"La verità è bene, ma l'amore è meglio"
V. Grossmann
mercoledì 15 maggio 2019
La frase definitiva
sabato 20 aprile 2019
Viva, Viva, Viva Radioradicale
Bandiera di libertà, scrigno di intelligenza, fabbrica di idee e di cultura.
Casa della democrazia e rifugio degli ultimi.
Tutto questo è Radio radicale, eppure (ma forse per questo) vogliono chiuderla.
Un passaggio dell'intervento di Bordin all'ultimo congresso lo urla chiaramente. Ma vi pare che questi abbiano piacere che ci sia la diretta dal Parlamento, senza mediazione, che emerga chiaro a tutti di che pasta sono fatti?
E tuttavia.
Approfondimenti per tutti i gusti.
Le istituzioni che diventano veramente "casa di vetro".
Il microfono aperto a tutti
I processi.
Radio carcere, ragione di speranza per gli ultimi della società.
Si, trattasi di "un lusso per i buongustai dell'informazione". Di una voce che informa, fa capire, fa pensare. Quanto vale un'idea nuova, una riflessione interessante, un nuovo punto di vista, una volta al giorno, alla settimana?
Per chi abbia una vita intellettuale, è un'opportunità unica e straordinaria (temo che l'ambito soggettivo, così delimitato, lasci poca speranza al successo della campagna per la sopravvivenza).
Ce n'è abbastanza?
Ah già, dimenticavo che al tempo stesso la nostra radio è l'esempio perfetto del servizio pubblico e l'essenza della democrazia, iscritta nel suo fantastico motto (einaudiano) del "conoscere per deliberare".
La democrazia dà fiducia a tutti (anche ai pentastellati), presuppone che diffondendo la conoscenza si prendano le decisioni migliori; e la radio radicale mette il suo microfono al servizio di questo semplice ma straordinario principio.
Che qualcuno voglia intestarsi un simile scempio, potrebbe interessare la psichiatria.
Vabbè, non il "gerarca minore", quello non interessa nemmeno alle zanzare.
Ma che Giuseppe Conte voglia legare il suo nome a questo atto, mi sembra impossibile.
Qualcuno ci dica cosa dobbiamo fare per evitare questa follia.
Non mancherà solo agli imbecilli
Ci ha lasciato Massimo Bordin.
Che dispiacere, che dolore.
Bene dice Emanuele Macaluso quando evidenzia che questo è un vero lutto nazionale: che uomo, Massimo Bordin, che perdita per me, per la cultura, per l'Italia.
Mattia Feltri, bravo, trova le parole che sanno descrivere la misura della perdita: Come si spiega a un Paese sperduto e digrignante, sentenziante, famelico di un abracadabra qualunque esso sia, che la vita è politica, e la vita e la politica sono una disastrosa complicazione, una ricerca affannata del pertugio giusto, un errore via l' altro, e non c' è soluzione magica, quella è illusione, roba da fattucchieri? Come glielo si spiega, ora che siamo uno di meno, e quell'uno aveva il calibro di Massimo Bordin?...
Personalmente sono convinto che quanto "stampa e regime" gli rendano merito lo "speciale giustizia" e la rubrica "Bordin line" sul Foglio. Era, a mio avviso, il massimo esperto di giustizia di Italia come avverte ancora Feltri: "Sapeva che il diritto, inteso come amministrazione della giustizia, è filosofia, perché ricerca direttamente il cuore dei rapporti umani, arriva a definire l' inviolabile unicità dell' essere umano, anche quando è l' ultimo degli ultimi, cioè il più disprezzabile dei colpevoli, e pertanto il diritto non è mai vendicativo perché, quando produce vendetta, il diritto muore.
Che dispiacere, che dolore.
Quanta intelligenza, quanta cultura, quanta memoria e conoscenza dei fatti si concentravano in quest'uomo capace di farsi così tanto amare ed apprezzare da così tanti, così diversi.
Nel ricordo che con sincerità e dolore molte fra le persone migliori di questo Paese hanno voluto esprimere brillano i meriti e le qualità dell'uomo e del giornalista.
