Quelle cose che ti capitano e che ti fanno pensare.
Giovedì, rientrato dal lavoro, accendo Radio Freccia.Questa volta la radio non passa Neil Young ma il pezzo che chiude lo stesso disco di "Certe Notti".
"Leggero" non è fra le canzoni più noti di Liga, ma fra le più amate dai fan più anziani (quorum ego), direi anche la mia preferita in assoluto. Una volta ci chiudeva i concerti: è un inno per intimi.
Io la ascoltavo da ragazzo, ero all'università.
Mi ricordo di averla messa con il walkman a palla, sul pulmann, quella volta che con il Pascià andai a Vicenza per una vittoriosa trasferta (che goduria il gol di Helveg al 90'!).
Leggero, nel vestito migliore, senza andata né ritorno, senza destinazione. Leggero, nel vestito migliore, nella testa un po' di sole ed in bocca una canzone.
Pochi minuti dopo, giovedì, mi trovo in mano il Messaggero Veneto.
Resoconto della giornata di Renzi in Friuli. Strette di mano, selfie, discorsi. Ah, di strada per Rauscedo si è fermato a Casarsa alla tomba di Pasolini. Lo apprendiamo da un suo tweet: Altro
“E io camminerò leggero, andando avanti, scegliendo per sempre la vita” Un fiore, a Casarsa, sulla tomba di Pier Paolo Pasolini #trenoPd #PPP #avanti
E bravo Renzie, Royalbaby, Renzusconi: paraculo quanto vuoi, ma intanto fa un gesto oggettivamente rimarchevole, e poi induce qualcuno (quorum ego, e magari qualche altro, magari meno numerosi dei fan del Liga) a cercare la poesia da cui è tratto questo bel verso.
La sorpresa è che il verso è tradotto dal friulano, dal componimento Saluto e augurio, inserita in La Nuova gioventù del 1975 (dai che ne imparo più d'una, oggi).
Attacco:
A è quasi sigùr che chistaa è la me ultima poesia par furlàn;Brividi (è forse l'ultima poesia in assoluto che scrisse).
Non l'avrei certo compresa da solo, senza leggerne qui o qui, e forse nemmeno dopo. Al solito PPP è troppo al di sopra, e infonde in ciò che scrive tutta il portato del suo essere uomo, poeta, "politico".
Certo il dialogo con il giovane fascista, cui si rivolge come Socrate a Fedro, è tutto volto a delineare cosa sia quel terribile peso di difendere, da poeta, i valori arcaici e popolari.
La chiusa però ci porta lì dove ero partiti:
Ciàpiti su chistu pèis, fantàt ch’i ti mi odiis:Anche lui voleva essere leggero:
puàrtilu tu. Al lus tal còur. E jo ciaminarai
lizèir, zint avant, sielzìnt par sempri
la vita, la zoventùt.
E senti le vene,
piene di ciò che sei,
e ti attacchi alla vita che hai
Saluto e Augurio
A è quasi sigùr che chista
a è la me ultima poesia par furlàn;
e i vuèj parlàighi a un fassista
prima di essi (o ch’al sedi) massa lontàn.
Al è un fassista zòvin,
al varà vincia un, vincia doi àins:
al è nassùt ta un paìs,
e al è zut a scuela in sitàt.
Al è alt, cui ociàj, il vistìt
gris, i ciavièj curs:
quand ch’al scumìnsia a parlàmi
i crot ch’a no’l savedi nuja di politica
e ch’al serci doma di difindi il latìn
e il grec, cuntra di me; no savìnt
se ch’i ami il latin, il grec - e i ciavièj curs.
Lu vuardi, al è alt e gris coma un alpìn.
"Ven cà, ven cà, Fedro.
Scolta. I vuèj fati un discors
ch’al somèa un testamìnt.
Ma recuàrditi, i no mi fai ilusiòns
su di te: jo i sai ben, i lu sai,
ch’i no ti às, e no ti vòus vèilu,
un còur libar, e i no ti pos essi sinsèir:
ma encia si ti sos un muàrt, ti parlarài.
Difìnt i palès di moràr o aunàr,
in nomp dai Dius, grecs o sinèis.
Moùr di amòur par li vignis.
E i fics tai ors. I socs, i stecs.
Il ciaf dai to cunpàins, tosàt.
Difìnt i ciamps tra il paìs
e la campagna, cu li so panolis,
li vas’cis dal ledàn. Difìnt il prat
tra l’ultima ciasa dal paìs e la roja.
I ciasàj a somèjn a Glìsiis:
giolt di chista idea, tènla tal còur.
La confidensa cu’l soreli e cu’ la ploja,
ti lu sas, a è sapiensa santa.
Difìnt, conserva prea. La Repùblica
a è drenti, tal cuàrp da la mari.
I paris a àn serciàt, e tornàt a sercià
di cà e di là, nass’nt, murìnt,
cambiànt: ma son dutis robis dal passàt.
Vuei: difindi, conservà, preà. Tas:
la to ciamesa ch’a no sedi
nera, e nencia bruna. Tas! Ch’a sedi
’na ciamesa grisa. La ciamesa dal siun.
Odia chej ch’a volin dismòvisi
e dismintiàssi da li Paschis...
Duncia, fantàt dai cialsìns di muàrt,
i ti ài dita se ch’a volin i Dius
dai ciamps. Là ch’i ti sos nassùt.
Là che da frut i ti às imparàt
i so Comandamìns. Ma in Sitàt?
Scolta. Là Crist a no’l basta.
A coventa la Gl’sia: ma ch’a sedi
moderna. E a coventin i puòrs.
Tu difìnt, conserva, prea:
ma ama i puòrs: ama la so diversitàt.
