venerdì 28 febbraio 2020

Neanche con il coronavirus è possibile avere un po' di giustizia

Questa non la volevo proprio sentire.
La Procura di Lodi ha aperto un'inchiesta, per verificare se sono stati commessi errori nella gestione del "paziente-1". 
L’iscrizione di procedimento, allo stato a carico di ignoti – ha spiegato -, è apparsa doverosa, seppur con la consapevolezza che ogni eventuale responsabilità è tutta ancora da dimostrare nel pieno rispetto delle garanzie difensive".
Ma come, l'iscrizione nel registro delle notizie dei fatti costituenti reato non dovrebbe seguire la presenza di una notizia di reato?
E' ormai normale che inchieste vengano aperte per cercarle, le notizie?
E' proprio necessario, nel mezzo (all'inizio) di un'emergenza, andare subito alla caccia di un colpevole? 
Che magari formalmente il dottor Chiaro avrà le ragioni che giustificano il suo operato. 
Ma che in questo Paese di ogni stormir di fronde come di ogni vera tragedia, dal campionato di calcio al terremoto, dalle imprese di Fabrizio Corona al crollo del ponte Morandi, da cos'è un partito (o una fondazione) a se una certa dose di metanolo fa diventare il vino non più vino, debba sempre occuparsi un pubblico ministero, è una delle ragioni della profonda sfiducia verso il futuro.
Che poi i veri colpevoli messi sotto inchiesta sono inversamente proporzionali al numero dei titoli di giornale guadagnati da certi PM.
Non rappresento nessuno io, tanto meno il pensiero comune: ma ad essere stanco dell'esercizio ipertrofico e irresponsabile del potere che piu' dovrebbe tutelare  i miei diritti, senza essere sospetto di lamentarmi "pro domo mea", credo di non essere il solo.
Signori giudici, in nome dei diritti che il vostro lavoro mi garantisce, per il rispetto che provo per la vostra funzione, vi chiedo di provare ad esserne degni.

sabato 22 febbraio 2020

Dove eravamo rimasti?

Un po' indietro, con i miei libri (e con tutto il resto).











L'Italia del tempo presente

di Paul Ginsborg

Libro molto interessante.
Per la prima volta mi ritrovo tra le mani un testo autenticamente storiografico su un periodo che ho vissuto.
La narrazione storica classica occupa un parte minoritaria del testo, in cui il piatto forte sono le analisi di contesto. Ginsborg spazia dalle premesse economiche (L'economia italiana tra vincoli e sviluppo), all'analisi di carattere sociale (Le gerarchie sociali di una nazione opulenta), con particolare attenzione al tema della famiglia nella società, ed antropologico, analizzando l'evoluzione dei consumi in rapporto anche al mutare dei consumi (anche di tipo culturale) L'attenzione al ruolo della società civile, in rapporto alla nuova cultura di massa, è vista nel suo ambivalente ruolo con la crisi della politica. Importanti pagine sono dedicate allo stato, al rapporto tra la pubblica amministrazione e le persone.
Tutto conduce al drammatico 1992, che viene raccontato nelle sue diverse concomitanti crisi.
L'Italia vista dal Palazzo di Giustizia di Milano; dagli imprenditori veneti in anni di leghismo rampante; da Montecitorio assediata dalla fine di un'era politica; dalla banca d'Italia nelle ore decisive per riagganciare il paese all'Europa; da Palermo con le autostrade fatte saltare in aria.
Letto oggi il libro risulta inevitabilmente datato grazie al senno del poi (basta pensare che si insiste sull'entusiasmo del Paese per l'Europa come grande risorsa); tuttavia la ricchezza degli informazioni che rende insieme ad un quadro di insieme non semplice, oltre all'onestà di certi giudizi forse non confacenti alle idee dell'autore (quale quello sulla levatura riformatrice della legislatura del 1987-1992 ed in particolare dell'ultimo governo Andreotti) confermano che (a parer mio) Ginsborg è uno storico di classe rara

sabato 15 febbraio 2020