Soprattutto emerge come Bordin fosse diventato per tutti parte della vita e della giornata, un po' come il caffè alla mattina, all'ora del caffè alla mattina.
Trovata la sua email su una mailing list di radicali, una volta glielo scrissi: l'ascolto di "stampa e regime" è cosa che impatta direttamente sulla mia qualità della vita.
Mi rispose il giorno stesso con il suo garbo:"grazie infinite".
Grazie infinite a te, Massimo
"Quello che ci ha lasciati è un autentico gigante", ha detto giustamente Falconio al termine del funerale laico, lo stesso nel quale Macaluso commosso fino alle lacrime ha altrettanto giustamente urlato il titolo di questo post, e nel quale la compagna Daniela ha trovato il modo di paragonarlo al Funes di Borges, facendo venire i brividi a chi scrive, che (casi della vita!) proprio grazie al racconto su Ireneo Funes conobbe il suo scrittore preferito.
Bene dice Emanuele Macaluso quando evidenzia che questo è un vero lutto nazionale: che uomo, Massimo Bordin, che perdita per me, per la cultura, per l'Italia.
Bordin è stato un intellettuale originale nell’Italia preda del fanfaronismo, ha titolato Teodori, maestro ed amico. E' stato, prima ancora dell’inventore della originalissima rassegna stampa di Radio Radicale, un autentico intellettuale politico tra i più solidi del nostro tempo. Ma anche il riferimento indispensabile per il mondo della giustizia di cui ha saputo cogliere tutte le sfumature e le declinazioni individuali e procedurali senza timore di essere accomunato alla cultura para-mafiosa dal gruppo che oggi gli ha reso l’onore della armi, accusa che era stata già rivolta a Leonardo Sciascia.
Mattia Feltri, bravo, trova le parole che sanno descrivere la misura della perdita: Come si spiega a un Paese sperduto e digrignante, sentenziante, famelico di un abracadabra qualunque esso sia, che la vita è politica, e la vita e la politica sono una disastrosa complicazione, una ricerca affannata del pertugio giusto, un errore via l' altro, e non c' è soluzione magica, quella è illusione, roba da fattucchieri? Come glielo si spiega, ora che siamo uno di meno, e quell'uno aveva il calibro di Massimo Bordin?...
Drammatica diventa la domanda: Come si spiega a un Paese sperduto che cosa significa restare saldi nella precarietà del raziocinio?
E' quasi geniale, la "precarietà del raziocinio".
Del resto chi l'ha ispirata Sapeva che la politica non è mai innamorarsi di un' idea, è semmai distaccarsene per valutarla meglio nel momento stesso in cui la si sposa. Sapeva che una società funziona soltanto se il più profondo dei convincimenti si arresta davanti alle barriere che l' uomo si è dato, ad argine dell' arroganza delle proprie verità, a tutela dunque di sé oltre che degli altri, e cioè le regole istituzionali, il rigore dei ruoli di Stato, l'autolimitazione quando si ha la responsabilità di tutti e non soltanto del proprio recinto politico. Sapeva che il consenso non è il fine unico della politica, perché la politica è la capacità di dire quello che si ritiene giusto e non quello che si ritiene gradito: quando il consenso diventa il fine unico della politica, la politica muore.
Personalmente sono convinto che quanto "stampa e regime" gli rendano merito lo "speciale giustizia" e la rubrica "Bordin line" sul Foglio. Era, a mio avviso, il massimo esperto di giustizia di Italia come avverte ancora Feltri: "Sapeva che il diritto, inteso come amministrazione della giustizia, è filosofia, perché ricerca direttamente il cuore dei rapporti umani, arriva a definire l' inviolabile unicità dell' essere umano, anche quando è l' ultimo degli ultimi, cioè il più disprezzabile dei colpevoli, e pertanto il diritto non è mai vendicativo perché, quando produce vendetta, il diritto muore.
In molti evidenziano la concomitanza fra la scomparsa di Bordin ed il momento critico della sua e nostra radio: la sua partenza (di nuovo Macaluso) avviene mentre ci sta un governo, con un presidente del Consiglio, che mostrano di non sapere un bel nulla sulla storia d’Italia e sul ruolo che vi ha assolto sinora Radio Radicale.