Ama la so voja di vivi bessòj
tal so mond, tra pras e palàs
là ch’a no rivi la peràula
dal nustri mond; ama il cunfìn
ch’a àn segnàt tra nu e lòur;
ama il so dialèt inventàt ogni matina,
par no fassi capì; par no spartì
cun nissùn la so ligria.
Ama il sorel di sitàt e la miseria
dai laris; ama la ciar da la mama tal fì.
Drenti dal nustri mond, dis
di no essi borghèis, ma un sant
o un soldàt: un sant sensa ignoransa,
un soldàt sensa violensa.
Puarta cun mans di sant o soldàt
l’intimitàt cu’l Re, Destra divina
ch’a è drenti di nu, tal siùn.
Crot tal borghèis vuàrb di onestàt,
encia s’a è ’na ilusiòn: parsè
che encia i parons, a àn
i so paròns, a son fis di paris
ch’a stan da qualchi banda dal momd.
Basta che doma il sintimìnt
da la vita al sedi par diciu cunpàin:
il rest a no impuàrta, fantàt cun in man
il Libri sensa la Peràula.
Hic desinit cantus. Ciàpiti
tu, su li spalis, chistu zèit plen.
Jo i no pos, nissun no capirès
il scàndul. Un veciu al à rispièt
dal judissi dal mond; encia
s’a no ghi impuarta nuja. E al à rispièt
di se che lui al è tal mond. A ghi tocia
difindi i so sgnerfs indebulìs,
e stà al zoùc ch’a no’l à mai vulùt.
Ciàpiti su chistu pèis, fantàt ch’i ti mi odiis:
puàrtilu tu. Al lus tal còur. E jo ciaminarai
lizèir, zint avant, sielzìnt par sempri
la vita, la zoventùt.
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Traduzione
È quasi sicuro che questa
è la mia ultima poesia in friulano:
e voglio parlare a un fascista,
prima che io, o lui, siamo troppo lontani.
È un fascista giovane,
avrà ventuno, ventidue anni:
è nato in un paese
ed è andato a scuola in città.
È alto, con gli occhiali, il vestito
grigio, i capelli corti:
quando comincia a parlarmi,
penso che non sappia niente di politica
e che cerchi solo di difendere il latino
e il greco contro di me; non sapendo
quanto io ami il latino, il greco - e i capelli corti.
Lo guardo, è alto e grigio come un alpino.
"Vieni qua, vieni qua, Fedro.
Ascolta. Voglio farti un discorso
che sembra un testamento.
Ma ricordati, io non mi faccio illusioni
su di te: io so, io so bene,
che tu non hai, e non vuoi averlo,
un cuore libero, e non puoi essere sincero:
ma anche se sei un morto, io ti parlerò.
Difendi i paletti di gelso, di ontano,
in nome degli Dei, greci o cinesi.
Muori d’amore per le vigne.
Per i fichi negli orti. I ceppi, gli stecchi.
Per il capo tosato dei tuoi compagni.
Difendi i campi tra il paese
e la campagna, con le loro pannocchie
abbandonate. Difendi il prato
tra l’ultima casa del paese e la roggia.
I casali assomigliano a Chiese:
godi di questa idea, tienla nel cuore.
La confidenza col sole e con la pioggia,
lo sai, è sapienza sacra.
Difendi, conserva, prega! La Repubblica
è dentro, nel corpo della madre.
I padri hanno cercato e tornato a cercar
di qua e di là, nascendo, morendo,
cambiando: ma son tutte cose del passato.
Oggi: difendere, conservare, pregare. Taci!
Che la tua camicia non sia
nera, e neanche bruna. Taci! che sia
una camicia grigia. La camicia del sonno.
Odia quelli che vogliono svegliarsi,
e dimenticarsi delle Pasque...
Dunque, ragazzo dai calzetti di morto,
ti ho detto ciò che vogliono gli Dei
dei campi. Là dove sei nato.
Là dove da bambino hai imparato
i loro Comandamenti. Ma in Città?
Là Cristo non basta.
Occorre la Chiesa: ma che sia
moderna. E occorrono i poveri
Tu difendi, conserva, prega:
ma ama i poveri: ama la loro diversità.
Ama la loro voglia di vivere soli
nel loro mondo, tra prati e palazzi
dove non arrivi la parola
del nostro mondo; ama il confine
che hanno segnato tra noi e loro;
ama il loro dialetto inventato ogni mattina,
per non farsi capire; per non condividere
con nessuno la loro allegria.
Ama il sole di città e la miseria
dei ladri; ama la carne della mamma nel figlio
Dentro il nostro mondo, dì
di non essere borghese, ma un santo
o un soldato: un santo senza ignoranza,
o un soldato senza violenza.
Porta con mani di santo o soldato
l’intimità col Re, Destra divina
che è dentro di noi, nel sonno.
Credi nel borghese cieco di onestà,
anche se è un’illusione: perché
anche i padroni hanno
i loro padroni, e sono figli di padri
che stanno da qualche parte nel mondo.
È sufficiente che solo il sentimento
della vita sia per tutti uguale:
il resto non importa, giovane con in mano
il Libro senza la Parola.
Hic desinit cantus. Prenditi
tu, sulle spalle, questo fardello.
Io non posso: nessuno ne capirebbe
lo scandalo. Un vecchio ha rispetto
del giudizio del mondo: anche
se non gliene importa niente. E ha rispetto
di ciò che egli è nel mondo. Deve
difendere i suoi nervi, indeboliti,
e stare al gioco a cui non è mai stato.
Prenditi tu questo peso, ragazzo che mi odii:
portalo tu. Risplende nel cuore. E io camminerò
leggero, andando avanti, scegliendo per sempre
la vita, la gioventù.
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