martedì 23 maggio 2017

La pelle è un tessuto che ha un valore se sotto ci sono tanti organi fra i quali il cervello e il cuore e quindi un’idea e una passione. Se per paura dovessimo rinunciare all’idea, a che ci servirebbe la pelle?

 

Pier Luigi Ingrassia, 1947

sabato 20 maggio 2017

Un anno senza Pannella

In tutti gli anniversari in cui si ricorda un celebre defunto, una tipologia di ricordi molto utilizzata è quella che fa riferimento a momenti personali che hanno legato l'autore alla persona di cui si parla.
Nel caso di Marco Pannella, un uomo che faceva del dialogo quasi amoroso con chiunque incontrava una ragione esistenziale, sono talmente tanti quelli che possono rievocare un aneddoto personale, che tra di essi ci sono persino io.

Elezioni politiche del 2008. Pannella in tour incontra i simpatizzanti e i militanti della regione in una sala dell'Astoria.
Mi invitano, vado, accompagnato da mia moglie all'ottavo mese del secondo figlio, e dal primo di neanche due anni nel passeggino.
Arrivo presto: entro nella sala deserta e trovo solo l'organizzatore. Anzi, no, in un angolo c'è un vecchio con una pila di giornali.
Mi si fa incontro l'organizzatore, che conoscevo, e lo sento:
"Marco, vieni qua che ti presento un compagno!"
Pannella si avvicina. Walter: "E qui c'è un piccolo radicale! E un altro è già pronto" (indica il pancione). 
Marco mi saluta con uno dei suoi ciao e dedica le sue attenzioni al piccolo Ciccio:
"e gheee! Buuu! te li mangio questi piedini!". E via andare.
Marco Pannella, il gigante burbero e buono, il mangiapreti, l'amico di froci zingari e carcerati, l'uomo abituato a battere il marciapiede chiedendo soldi e firme, si è messo a giocare con il mio bambino come ho visto fare solo a dei nonni rincoglioniti per il primo nipote. 
Perchè anche il figlio di uno sconosciuto era per lui una persona cui dedicare attenzione.


Con un canestro di parole nuove, calpestare nuove aiuole.

martedì 9 maggio 2017

Io e te

Sai che ho pensato sempre, quasi continuamente
Che non sei mai stata mia
Quello che potremmo fare io e te
Non l’ho mai detto a nessuno
Però ne sono sicuro
Quello che potremmo fare io e te
Non si può neanche immaginare

martedì 25 aprile 2017

Taliani

In Cina ci stiamo facendo una fama sinistra.
Rischiamo di passare un po' come dei napoletani a Milano, per gente che tira pacchi.
Due squadre gli abbiamo venduto a suon di milioni...

Corsi e rimorsi

Quello che questo luogo non deve diventare è una raccolta di pensieri altrui, per quanto alati.
Devono starci i miei.
Fanno eccezione alcuni pensieri non banali di uomini stimabili.
E fa eccezione la poesia.  Perchè la poesia sa dire quello che le parole non esprimono, che sa solo il cuore, dell'oggi e di sempre. 

E allora, ancora Borges. Ripescata da un amato volume, segnalata da un segnalibro lasciato lì, da quanto tempo non so. 

Il rimorso
Ho commesso il peggiore dei peccati
che possa commettere un uomo.
Non sono stato felice.
Che i ghiacciai della dimenticanza
possano travolgermi, disperdermi senza pietà.
I miei mi generarono per il gioco
arrischiato e stupendo della vita,
per la terra, l’acqua, l’aria, il fuoco.
Li defraudai. Non fui felice. Compiuta
non fu la loro giovane volontà. La mia mente
si applicò alle simmetriche ostinatezze
dell’arte, che intesse nullerie.
Mi trasmisero valore. Non fui valoroso.
Non mi abbandona. Mi sta sempre a fianco
l’ombra d’esser stato un disgraziato.

