sabato 31 dicembre 2022

Due Paesi, due misure

Trovato.
Qualche anno fa (già otto, ho scoperto!) avevo ascoltato un intervento radiofonico di Enrico Ruggeri (minuto 7:50), intervistato sul suo nuovo libro, che mi colpì moltissimo, per l'analisi che faceva su un punto fondamentale della vita delle persone.
Ci ho rimuginato sopra molte volte, ora l'ho finalmente ritrovato nel fantastico archivio della radio. Targia gli chiede dei libri che ha letto, che ne hanno fatto la persona che è, Ruggeri spiega e poi se ne esce con questa riflessione:
"Questo è un Paese sfaccettato, in cui c'è veramente una forte percentuale di gente che è totalmente priva di vita interiore. Che ascolta passivamente la radio, che guarda passivamente la televisione, che non ha voglia di migliorarsi interiormente ma che è invece tesa nei casi brutti a pagarsi l' affitto o il mutuo, nei casi belli a comprarsi il maglione o la macchina nuova. C'è veramente molta miseria. Invece, per contro c'è una parte del Paese, che forse proprio è per quello che resiste, gente meravigliosa che legge, si informa. Questa forbice mi sembra che si allarghi sempre." 
Ruggeri mi pare colga l'essenziale: per moltissime persone la vita è sussistenza, declinata a diversi livelli, a seconda delle possibilità economiche.
La forbice si allarga (si allargava, già nel 2014). Che Dio ci aiuti.

giovedì 22 dicembre 2022

Dio esiste

No, non ho cambiato idea.
Parlo del Dio del calcio, cui mi ero appellato perché consentisse la vittoria non dei più forti (la Francia) ma dei più meritevoli, per storia e per vicinanza all'idea che ho del calcio.
Ha consegnato lo scettro di re a Messi, ora asceso al rango di quegli altri due, al termine di una partita pazzesca, le cui emozioni riassumono quello che chiamiamo (impropriamente)  bello del calcio, ovvero il fatto che poteva vincere la squadra che praticamente non ha giocato e perdere quella che ha dominato, tecnicamente ed emotivamente.
L'Argentina è stata nettamente la migliore squadra del mondiale, pur non avendo i migliori giocatori, anzi solo alcuni buoni giocatori accanto al fuoriclasse rosarino, ed essendo praticamente senza difesa (per 3 volte presi due gol in pochissimi minuti). Ha offerto un concentrato di tecnica, carattere e atletismo che è un manifesto del vero calcio, provando che solo loro, al pari nostro, stessa scuola, sono capaci di miscelare le componenti migliori di questo sport. Non la tecnica sopraffina ma  narcisista dei brasiliani, l'atletismo pugnace dei tedeschi, la grinta indomita ma grezza degli uruguagi, non i ghirigori gagliardi degli spagnoli, non il football primitivo e altezzoso degli inglesi, non la tecnica fine a se stessa dei brasileri, non la superbia offensiva e anarchica degli olandesi, ma di tutto un po': questo sono stati gli argentini nella storia del calcio (che ora le scuole si stanno mescolando e le differenze si fanno minori), un po' come noi, quasi sempre i migliori, sempre durissimi da sconfiggere.
Come in altre occasioni hanno raggiunto vette emotive che potevano fregarli, come li hanno talvolta fregati, ma anche dare una forza impensata come quella dimostrata dopo le due rimonte subite.
Grande gioia, personalmente, per la consacrazione di Messi e di un grande De Paul, già nostro Gran Capitàn, con una punta di soddisfazione perché è stata preclusa la doppietta alla Francia, che in onestà non meritava di veder tramutato in dominio la supremazia che ha dimostrato nei fatti, e che temo perdurerà.
Agli argentini sono stati rimproverati effettivi eccessi nei festeggiamenti, nello stesso mood che pretendeva che i giocatori si facessero attivisti dei diritti civili, dimenticando quanto il calcio sia uno sport del popolo e quindi, sì, anche plebeo.
Argentina, Carajo!

sabato 17 dicembre 2022

Vamos Argentina

Per me è facile.

Il mio idolo di ragazzo era Abel Balbo, il mio scrittore preferito Jorge Borges. Ho studiato la geografia e la storia di questo paese, seguo il campionato argentino e i cori dei suoi tifosi, il mio sogno è un mese bonaerense tra uno stadio e l'altro come coronamento di una vita da tifoso. 

Inevitabile tirare fuori la camiseta albiceleste che comprai non mi ricordo quando, il giorno lontano in cui pensai che in fondo l'Argentina è un'altra Italia in Sudamerica, composta peraltro da abitanti per metà con ascendenti paisà, anche se domani di fronte non ci fosse la Francia.

