domenica 30 aprile 2023

Anello del Monte Vualt da Dordolla

Nuova escursione del sabato, 29 aprile 2023.

Di buon mattino mi trovo a Dordolla, alle 8 sono sul sentiero 422. Dopo un primo tratto in piano, si sale di buona lena nel sentiero nel bosco, che dopo un primo tratto permette di guadagnare quota in maniera molto agevole (lunghi tornanti), arrivando nel giro di due ore ad una quota che consente una vista panoramica sulla Val d'Aupa.

Con una piccola deviazione alle 10.30 osservo il panorama dalla cima del monte Forchiadice, quota 1575. Ripreso il sentiero, salgo ancora incontrando oltre che temerari ciclisti in MTB anche della neve sul sentiero, fino a raggiungere il bel ricovero Cjasut dal sior, in luogo assolato con vista panoramica a quota 1740. Ho modo di scambiare due parole con la coppia che mi precede dalla partenza, nella quale ho riconosciuto (grazie al libro di vetta) gli autori delle guide "Sentieri e natura".

Purtroppo nel tentare di raggiungere una delle due cime non la riconosco, e mi ritrovo sul sentiero che ridiscende verso la forcella Vualt. Decido di proseguire sul sentiero in discesa, abbastanza ripido e poco battuto, rinunciando al programmato anello completo che prevedeva il Casermone ed il rifugio Vualt, ma accorciando sensibilmente il percorso, che incontra poi sentiero 425 e fa rientro a Dordolla, non senza perdermi nel tratto finale, proprio dopo aver incontrato i primi stavoli.






Carta Tabacco 018, Sentiero CAI 422, 425, Dislivello 1300m, Tempo indicativo: 7h (comprese soste), Difficoltà E, Altitudine min 610, Altitudine max 1740.

 

domenica 23 aprile 2023

Monte San Simeone


Dopo tanto rinviare, per un motivo o per l'altro, ecco la prima "escursione del sabato", per la quale mi inerpico su un monte inevitabilmente legato nel ricordo ai fatti del 1976. 

La strada è interrotta per lavori già al bivio per il Monte Festa, a quota 360, alla salita si aggiungono i 100 metri necessari a raggiungere il sentiero. Salgo nel bosco di buona lena, raggiungendo il tabernacolo con la statua lignea, poco prima del nuovo incrocio della strada. Salvi alcuni tratti sulla strada, in alcuni dei quali si apre la visuale sulla pontebbana da Ospedaletto a Venzone, procedo sul sentiero fino ad arrivare ad uno slargo, poco più in basso di quota 1200, da cui si apre la vista sul lato Ovest, punto di partenza dei praticanti il volo libero (ne trovo alcuni con il parapendio, pronti per il lancio su Bordano). La strada in breve conduce alla bella chiestetta dedicata al santo e poco più sopra all'altopiano , popolato di diverse abitazioni in piena regola. Poco dopo la traccia del sentiero che conduce alla cima porta su un pendio nel quale incontro un po' di difficoltà dovute alla pendenza e forse al poco allenamento; dopo la prima parte più impegnativa la pendenza cala e raggiungo la cima (ridendo e scherzando, sono quasi 1150 metri di dislivello, tempo salita circa 4h).

La vista è appagante, si spazia da Tolmezzo fino al letto del Fella, fino a intravedere Moggio e, di qua, Carnia e Portis. 

Inevitabile ricordare Flavio.

Dopo una breve pausa con pisolo d'ordinanza, scendo, trovando il modo di stupirmi per la lunghezza della strada percorsa. Circa 6 ore e mezza pause comprese. 


Carta Tabacco 013, strada asfaltata/cementata e sentiero CAI 429, Dislivello 1100, Tempo indicativo: 6,5 h (escluse soste), Difficoltà E, Altitudine min 360, Altitudine max 1505.




