E' raro leggere un pezzo interessante, profondo, sincero come quello scritto da Ritanna Armeni e pubblicato su "il Foglio" di ieri.
L’Italia invecchia, fa pochi figli ma l’opinione pubblica sorvola sulle vere cause della crisi demografica.
Da donna di una generazione che le battaglie per i diritti le ha combattute decenni fa, prova a capire cosa c'è nella testa e nel cuore delle giovani (?) amiche che sempre in maggior numero prendo la decisione di rinunciare alla maternità, e riesce a farlo senza giudicare, senza diventare uno di quei genitori che non riescono a riconoscere degli altri se stesso nei figli di cui criticano le scelte.
Rivolgendosi a Draghi che ha parlato preoccupato del tema in una sede in cui la questione è stata trattata come problema demografico, prova a spiegargli che non sono giovani, a ben vedere, queste ragazze che dovrebbero riprendere a fare figli. E non è certo un problema economico che le induce alla loro scelta.
Hanno fatto una scelta di vita; che la Armeni capisce: "Le mie giovani amiche, presidente Draghi, mi piacciono. Anche quando mi irritano. Mi piace quando difendono la loro libertà e non accettano di farsi imbrigliare. Quando finalmente rifiutano ogni ipocrisia affermando che un figlio le metterebbe in una sorta di custodia cautelare e loro non hanno nessuna voglia di rinunciare alla loro libertà, ai loro progetti. Un tempo affermazioni di questo tipo venivano solo o soprattutto da esponenti del sesso maschile. Ragazzi sicuri alcuni, Peter Pan altri, inseguiti da ragazze che volevano una relazione più stabile e anche, magari, a un certo punto un figlio. Mi piace che apprezzino la vita che si sono costruite. Sono “cattive ragazze”, sono egoiste forse, pretendono, non si lasciano abbindolare dai buoni sentimenti. Hanno osservato bene le fregature subite dalle loro madri e dalle loro nonne. Non vogliono corde, anche amorevoli, che le leghino. Hanno spiccato il volo e va bene così."
E' una scelta che ricorda ad Armeni quella della sua generazione: Anche allora non accettavamo l’obbligo alla maternità, non volevamo che la biologia interferisse con la libertà, che per noi donne ci fosse un destino segnato. Era una scelta che somiglia molto a quella delle mie “cattive ragazze”. Ma noi, pur di vincere, facemmo un compromesso con l’immaginario femminile prevalente nella società. Parlammo di donne povere e disperate che di figli ne avevano già tanti e non potevano permettersene un altro, di pericoli per la vita della madre, di giovani spezzate da un avvenimento non previsto e che erano costrette a privarsi del loro bambino, di aborto come dramma.
Ora non è più necessaria quell'ipocrisia, che era anche un po' la ricerca di alleanze. "Non temono di mostrarsi “cattive”. Dicono la verità e possono permetterselo perché la loro libertà è maggiore della nostra e ha già modificato i rapporti con l’altro sesso.
C'è stato un salto che ha rotto un equilibrio. Le donne della generazione di Armeni Avevano studiato e, contrariamente alla generazione precedente, avevano sempre contemplato il lavoro come elemento essenziale della propria esistenza. Ma i loro compiti nella famiglia erano gli stessi. Se volevano un figlio, o se un figlio capitava, sapevano di dover “fare dei sacrifici”. Ed ecco la capacità di essere multitasking, di lottare su più fronti: l’azienda, i bambini, le relazioni familiari. Per questo sono state lodate dai politici e dai sociologi. Così piacerebbero ancora. Con la “doppia presenza”, in questo modo veniva e viene chiamata e la società e lo stato si assolvevano e mettevano da parte le loro mancanze. Le donne, poi, erano addirittura orgogliose di essere capaci di fare tutto. Alcune guardavano con sufficienza gli uomini pigri e viziati che sapevano dedicarsi solo al lavoro. Loro erano differenti. Esauste, prive di un momento solo per loro (e la libertà?) ma capaci di fare tutto. Potevano essere madri e lavoratrici. Che meraviglia!
Le “cattive ragazze” di oggi sono figlie e nipoti di quelle donne e hanno visto. Le hanno viste affaticarsi fra un lavoro spesso non interessante (perché, per fare carriera, occorre un tempo maschile) e il carrello del supermercato, le hanno osservate mentre erano divise fra le ambizioni e la famiglia, hanno assistito al ridimensionamento dei desideri e allo sgretolarsi dei sogni. Hanno visto. E nella loro mente hanno annotato.
E’ stato così che l’equilibrio si è rotto. Le “cattive ragazze” hanno preteso una libertà maggiore di quella delle loro madri, di sacrifici e dedizione non vogliono sentirne parlare e il secondo piatto della bilancia, quello che conteneva l’accettazione dei sacrifici e dell’incerto è saltato in aria.
Ci sarà un nuovo equilibrio? Per averlo Lo stato e la società devono dimostrare alle “cattive ragazze”, e nei fatti, che la maternità non ridurrà la loro libertà, all’opposto la renderà più ricca, più forte e più autentica.
Dall'altra metà del cielo poche illusioni: Non credo che avverrà. La società degli uomini è abituata a sottovalutare le donne. Non è sufficientemente allarmata. Preferisce rassicurarsi invece che aprire gli occhi su quello che sta accadendo.
Ma anche le donne hanno la loro responsabilità: La libertà, diceva un cantante che durante la mia giovinezza era tanto amato “non è uno spazio libero”. Non è conservazione di un futuro immaginato che si contrappone a un passato che non piace. E’ fatto anche di audacia, di capacità di rischio e di sfida. Invece spesso sono poco coraggiose. Deluse dalla politica non la inchiodano alle sue responsabilità, non pretendono, non urlano. Si ritirano in quel che il mondo permette senza accorgersi che anche la loro libertà è comunque limitata, di seconda mano. E’ solo quella che la società degli uomini è disposta ad accordare a una minoranza delle donne del pianeta, in una ristrutturazione del rapporto fra i sessi che dominiamo ancora poco. E che, invece, dovremmo prendere più saldamente in mano. Il problema delle donne della mia e della vostra generazione è l’incapacità di rischiare di sbagliare.