Improponibile, per me, la questione per chi tifare. Se gioca la Seleccion (e non contro l'Uruguay, passione esclusivamente calcistica), sempre per l'Argentina. Se gioca la Francia, sempre per gli altri: i francesi sono i nostri cugini altezzosi, più signori e forse migliori di noi, è inevitabile averli come principali avversari quando di fronte la rivalità è sportiva, godere quando li si batte.   

Quello che non capisco è come vi siano persone, anche meno coinvolte, che veramente abbiano in animo di parteggiare per i francesi (per Olivier e Theo? Maddai!!!).

Il calcio non è mai stato roba loro: ero ragazzo e non ci battevano da sessantanni, prima di quella partitaccia a Messico 1986. Grandi giocatori, ma mai una vera squadra. Ci è voluto un mondiale in casa ed il malanno di Ronaldo il giorno della finale per farli vincere, prima della fantastica goduria di Berlino. La Russia è stato un accidente, per assenza dei veri avversari; ora non ne vinceranno mica un altro (sette mondiali, quattro finali, tre vittorie? bastano due). E poi il calcio è Europa e Sudamerica, e loro non vincono dal 2002 (resta solo il dettaglio che sono i più forti, tocca ammetterlo senza con ciò rassegnarsi).

Invece l'Argentina è la vera patria del calcio, al pari dell'Inghilterra che l'ha inventato e del Brasile che ne ha fatto poesia, di Italia e Germania  che hanno fatto la storia. Sempre avuto i migliori giocatori, la migliore squadra; una passione strabordante nei cori inventati delle hinchas e nel culto degli eroi, un gioco che (spesso, non sempre, ma quando è successo è stata vincente) mescolava la classe sudamericana con la sagacia tattica italica e la garra charrua. La tierra di Diego y lionel, del derby rosarino, del superclasico, della curva del San Lorenzo, del Trinche Carlovich e della mano de Dios.

Spero che ci sia un Dio del calcio, a decidere secondo giustizia, al di là di quel che merita quel ragazzino con la maglia numero 10, nemmeno 170 cm, la cui storia e le cui giocate sono l'inno all'alterità del calcio, lo sport in cui il migliore è il più piccolo di tutti.