Eh già.
Ma come si spiega tutto questo a chi pensa che tutto questo debba misurarsi con l' analisi costi benefici? Che Radio Radicale o si regge sulle sue gambe o chiude? Che sia una questione di mercato? In che lingua glielo si spiega ai nuovi potenti? Noi siamo rimasti aggrappati a Massimo Bordin, a Radio Radicale, a Marco Pannella per decenni, noi radicali, noi liberali di destra e di sinistra, noi socialisti libertari, noi cattolici liberali, noi atei devoti, noi repubblicani, noi laici, noi anarchici, noi poveri apolidi, noi alla ricerca di un posto dove sapere qualche cosa di più, e non di un riparo dove mettere in sicurezza l' ultima confortante ideuzza dell' occasionale maggioranza.
Che uomo, Massimo Bordin, con quella acribiosa passione per il dettaglio e in quell’inesausto zelo per i particolari, quelli della storia italiana e del suo sistema di partiti, così come quelli delle vicende della criminalità organizzata e dei relativi infiniti processi che ricorda Luigi Manconi.
(Ancora Feltri) Sapeva che tutto è così vano, inutile, e quel pochissimo di concreto su cui ci è dato di sostenerci poggia sulla memoria, sugli archivi, sui libri, su quello che è stato scritto e detto, su quanto l' uomo ha concepito nel disperato tentativo di aiutare l' uomo, e che l' uomo senza memoria è un uomo perduto nel suo vacuo delirio che non ha nulla.
Sofri, sul giornale anche suo che con Ferrara ricorda "una passione unica", alla fine dice tutto: Massimo Bordin, che peccato!
Insieme alla Rassegna, per chiudere, il grido di dolore di Caiazza:
La notizia della morte di Massimo Bordin ci raggiunge tutti come un doloroso e quasi beffardo monito. Si spegne la voce di un amico innanzitutto, ma poi di un giornalista di rara e raffinata cultura, orgogliosamente libero nel pensiero, irriducibile ad ogni possibile condizionamento politico e culturale, ad ogni tentazione servile o anche solo conformistica, coraggioso nella sua naturale ambizione intellettuale di testimoniare idee, scelte, comportamenti lontani le mille miglia dai rassicuranti e mediocri approdi non del buon senso, ma -come gli avrebbe detto Pannella in quelle leggendarie conversazioni radiofoniche- del becero “senso comune”. Insomma, la voce perfetta, inimitabile e temo irripetibile, di quello splendido patrimonio della nostra cultura e della nostra democrazia che è Radio Radicale.
Vederti morire, Massimo, mentre la Tua Radio è costretta ad ascoltare quotidiani proclami della propria condanna a morte pronunciati con ottusa, tracotante spavalderia da inconsapevoli protagonisti del Nulla, ha il sapore stupefacente di una dolorosa ma forse provvidenziale metafora. Come a darci un motivo in più, una energia inaspettata e formidabile, per pretendere ed ottenere che quella simbiosi inscindibile, splendida e preziosa che vi fu tra Te e Radio Radicale, sopravviva, Ti sopravviva, e Tu con Radio Radicale.
Ti sia lieve la terra, Massimo.
martedì 12 febbraio 2019
C'erano una volta le riunioni di condominio
A simboleggiare il luogo in cui le persone mostrano il peggio di sè.
Ora ci sono i gruppi whatsapp dei genitori.
Ora ci sono i gruppi whatsapp dei genitori.
giovedì 10 gennaio 2019
Una piccola cosa che quasi sempre ci si dimentica
... è mettersi dal punto di vista degli altri.
mercoledì 28 novembre 2018
The answer, my friend, is blowing in a storm
Nel campionario di sgrammaticature, strafalcioni, assurdità soprattutto di emerite cazzate che ci hanno offerto i ministri a cinque stelle negli ultimi mesi, assume una luce particolare la presa di posizione del vicepremier Luigi di Maio in merito al suo candidato al comune di Corleone.
Tale Maurizio Pascucci, infatti, si è reso responsabile addirittura di essersi fatto fotografare con il signor Salvatore Provenzano, imparentato con il più noto Bernardo, e di aver dichiarato nell'occasione di voler parlare con i parenti dei mafiosi.
