furlans per il fallaccio di Fresi su Stroppa che rinverdì il fantasma di Righetti. Titolo dell'articolo, chissà dove si è cacciato il ritaglio: “Una sconfitta che non cancella un secolo di nobiltà”) mi illuminò sulla particolarità di questa squadra e del rapporto viscerale con il suo popolo, il mio popolo.
Mi accorsi, in breve, che la vittoria di uno scudetto non mi dava la stessa gioia di un pareggio con gol di Goitom al 90°. Una finale di coppa dei campioni vista vincere dal vivo non valeva la gioia della prima vittoria sulla Juve attesa 35 anni (grazie ancora, Oliver!).
"Son passati più di trentanni, quante gioie quanti dolori", dice uno dei nostri cori un po' vintage.
Lo spareggio salvezza con il Brescia a Bologna, in una squadra con Sensini Dell'anno Desideri Balbo e Branca.
La prima europa con la seconda squadra di Zac, inarrivabile condottiero, che fece due mesi di calcio stratosferico, senza dubbio il migliore mai espresso da queste parti. Se ci fossero stati i playoff, non c'era storia. 
L'incredibile terzo posto del 1998. Dopo la gloriosa e sfortunata notte con l'Ajax, a Natale eravamo secondi. Battuta l'Inter di Ronaldo con un gol di Biehroff al 90, quel giorno ci fermammo tutti un bel po' dopo la partita, nessuno voleva lasciare lo stadio. Di quella fantastica annata gli interisti ricordano il fallo di Juliano su Ronaldo, non quello su Pineda la settimana prima in una partita che ci poteva portare a due punti da loro; le discutibili classifiche che vengono fatte al netto degli errori arbitrali lo scudetto lo davano a noi, noi agli Onesti per antonomasia in giacca nerazzurra. A San Siro c'ero quel giorno, per la prima volta vidi la mia squadra giocarsela con il piglio della grande. C'innamoravamo sì, quell'anno al Friuli, e non solo quando segnava il tridente.
La grande cavalcata del Guido nel 1999. Ricostruì la squadra senza il fenomenale fromboliere tedesco e la portò in Europa al termine di uno spareggio che durò 98 minuti, perchè allora si giocava finchè la Juve non segnava. Ancora grande gioco e grande orgoglio di quei ragazzi.
Dopo qualche anno buio, inframezzati da gemme tipo Leverskusen, un altro quarto posto con la squadra di Spalletti. Meno spettacolare, ma tremendamente quadrata e consapevole dei propri mezzi. Champions! Il sogno di essere nell'Europa che conta, concluso malamente con la dolorosissima serata con il Barcellona.
Pochi anni dopo, tornato il nostro più grande allenatore, due straordinarie cavalcate al quarto e terzo posto consecutivo, nel segno di un piccolo grande uomo che ha realizzato il nostro sogno del campione che dice di no alla Juve per sposare la piccola Udinese.
Nel mezzo anche annate anonime, tra cui le orribili ultime due, e tanti momenti in cui la grande e definitiva impresa è stata lì, a portata di mano, che mancava solo quel tiro finito sul palo o bastava scalare meglio una marcatura.
L'essere ad un passo dall'impresa, accarezzarla e sfiorarla per poi mancarla con rimpianto mescolato all'orgoglio di averla avvicinata, ecco, questo è il leit-motiv della storia sportiva dell'Udinese, al pari del suo essere una sorta di piccola nazionale.
In questi 34 anni con la pioggia e con il sole, primi in classifica o a nelle zone basse della B, io c'ero, a sperare nell'impresa possibile ed accarezzare i sogni più improbabili, a gioire quelle volte che andava bene e a soffrire le molte altre. Ho stimato circa 600 partite di campionato, al netto di una quindicina di defaillance dettate da eventi tipo il battesimo di mio figlio o serie indisposizioni, ed un record forse non esclusivo ma bello di aver visto tutte le partite europee casalinghe della mia squadra.
I colori rossoneri li riconosco ancora, come riconosco le mura della casa paterna. Ma quelli della mia Udinese li paragonerei piuttosto ai capelli profumati della donna amata.

E allora da un po' mi unisco anch'io al coro che i nostri ultras hanno mutuato dalla magnifica hinchada del San Lorenzo (...Nosostros no somos Boca ni River Plate):

Bianconero è il mio color
la maglia che porti addosso è la mia passion
Milan Juve e Inter non fan per me
Non tifo per gli squadroni ma tifo te!

Nessun commento:

Posta un commento