sabato 3 dicembre 2022

Il danno scolastico. La scuola progressista come macchina della disuguaglianza

 di Paola Mastrocola e Luca Ricolfi

Da un anno questo libro attendeva sullo scaffale di confermare le mie sconfortanti sensazioni sul disastro che abbiamo combinato demolendo la scuola che ci avevano lasciato i nostri nonni. Mi decido ad affrontarlo sollecitato dalle recenti polemiche sulle dichiarazioni del nuovo ministro Valditara, presto assurto nel mirino dei benpensanti con la sua retrograda uscita sul valore formativo della umiliazione. Alessandro Barbano commentandola ha ricordato di aver letto qualcosa di simile, formulato in maniera non altrettanto equivocabile, proprio in questo libro. 
Il titolo sintetizza la tesi che gli autori ritengono di aver dimostrato: l'abbassamento del livello di istruzione, lungi dal produrre un effetto "democratico" di maggiore inclusione nella società, ad un livello più elevato, le persone in partenza svantaggiate, danneggia soprattutto queste ultime.
La dimostrazione si avvale di un modello di analisi dei dati formulato da Ricolfi, nel quale con i pochi dati disponibili si riesce a misurare l'accrescersi dello svantaggio che le condizioni sociali di partenza danno, nelle prospettive di successo, ove ad esse si aggiunga la mancanza di una scuola di qualità.
Tale dimostrazione costituisce il valore aggiunto di un'opera della quale tuttavia sono nondimeno da leggere le prime due parti, nelle quali i due autori descrivono la loro esperienza di docenti rispettivamente universitario e liceale, evidenziando l'osservazione dal loro punto di vista del decadimento qualitativo dell'istruzione.
Ricolfi parte in realtà dalla sua infanzia, da una scuola (ultimi anni con le vecchie medie, ancora con il latino), nella quale regnavano allerta (dell'interrogazione, dell'aver pronto il materiale, del compito a sorpresa) e vergogna (di non rispondere correttamente alle domande; parente stretta dell'umiliazione citata da Valditara ad occhio). Che parevano naturali e non impedivano ad un adolescente di essere felici, ma che ora paiono alla stessa persona diventata adulta stati d'animi che gli hanno consentito di essere una persona migliore, (in quanto) più istruita. Le due facce tappe della "picconatura" di quella scuola vengono individuate nell'eliminazione della propedeuticità per l'accesso all'università e l'abbassamento degli standard dell'istruzione, "un processo iniziato nei primi anni sessanta, e proseguito poi attraverso innumerevoli mosse, alcune clamorose, altre quasi impercettibili, ma tutte convergenti verso un unico risultato, non meno inevitabile per il fatto di non essere voluto: rendere più ardua, per i ceti bassi, la competizione con i ceti alti. La storia di questo abbaglio, che condusse la cultura progressista ad affossare le aspirazioni dei ceti popolari con gli stessi strumenti con cui presumeva di migliorarne le sorti, è una storia lunghissima".   
In quella che Ricolfi chiama la "lunga marcia dell'abbassamento", la fase successiva alla contestazione è vista come lenta e ancora caratterizzata dal sopravvivere dell'ancien regime. mentre alla fine degli anni novanta diedero un'accelerazione tre fattori, il diritto al successo formativo, la riforma universitaria 3+2, la riforma Berlinguer, cui si aggiunge, per la parte di responsabilità dell'Università, il nuovo sistema di reclutamento e valutazione dei docenti (che produce docenti meno preparati e meno incentivati a puntare sul rapporto con gli studenti). 
Il risultato sono un sistema di istruzione primaria e secondaria che produce una maggioranza di studenti che si presentano agli esami universitari non tanto impreparati, ma incapaci di comprendere le domande e di formulare frasi di senso compiuto, al punto da rendere alcune materie (è docente di analisi dei dati) semplicemente non insegnabili.
L'esperienza proposta da Mastrocola risale anch'essa all'infanzia, a scuole con il grembiule e all'importanza della parafrasi, del tanto scrivere. Affronta poi di petto il cuore delle questioni poste da Don Milani e radicalmente contestate, nell'affermazione che lungi dall'essere inutili e distanti dalla vita reale, sono cose come la letteratura che permettono ai figli dei ceti svantaggiati la possibilità di elevarsi, non l'abbassare il livello delle promozioni per dar loro l'illusione di essere preparati, rinviando più avanti (al liceo, all'università) il momento in cui non ce la faranno.
Il passaggio al ruolo di insegnante ha visto per la Mastrocola una netta cesura alla fine del secolo, con l'ingresso di classi sempre meno preparate, incapaci di produrre testi senza errori grammaticali e ortografici, di comprendere un romanzo.
Del responsabile fa il nome e cognome, Luigi Berlinguer, la sua riforma con i tre ingredienti dei progetti extracurricolari, della valutazione oggettiva, del diritto al successo formativo.  Ritrovo molti ragionamenti da me ipotizzati e anche espressi negli ultimi anni, specie sul risalto dato alle attività extrascolastiche a diretto danno di quelle "core", nonchè sulle responsabilità dei genitori sempre più sindacalisti dei propri figli, di fronte a insegnanti sempre più lasciati soli.
L'accorata descrizione dei molti colloqui in cui ha dovuto dire dire ai genitori che il figlio "non ha le basi", senza sapere proporre una soluzione reale che non fosse il palliativo di un aiuto esterno, prelude alla sintesi delle tre tipologie di problemi che l'abbassamento del livello formativo ha arrecato agli studenti: la noia degli studenti capaci e studiosi, la promozione di studenti svogliati e scadenti, l'incapacità di procedere da parte di ragazzi molto motivati ma privati delle basi elementari.
Alla proposizione delle esperienze dei due autori segue il modello di analisi di Ricolfi, ed un'accorata "Lettera a un genitore" di Mastrocola, cui è affidata (quindi all'iniziativa individuale "dal basso", nella sfiducia sulla riformabilità del sistema) la residua speranza e fiducia nella possibilità che qualcosa cambi.   
Quanto osservato da Ricolfi e Mastrocola è sotto gli occhi di tutti, solo le sfumature soggettive e dettate dal vissuto possano cambiarne di poco l'analisi.
Gli aspetti originali sono lo sviluppo del modello di analisi dei dati e l'attribuzione della responsabilità di quella che viene chiaramente chiamata (con il nome adatto, purtroppo) catastrofe alla pedagogia di sinistra, nel paradosso già descritto di nuocere alle persone nel nome delle quali sono stati promossi certi cambiamenti; con il risultato che chi si oppone passa per oscurantista e reazionario. 
Non sono nè un analista dei dati nè tantomeno un pedagogista, forse per questo non so quali sono gli argomenti che si possano contrapporre al chiaro argomentare di questi autori: mi sa che sono pure io oscurantista e reazionario.