Apriti cielo.
Svelata la notizia da Repubblica, fulmini e tuoni dagli avversari politici, che imputano al M5S evidente mafiosità. Tuoni e fulmini dal capo politico, che scomunica il suo candidato sindaco seduta stante: «Lo Stato deve stare attento a non avvicinarsi mai, neppure con la propria immagine, a quella gente». Espulsione decisa (in realtà non può deciderla, regole alla mano: infatti «Mi sono rivolto ai probiviri e Pascucci merita l'espulsione», tanto per restare in tema di metodo mafioso).
L'utilizzo a fini opposti non toglie che d'accordo si trovi tutto l'arco costituzionale: la foto è scandalosa, il candidato sindaco è un favoreggiatore della mafia.
Chi potrebbe metterlo in discussione?
Un paio di dati di fatto aiuterebbero a inquadrare meglio la vicenda.
Salvatore Provenzano (ha sposato una nipote di Zu Binnu) è incensurato.
Pascucci dichiara che «Con la foto volevamo trasmettere il messaggio che i parenti dei mafiosi che prendono le distanze dai proprio congiunti non possono essere esclusi dalla comunità»
In pratica, ciò che viene imputato a questo Pascucci è di ritenere che le colpe dei padri e degli zii non ricadano sui figli e sui nipoti, che anche a persone che portano certi cognomi debba essere data una possibilità di una vita normale ed onesta.
Ciò che il nostro vicepremier ed i suoi detrattori, e gli haters riuniti della rete tutta non riescono neanche a concepire, evidentemente. E nemmeno il direttore di Repubblica, che pure dovrebbe comprendere bene il peso del cognome nella vita di una persona.
La cosa più sconcertante, tuttavia, è un'altra.
Discernere le situazioni comporta la necessità di informarsi, conoscere, riflettere, comprendere, attività fuori moda in tempi in cui il click è immediato. Molto più semplice, sentita la parola mafia e vista una foto, emettere la propria inappellabile sentenza.
Il dramma della comunicazione pubblica emerge palese ove di fronte ad una situazione complessa che andrebbe spiegata, compresa, si preferisce soprassedere dall'analisi e arrivare alla conclusione più facile, anche se sbagliata.
Dove andremo a finire?
The answer, my friend, is blowing in a storm
giovedì 22 novembre 2018
Lo sport nazionale
E' esprimere giudizi su questioni o fatti che non si conoscono a sufficienza
sabato 17 novembre 2018
Manifesto di un momento storico
I see the bad moon risin'I see trouble on the wayI see earthquakes and lightnin'I see bad times today
giovedì 1 novembre 2018
mercoledì 31 ottobre 2018
Quando il calcio era celeste. L'Uruguay degli invincibili. La prima squadra che dominò il mondo
di Niccolò Mello
Questi testi di Bradipolibri non ambiscono forse di giungere a vette letterarie, ma invogliano l'appassionato a saperne di più (qualche volta a rivivere l'epopea) di campioni di altri tempi.
Da ben prima che la garra charrua trovasse la sua fama per la follia di Daniele Adani, ho sempre ammirato la scuola uruguagia, ritenendo che i celeste interpretino il vero calcio (essendo a loro modo gli italiani del Sudamerica), spesso ho tifato per loro e per la loro capacità di andare oltre i limiti tecnici con la determinazione e l'organizzazione.
Questa della squadra che dominò il calcio negli anni 20 e 30, vincendo prima del mondiale due olimpiadi che all'epoca ne facevano le veci, è una storia poco nota, di campioni di cui si ignora spesso anche il nome. Il flessuoso Andrade, il carismatico capitano Nasazzi, il leggendario Scarone sono sconosciuti o quasi anche per i grandi appassionati di calcio, nella totale assenza di immagini in movimento.
Ripercorrere la loro storia è impresa per la quale l'autore si affida inevitabilmente a fonti di seconda mano e all'aneddotica; oltre allo sforzo, si apprezza la possibilità di aggiungere un piccolo tassello alla conoscenza di questo fantastico gioco.
Tuya, Hector!
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