Il ricordo impossibile

In una giornata piovosa, sfogliare le pagine dell'amato Borges, e trovare appuntata, chissà da quale me, un giorno dimenticato, questa poesia:

Elegia del ricordo impossibile

Che cosa non darei per la memoria
di una strada sterrata fra muri bassi
e di un alto cavaliere che riempie l’alba
(lungo e sdrucito il poncho)
in uno dei giorni della pianura,
un giorno senza data.
Che cosa non darei per la memoria
di mia madre che contempla il mattino
nella tenuta di Santa Irene,
ignara che il suo nome sarebbe stato Borges.
Che cosa non darei per la memoria
d’essermi battuto a Cepeda
e di aver visto Estanislao del Campo
salutare la prima pallottola
con l’esultanza del coraggio.
Che cosa non darei per la memoria
di un portone di villa segreta
che mio padre spingeva ogni sera
prima di perdersi nel sonno
e spinse per l’ultima volta
il 14 febbraio del ’38.
Che cosa non darei per la memoria
delle barche di Hengist,
mentre prendono il mare dalle sabbie danesi
per debellare un’isola
che ancora non era l’Inghilterra.
Che cosa non darei per la memoria
(l’ho avuta e l’ho perduta)
di una tela d’oro di Turner,
vasta come la musica.
Che cosa non darei per la memoria
di aver udito Socrate
quando la sera della cicuta
serenamente analizzò il problema
dell’immortalità,
alternando i miti e le ragioni
mentre la morte azzurra lo invadeva
dai piedi fatti gelidi.
Che cosa non darei per la memoria
di te che avessi detto che mi amavi
e di non aver dormito fino all’alba,
straziato e felice.

La moneta di ferro, 1976

Preveggenze di un celebre non vedente

Mi conosco affatto indegno di opinare in materia politica, ma forse mi sarò consentito aggiungere che diffido della democrazia, questo curioso abuso della statistica.

JLB, 27 luglio 1976

sabato 1 aprile 2017

Se c'è una cosa che imparato nella vita,
è che la complessità delle situazioni e delle persone è irriducibile.
Ignorarla equivale a non comprenderle.
E porta ad un errore non meno grave di quello di chi la prende come pretesto per non affrontare le decisioni.

sabato 18 marzo 2017

Più splendori che sbagli


Interessante questo articolo de L'Espresso che con la direzione Cerno ha una rinnovata attenzione ai radicali.
La parte sugli sbagli va via un po' corta: ma l'aspetto rilevante è l'aver individuato la peculiarità vera della nostra storia: Che i Radicali, in tutte le loro numerose metamorfosi, abbiano intuito quanto si andava annunciando nella società italiana è un fatto inoppugnabile.
Poco importa se Esposito individua un paradosso fra tale merito e la "durata", errando clamorosamente in quanto si parla del più longevo partito italiano, ed in quanto il paradosso è la proporzionalità inversa fra la lungimiranza ed i riscontri elettorali.
E' bello leggere, anche ora che #ètuttofinito, che 
Se già alla fine degli anni Cinquanta coglievano la crisi del centrismo democristiano che avrebbe portato alla nascita del centro-sinistra, negli anni Ottanta già si collocavano in quell’orizzonte postpartitico oggi pienamente realizzato. Ma la loro grande intuizione risale agli anni Sessanta, quando essi entravano in sintonia con una svolta di grande portata. Si tratta di quel salto antropologico che possiamo definire biological turn, destinato a cambiare irreversibilmente la forma e la materia della politica. Quella che allora si contagiava, dai campus delle Università americane ai boulevard di Parigi, era la centralità assunta dalla vita biologica nelle dinamiche politiche.
E, più che i raffinati riferimenti intellettuali, è bello leggere un riconoscimento come questo:  che Basterebbe la restituzione dell’onore a Enzo Tortora per conferire un significato alla storia del Pr.



Grazie, Marco Pannella