Venzone, dalla strada che porta all'Altipiano

Ospedaletto, si vede la casa dei nonni (dalla panca vicino alle prime case)

Tolmezzo (dalla cima)



La chiesetta


Tabernacolo

Carnia e Portis (dalla cima)

In alto a destra si intravede Moggio (dalla cima)

 



domenica 16 aprile 2023

E' finita la pazienza

Mi trovavo ieri alle poste, nell'attesa di pagare un bollettino. Il signore che mi precedeva allo sportello stava effettuando una operazione di una certa lunghezza, ci avrà messo venti minuti. La signora che attendeva, in fila dopo di me, dopo cinque minuti ha cominciato a sbuffare, a commentare a mezza bocca cercando complicità (non trovata nè in me nè negli altri presenti) nelle lamentele per il disservizio (!).

Quando è stato il momento le ho ceduto il posto, dandole occasione di polemizzare con l'impiegata per l'inammissibile attesa (sarà durata un quarto d'ora, la sua), e di ricevere un'affilata risposta sulla necessità di avere pazienza.

E' vero, nessuno ha più pazienza (molti non hanno più pazienza). Non solo nelle code, ma ormai in tutti i rapporti con gli altri, in quello che ci attendiamo come dipendenti, come clienti, come turisti, come utenti, come degenti, vogliamo tutto, subito, e come diciamo noi.  In un mondo in cui tutto è sempre più complesso, non si capisce se il fatto che siamo sempre più scontenti sia più la causa o l'effetto della fine della pazienza, sempre sperando che ciò non diventi da un momento all'altro occasione di violenza.

Mi spiace non averglielo detto, alla signora, mentre mi ringraziava per averle ceduto il posto: "ci vuole un po' di pazienza".

 

sabato 15 aprile 2023

La mutazione

di Luca Ricolfi


Luca Ricolfi tira le file di un discorso iniziato da molto, e già sviluppato in buona parte in "Sinistra e popolo" e in "La società signorile di massa", oltre che ne "Il danno scolastico".

Vien da chiedersi se il suo "Perchè siamo antipatici?" non sia diventato ora "Perchè sono antipatici", tanto è il solco che si è formato tra la sinistra cui sente di appartenere e quella odierna "ufficiale".

I concetti sviluppati riguardano, per l'appunto, la mutazione rispetto ad alcuni valori ed idee identitarie della sinistra di, diciamo, quarantanni fa, che, a partire dalla deflagrazione dell'89-92 e dal formarsi di una nuova identità dei progressisti, sono stati abbandonati, per essere raccolti dalla nuova destra oppure per rimanere "adespoti".

Il primo valore "migrato" è la difesa dei deboli, di cui sembra farsi carico molto di più una destra comunitaria di una sinistra incentrata sull'aspetto liberal (nettamente prevalente sulla sinistra anticapitalista che le si distingue nettamente, con posizioni molto differenti su immigrazione, diritti civili e valori morali, al punto da avvicinarsi all'estremo opposto, avvalorando la tesi di Veneziani per la quale la vera alternativa nella politica odierna è tra "liberal" e "comunitari"). L'aspetto interessante dell'analisi è  l'individuazione della frattura della società in tre parti, almeno in un'Italia in cui permangono quattro grandi anomalie (ampia economia sommersa, peso elevato del lavoro autonomo, divari territoriali profondi, consistente massa di ipersfruttati per lo più immigrati): la società dei garantiti, per lo più dipendenti pubblici o di imprese medio grandi, connotata dalla sicurezza; la società del rischio, costituita da lavoratori autonomi e dipendenti precari, ovvero di piccole imprese, connotata da vulnerabilità; la società degli esclusi (disoccupati, irregolari, scoraggiati), connotata da perifericità.  Per Ricolfi tale analisi porta a concludere che i deboli sono concentrati nella seconda e nella terza delle due società descritte; e che la domanda da porsi non è chi vuole rappresentarli (in tal senso la destra indubbiamente ritiene si rappresentare la società del rischio), ma da chi essi si sentono rappresentati. Un'analisi comparata, che tiene conto tanto del livello di reddito quanto di quello di istruzione, avvalora la tesi che i ceti popolari ormai si sentano maggiormente tutelati dalla destra, che, se non la offre, almeno si pone il problema della soluzione ai contraccolpi provocati dalla globalizzazione.

