venerdì 8 agosto 2025

La Cripta dei Cappuccini

 di Joseph Roth

Per molti anni ho indicato questo libro tra i miei favoriti, avendolo letto già al ginnasio grazie alle provvide prescrizioni della professoressa Lorenzon.
La qualità della narrazione di Roth si avvicina alla perfezione stilistica, garantisce un autentico piacere estetico della lettura che ho ritrovato ( forse superandolo) solo in Leonardo Sciascia.
In questo romanzo, tra i più noti dello scrittore asburgico e forse quello in cui maggiore è l'immedesimazione tra l'autore ed il protagonista, il tema centrale è la perdita del "mondo di ieri" e lo smarrimento di una generazione che dopo quella perdita non riesce a trovare il suo posto nel mondo, nella vita. 
Joseph Trotta è l'esponente di un'aristocrazia di giovane formazione, ma perfettamente integrata nel mondo mitteleuropeo che a Vienna vive senza svolgere alcuna attività che non sia l'impersonare i valori della monarchia asburgica. Fa parte di un gruppo di gaudenti che vivono "alla nottata", ostentando  disincanto verso le donne, la politica e i rapporti con le generazioni precedenti. La noia viene interrotta dalla visita di persone molto lontane da quell'ambiente, un cugino caldarrostaio sloveno ed un vetturino ebreo galiziano, che spezzano la routine del gruppo ma delineano lo spaccato di una società in cui le diversità nazionali, religiose e di classe trovano una composizione organica in un mondo raccolto accanto alla figura paterna dell'imperatore. 
I fatti sono narrati con il costante riferimento al senno del poi, letti quale costante presagio di una tragedia: "La morte incrociava già le sue mani ossute sopra i calici dai quali bevevamo".
La tragedia non è la guerra, ma la fine di un mondo che essa comportò.
Allo scoppio del conflitto (mirabile il passaggio in cui esso viene annunciato con il semplice riferimento all'incipit del celebre proclama con cui fu annunciata, da Francesco Giuseppe, "Ai miei popoli"), Trotta affronta i passaggi della partenza, della prigionia, del ritorno in una Vienna non più capitale di un impero, "vivo per errore":
"Ero di nuovo a casa. Tutti noi avevamo perso rango e posizione e nome, casa e denaro e valori: passato, presente e futuro. Ogni mattina quando aprivamo gli occhi, ogni notte quando ci mettevamo a dormire imprecavamo alla morte che invano ci aveva attirato alla sua festa grandiosa. E ognuno di noi invidiava i caduti. Riposavano sotto terra e la primavera ventura dalle loro ossa sarebbero nate le violette. Noi invece eravamo tornati a casa disperatamente sterili, coi lombi fiaccati, una generazione votata alla morte, che la morte aveva sdegnato "    
La modernità viene impersonata, per essere sdegnata, dalle attività cui si dedica la moglie Elizabeth, arti applicate, e dalla sua famiglia, i cui valori borghesi appaiono lontani da quelli che appaiono veri a Trotta.
Il figlio e soprattutto la forza della madre costituiscono un appiglio personale, che nulla può contro lo smarrimento per la perdita di qualcosa di più di una patria, di una identità. 
"Dove devo andare, ora, io, un Trotta?" 
La domanda che conclude l'opera è inevitabilmente destinata a restare senza risposta.
Riletto dopo molti anni, questo libro conserva intatta la sua classe. La qualità della narrazione è straordinaria, perle sono nascoste ovunque, specie dove piccoli dettagli costituiscono pretesto per osservazioni di carattere generale. Una maggiore conoscenza del contesto storico e la maturità dei 50 anni aiutano a comprendere ancora meglio alcuni passaggi.
   

Tina

 di Pino Cacucci


La via parallela a quella in cui ho passato la mia adolescenza è via Tina Modotti.

Un nome che ho quindi orecchiato da 40 anni, senza sapere esattamente chi era la persona a cui era appartenuto.

Si tratta di una delle udinesi più note fuori dai confini nostrani, per quanto la sua permanenza tra noi sia stata breve e, a giudicare da quanto racconta Cacucci, nemmeno delle più felici.

La sua vita si è infatti svolta tra gli Stati Uniti ed il Messico, con le significative parentesi in Spagna e Unione Sovietica.

Il racconto di Cacucci segue le vicende di una personalità molto forte, incentrate sul rapporto con l'arte fotografica e la passione politica, che da un certo punto in poi prevale. Appare singolare come una individualità così marcata abbia potuto assestarsi sulle posizioni più allineate allo stalinismo più ortodosso, di cui Tina fu nei fatti un agente.

Cacucci delinea una personalità inquieta soprattutto avvalendosi del rapporto con uomini molto diversi tra loro, Robo, Weston, Guerrero, Mella, Vidali, personalità forti conquistate dal fascino di una donna che non può che essere stato fuori dal comune.