mercoledì 28 novembre 2018

The answer, my friend, is blowing in a storm

Nel campionario di sgrammaticature, strafalcioni, assurdità soprattutto di emerite cazzate che ci hanno offerto i ministri a cinque stelle negli ultimi mesi, assume una luce particolare la presa di posizione del vicepremier Luigi di Maio in merito al suo candidato al comune di Corleone.
Tale Maurizio Pascucci, infatti, si è reso responsabile addirittura di essersi fatto fotografare con il signor Salvatore Provenzano, imparentato con il più noto Bernardo, e di aver dichiarato nell'occasione di voler parlare con i parenti dei mafiosi.
Apriti cielo.
Svelata la notizia da Repubblica, fulmini e tuoni dagli avversari politici, che imputano al M5S evidente mafiosità. Tuoni e fulmini dal capo politico, che scomunica il suo candidato sindaco seduta stante: «Lo Stato deve stare attento a non avvicinarsi mai, neppure con la propria immagine, a quella gente». Espulsione decisa (in realtà non può deciderla, regole alla mano: infatti «Mi sono rivolto ai probiviri e Pascucci merita l'espulsione», tanto per restare in tema di metodo mafioso).
L'utilizzo a fini opposti non toglie che d'accordo si trovi tutto l'arco costituzionale: la foto è scandalosa, il candidato sindaco è un favoreggiatore della mafia.
Chi potrebbe metterlo in discussione?

Un paio di dati di fatto aiuterebbero a inquadrare meglio la vicenda.
Salvatore Provenzano (ha sposato una nipote di Zu Binnu) è incensurato.
Pascucci dichiara che «Con la foto volevamo trasmettere il messaggio che i parenti dei mafiosi che prendono le distanze dai proprio congiunti non possono essere esclusi dalla comunità»

In pratica, ciò che viene imputato a questo Pascucci è di ritenere che le colpe dei padri e degli zii non ricadano sui figli e sui nipoti, che anche a persone che portano certi cognomi debba essere data una possibilità di una vita normale ed onesta.

Ciò che il nostro vicepremier ed i suoi detrattori, e gli haters riuniti della rete tutta non riescono neanche a concepire, evidentemente. E nemmeno il direttore di Repubblica, che pure dovrebbe comprendere bene il peso del cognome nella vita di una persona.

La cosa più sconcertante, tuttavia, è un'altra.
Discernere le situazioni comporta la necessità di informarsi, conoscere, riflettere, comprendere, attività fuori moda in tempi in cui il click è immediato.  Molto più semplice, sentita la parola mafia e vista una foto, emettere la propria inappellabile sentenza. 
Il dramma della comunicazione pubblica emerge palese ove di fronte ad una situazione complessa che andrebbe spiegata, compresa, si preferisce soprassedere dall'analisi e arrivare alla conclusione più facile, anche se sbagliata.

Dove andremo a finire?
The answer, my friend, is blowing in a storm




giovedì 22 novembre 2018

Lo sport nazionale

E' esprimere giudizi su questioni o fatti che non si conoscono a sufficienza

sabato 17 novembre 2018

Manifesto di un momento storico

I see the bad moon risin'
I see trouble on the way
I see earthquakes and lightnin'
I see bad times today

mercoledì 31 ottobre 2018

Quando il calcio era celeste. L'Uruguay degli invincibili. La prima squadra che dominò il mondo

di Niccolò Mello

Questi testi di Bradipolibri non ambiscono forse di giungere a vette letterarie, ma invogliano l'appassionato a saperne di più (qualche volta a rivivere l'epopea) di campioni di altri tempi.
Da ben prima che la garra charrua trovasse la sua fama per la follia di Daniele Adani, ho sempre ammirato la scuola uruguagia, ritenendo che i celeste interpretino il vero calcio (essendo a loro modo gli italiani del Sudamerica), spesso ho tifato per loro e per la loro capacità di andare oltre i limiti tecnici con la determinazione e l'organizzazione.
Questa della squadra che dominò il calcio negli anni 20 e 30, vincendo prima del mondiale due olimpiadi che all'epoca ne facevano le veci, è una storia poco nota, di campioni di cui si ignora spesso anche il nome. Il flessuoso Andrade, il carismatico capitano Nasazzi, il leggendario Scarone sono sconosciuti o quasi anche per i grandi appassionati di calcio, nella totale assenza di immagini in movimento.
Ripercorrere la loro storia è impresa per la quale l'autore si affida inevitabilmente a fonti di seconda mano e all'aneddotica; oltre allo sforzo, si apprezza la possibilità di aggiungere un piccolo tassello alla conoscenza di questo fantastico gioco. 

Tuya, Hector!

domenica 26 agosto 2018

We miss you

Le straordinarie parole di Obama in occasione della morte di McCain sono una lezione sulla nobiltà della politica e sulla grandezza dell'America.


“Con me condivideva la fedeltà a qualcosa di più alto, ovvero agli ideali per cui generazioni di americani e immigrati hanno combattuto, manifestato e fatto sacrificio Condividevamo l’idea che la battaglia politica sia un nobile privilegio, un’opportunità di servire quegli alti ideali in patria, e farli avanzare nel resto del mondo. Vedevamo il nostro paese come il posto dove ogni cosa è possibile, e la cittadinanza come dovere patriottico per assicurare che rimanga tale"

Per inciso McCain era quello che, avversario di Obama per la carica di Potus, impediva ai suoi sostenitori gli attacchi personali.

Per una volta siamo buoni, non facciamo confronti con nessuno. 

sabato 25 agosto 2018

Pare veramente che certe cose sembrino scontate solo a me (6)

Ma quand'è che qualcuno chiama a raccolta quelli che, non avendo mai pensato di impegnarsi, ora non ne possono più di questo andazzo?

Pare veramente che certe cose sembrino scontate solo a me (2)

"L'Unione Europea ci lascia soli nell'emergenza".
L'emergenza sarebbe, per un paese di 60 milioni di abitanti, accogliere 150 stranieri.

Pare veramente che certe cose sembrino scontate solo a me (1)

E' facile comandare quando tutto va bene.
Quando ci sono problemi da risolvere, bisogna risolverli e non trovarne le colpe e/o immaginare come sarebbero potute andare le cose.
Si chiama governare.

martedì 21 agosto 2018

Sono sempre i migliori che se ne vanno


Anche Vincino se n'è andato. 
Proprio il giorno dopo quello in cui il rimpianto per l'assenza di Marco era stato rinfocolato dall'ascolto di questo passo dell'ultimo libro di Francesco Merlo:

Anche Pannella non diceva parolacce, non ricorreva al turpiloquio. Usava un linguaggio violento che però smaterializzava la violenza, colpiva ma rendendo aereo il colpo, togliendogli ogni traccia di fisicità. La tensione morale era il suo codice.
Il linguaggio di Bossi e di Salvini, fatto di pallottole, musi di porco, lazzi omofobi e truculenze razziste, e quello di Grillo, fatto di "falliti», "zombie», "salma», "merda liquida»... sono sproloqui da bettola, da caserma o da avanspettacolo che magari disgustano, sicuramente hanno cambiato la lingua politica, qualche volta intimidiscono, ma non riescono mai a irritare, a colpire davvero, a ferire intellettualmente, perché mai le loro sgangheratezze sono solidali con la dimensione intellettuale della convivenza civile.
Al contrario, qualsiasi persona civile percepiva la sostanza intellettuale del ragionamento di Pannella, del suo codice, anche quando esagerava.




Con un canestro di parole nuove, calpestare nuove aiuole