Il secondo tema è la libertà di espressione del pensiero. L'analisi di Ricolfi tenta una periodizzazione (ad un primo periodo fino a metà degli anni Settanta caratterizzato da tentativi censori, è succeduto un trentennio in cui c'è stata effettiva libertà di critica e satira, per poi fare spazio all'era del politicamente corretto e delle limitazioni che esso comporta, per fini nobili, alla libera espressione del pensiero e della parola), e si allarga all'area americana ove i danni in questa questione sono ad uno stato molto avanzato, sintetizzabili nella formula del "follemente corretto". Da noi, in assenza di ingredienti quali il puritanesimo, la questione razziale ed i  campus universitari, il fenomeno assume forme meno visibili e clamorose, trovando un momento di stop nella non approvazione della legge Zan, la quale in particolare nell'articolo 4 avrebbe introdotto un elemento molto critico nel criminalizzare il nesso fra pensieri ed azioni conseguenti. L'attuale "terzo tempo" individuato da Ricolfi vede la libertà di manifestazione del pensiero ostacolata dalla adesione dell'establishment (manco a dirlo identificato con la sinistra ufficiale) all'ortodossia del politicamente corretto, in nome del quale è ritenuta un'opzione possibile la limitazione di quella libertà. Dopo lo swap delle basi sociali, viene offerta alla destra anche la possibilità di intestarsi la difesa della libertà di espressione.

Il terzo tema è il ruolo della cultura alta nel perseguimento dell'ideale dell'eguaglianza. Ricolfi vede un "triangolo magico" tra sinistra, cultura ed eguaglianza ("senza cultura non ci può essere eguaglianza, senza eguaglianza non può esserci sinistra, dunque la sinistra non può che essere per la cultura"). Tuttavia l'analisi che poi sviluppa, oltre che evidenziare l'erroneità del pregiudizio per cui la cultura sia una cosa di sinistra, parte dall'abbandono ormai risalente (siamo ancora a Togliatti...) della difesa della cultura alta da parte del PCI, con l'adesione alle tesi delle "culture al posto della cultura", ed alla loro applicazione alla riforma della scuola che ha determinato quella macchina della diseguaglianza cui è dedicato per intero il precedente libro di Ricolfi, per poi congetturare come l'impoverimento culturale e lessicale determini anche una riduzione della capacità di formulare pensiero critico, con conseguenze dirette sulla vita civile e sulla possibilità di una democrazia compiuta. In questo caso non vi è uno swap con la destra, la cultura alta, sostiene Ricolfi, non se la fila nessuno.

Il capitolo conclusivo si interroga se vi sia una connessione tra gli sviluppi osservati nei precedenti, trovandola nella diversa visione della modernizzazione tra progressisti e conservatori. 

Per i primi la modernizzazione è sempre positiva, portando a minimizzare "il lato oscuro del progresso", tematiche e problematiche che la sinistra tende a negare o minimizzare, portando avanti il "dogma del progresso come inclusione", rispetto al quale certe idee di sinistra, quelle di cui si è occupato il libro (difesa dei deboli, libertà di espressione, emancipazione attraverso la cultura) diventano incompatibili, perchè omettono di privilegiare l'immigrato rispetto all'operaio, le minoranze LGBT rispetto alle donne, il politicamente corretto rispetto alla libertà di opinione, l'istruzione di massa rispetto alla trasmissione del patrimonio culturale. 

Il formarsi dei due mondi distinti di cui si compone la società signorile di massa ha creato due sfere molto distanti, con bisogni e immaginario radicalmente diversi, restando il "mondo di sotto" completamente al di fuori del sentire della sinistra ufficiale, mentre certo neotradizionalismo della destra, con la sua preoccupazione per i mali della globalizzazione e gli eccessi della libertà individuale "riluce in tutta la sua enigmatica capacità di porre domande".

Già, forse ora per Ricolfi gli "antipatici" sono "loro".